P R O S S I M A M E N T E

Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore

domenica 29 novembre 2015

Siria: si fa in fretta a dire guerra, ma le bombe non risolvono i problemi

Intervista al settimanale Il Nostro Tempo, data d'uscita 26/11/2015


1 - Si fa in fretta a dire guerra, ma le bombe da sole non hanno mai risolto nulla. Qual è la strada giusta per una risposta mondiale all'Isis?

Le bombe dal cielo da sole non solo non risolvono nulla, ma rischiano di peggiorare la situazione: ciascuna che cade fa nascere più integralisti qui da noi di quanti non ne neutralizzi laggiù, creando una scia di dolore, lutto, astio, odio, vendetta. Ma questo lo sanno tutti, i generali per primi e i leader politici. Se l’obiettivo è lo sradicamento del sedicente Stato islamico e l’eliminazione delle milizie jihadiste, la via militare passa per le Nazioni unite, che possono dare legittimità a un intervento internazionale, con il coinvolgimento sul terreno – si stima – di 60/70 mila soldati che possano sfruttare l’assoluto controllo dello spazio aereo e il migliore equipaggiamento e prevalere così sulle forze dell’auto-proclamato Califfo, valutate a non più di 20mila uomini. Ma la guerra, anche una guerra vinta – e l’Afghanistan 2001, come pure l’Iraq 2003, sono lì a ricordarci come vincerla a lungo termine non sia scontato -, lascerebbe sempre strascichi di rivalsa e non eliminerebbe i rischi da noi – anzi, la frustrazione e la rabbia sarebbero fattori di pericolo -, mentre la dispersione dei miliziani superstiti creerebbe situazioni di contagio altrove (e la mappa dell’integralismo è già molto articolata). La vera risposta è dialogo e sviluppo, equità e redistribuzione: richiede l’impegno di generazioni.

2 -  Ci sono evidenti problemi d’equilibri politici interni al mondo musulmano, tra sciiti, sunniti, e pure tra americani e russi. Da almeno cinque anni ognuno marcia sa solo. Hanno obiettivi diversi. Ma cosa serve ora al Medioriente?

La disunione nel Medio Oriente è totale ed è testimoniata dal fatto che gli stessi Paesi dell’Unione europea hanno posizioni fra loro diverse, più belliciste la Francia e la Gran Bretagna, meno la Germania, l’Italia, la Spagna, per citare solo i Grandi. In questo scenario, un classico della geo-politica di tutti i tempi va continuamente in scena: i nemici che diventano amici quando c’è da combattere un nemico comune; salvo poi tornare ad essere nemici, una volta compiuta la missione congiunta. E, a volte, te li ritrovi contro galvanizzati dal successo ottenuto e resi più pericolosi e più minacciosi da armamenti e da equipaggiamenti che proprio tu hai fornito loro. In questa guerra anomala ‘al terrorismo’, poi, gli intrecci sono molteplici su piani diversi: etnico, religioso, d’egemonia regionale, d’interessi economici. Tutti i più o meno convinti componenti dell’eterogenea galassia anti-jihadista vedono il Califfo come un nemico; ma alcuni non lo vedono come il nemico peggiore. E, talora, sembrano condividerne i valori, più di quanto non condividano quelli dell’alleato. C’è pure chi trae vantaggio dalla conflittualità intestina araba e musulmana ed è portato ad alimentarla. Al Medioriente serve pace e sviluppo, ma non ora: da sempre, da almeno un secolo; e non li ha mai avuti, mai – almeno – in modo armonico. Colpa nostra, ma non solo.

3 - E' possibile in futuro pensare a una divisione dell'Iraq e della Siria?

L’Iraq e la Siria come li conosciamo noi sono Paesi artificiali, fittizi, finti: nomi storici applicati a realtà geografiche, etniche, religiose disomogenee e senza passato: confini disegnati sulla carta geografica nella Grande Guerra, giusto un secolo fa, al momento del dissolvimento dell’Impero Ottomano, che fu l’ultimo legittimo Califfato, tradendo subito le promesse fatte da Gran Bretagna e Francia agli arabi oro alleati contro i turchi. Frontiere, come molte di quelle della colonizzazione, fatte per dividere più che per unire, tenendo conto degli interessi economici delle potenze europee più che delle aspirazioni locali, mettendo insieme sciiti e sunniti in un puzzle che innesca tensioni, negando una patria ai curdi –la più numerosa etnia al Mondo senza una patria-. Nonostante ciò, il mantra della diplomazia internazionale è l’intangibilità delle frontiere, anche quando sono palesemente ingiustificate: qui come in certe regioni africane –Ruanda e Burundi- o nella stessa Europa –l’Ucraina oggi, la Bosnia ieri-; un mantra che, però, ancora una volta, risponde più a logiche d’interesse internazionali che alle aspirazioni locali… Certo che è possibile pensare a un diverso assetto della Regione, a una terra dei sunniti e a una terra degli sciiti, ad esempio. Ma non mi pare che si vada in questa direzione.

4 - Per sconfiggere l'Isis serve una risposta politica ma anche economica...

Certo, lo abbiamo già visto. Ma, attenzione!, alcuni dei Paesi protagonisti di questo conflitto sono intrinsicamente ricchi, almeno da quando il petrolio è un bene prezioso e fin quando lo resterà: lì, il problema non è lo sviluppo, ma l’equità – di genere e di ceto - e la ridistribuzione, perché eccezionali agiatezze convivono con eccezionali povertà, con divari persino più ampi che da noi e un’inferiore percezione di ‘pari opportunità’.

5 - Il fondamentalismo non sarà sconfitto con la possibile fine dell'Isis perchè è un problema culturale. Come affrontarlo?

L’integralismo è malattia infantile, ma persistente, di qualsiasi credo e ideologia: contamina religione e politica, economia e società, persino scienza e sport; è una mala erba che cresce in tutti i giardini e che l’uomo non ha mai estirpato del tutto e definitivamente dentro di sé. Proprio mentre siamo confrontati col fondamentalismo islamico, abbiamo esempi di fondamentalismo cristiano negli Stati Uniti che conducono ad abiure della ragione e ad eccessi anche violenti. L’istruzione e l’educazione alla tolleranza sono chinini contro l’integralismo, ma l’antidoto non lo abbiamo ancora scovato.

Nessun commento:

Posta un commento