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martedì 17 novembre 2015

Siria: Camporini, "Intervento? 60/70 mila uomini sul terreno"

Scritto per La Presse il 16/11/2015

Per un intervento di terra tra Siria e Iraq, che possa essere risolutivo contro lo Stato islamico, bisogna mettere in campo almeno 60/70 mila uomini, con l’appoggio dal cielo. La stima è del generale Vincenzo Camporini, che giudica “puramente politico” l’impatto della reazione francese alla carneficina di Parigi, con attacchi aerei su obiettivi mirati di Raqqah, la capitale del Califfato in Siria.

Il generale Camporini, 69 anni, è stato capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, dal 2006 al 2008, e successivamente della Difesa fino al 2011. Attualmente, è vice-presidente dell’Istituto Affari Internazionali. Rispondendo alle domande de LaPresse, spiega: “L’operazione francese ha un senso puramente politico e risponde a logiche ed esigenze interne francesi, per fare vedere che alle dichiarazioni seguiva un’azione. Un’operazione militare efficace non si conduce con tanta improvvisazione e senza coordinamento con gli altri attori impegnati nell’area”.

Che cosa serve allora, perché la risposta militare sia adeguata?

“Ci vuole una coalizione internazionale coesa, che ancora non c’è, e ci vuole la chiara volontà politica di coinvolgere anche tutte le potenze dell’area. Lo Stato islamico, del resto, è frutto dei disegni di alcune potenze regionali, solo che è poi sfuggito loro di mano”.
 
Quali sono queste potenze regionali ‘matrigne’ del Califfato?


“Penso alle monarchie sunnite del Golfo, impegnate in una lotta per la supremazia regionale in contrapposizione con l’Iran e anche con la Turchia, che dal canto suo ha avuto in passato un atteggiamento ambiguo, più volto contro i curdi  che contro l’Is”.
 
In questo contesto, un’operazione militare avrebbe senso?


“Un’operazione militare ha senso solo se c’è il pieno coordinamento di tutte le componenti sul terreno, con un’adeguata presenza di ‘boots on the ground’, cioè di uomini in campo. Attualmente, la situazione è paradossale: lo Stato islamico non ha opposizione aerea, ma, per sfruttare il totale dominio aereo, ci vogliono forze sul terreno”.

Quelle ‘lealiste’ irache e siriane sono sufficienti?, e sono affidabili?

“Bisogna addestrarle adeguatamente. E’ vero, in Iraq ci stiamo provando dal 2004, ma vale la pena di provarci ancora, seriamente. L’Italia, in particolare, nel fornire addestratori è esemplare. Certo, alla fine non bastano i professori, ci vogliono pure gli allievi”.

L’alternativa è inviare forze di terra. Di che cosa stiamo parlando?, migliaia i uomini, o decine o centinaia di migliaia?

“I combattenti dello Stato islamico sono stimati tra i 14 e i 20 mila. Bisogna schierare contro 60/70 mila uomini, appoggiati dal cielo. Ma la campagna aerea deve essere molto più intensa di quella attuale: nella campagna balcanica, nel 1999, disponevamo di 450 velivoli da combattimento con centinaia di sortite al giorno. Oggi, le sortite sono dell’ordine di una decina al giorno”.

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