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mercoledì 25 novembre 2015

Terrorismo: tutti contro il Califfo, ma ciascuno ha un nemico peggiore

Scritto per Metro del 25/11/2015

Non c’è uno solo dei Paesi della Regione impegnati nella coalizione contro il sedicente Stato islamico che consideri il Califfo il suo nemico peggiore. Tutti, nel loro intervento, hanno un secondo fine, che è poi il fine principale: l’Arabia saudita e gli emirati del Golfo, sunniti, si preoccupano di arginare gli sciiti; l’Iran, sciita, vuole tutelare il regime di Assad, sciita seppur alauita, e ripristinare l’ordine pro-sciiti in Iraq; la Turchia martella gli jihadisti, ma tiene pure sotto tiro chiunque non rispetta il suo territorio – lo dimostra, oggi, l’abbattimento dell’aereo russo-, e vuole mano libera contro i curdi dentro i suoi confini; quei curdi che si battono sul terreno contro le milizie, ma hanno soprattutto l’obiettivo d’uno Stato indipendente, che nessuno lì intorno, Turchia e Iran e neppure i malandati Siria e Iraq, vuole concedere.

Le carneficine di Parigi venerdì 13 novembre e quanto ne è seguito, il blitz di St.Denis il 18 e il week-end spettrale di Bruxelles capitale d’Europa e della paura, hanno innescato risposte militari – rabbiose quanto non risolutive - e febbrili intrecci di contatti diplomatici, con il presidente Hollande perno d’incontri con il premier britannico Cameron, il presidente Usa Obama, la cancelliera tedesca Merkel, il premier Renzi il presidente russo Putin.

Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu e, ieri, il Consiglio atlantico, oltre che il Consiglio dei Ministri dell’Ue, si sono riuniti: solidarietà alla Francia a bizzeffe e anatemi contro il Califfo a manciate, ma una strategia coerente e coesa non c’è.  C’è chi fa la guerra dal cielo e chi, come Italia e Germania, non ci pensa neppure; però nessuno vuole andare a combattere sul terreno, dove ci si affida a peshmerga e pasdaran, hezbollah e – magari – turchi. Che, per il momento, hanno centrato in pieno un solo obiettivo: il jet russo, colpito e abbattuto.

Di questo passo, lo Stato islamico potrebbe resistere anni. Né è certo che un intervento sul campo risolverebbe il problema: in Afghanistan, 14 anni di presenze militari Usa e Nato non hanno eliminato i talebani. In questa guerra anomala ‘al terrorismo’, poi, gli intrecci amico/nemico sono molteplici su piani diversi: etnico, religioso, d’egemonia regionale, d’interessi economici.

Vi sono Paesi che sembrano talora condividere i valori del Califfo più di quelli degli alleati, sulla libertà di espressione o i diritti dell’uomo. E gli intrecci di rapporti diventano ancora più paradossali quando si parla d’armamenti e d’interessi economici. Nessuno compra il petrolio del Califfo, ma lui ne vende – si dice – un milione di dollari al giorno. E nessuno arma il Califfo, ma i percorsi delle forniture militari sono tortuosi e spesso indecifrabili persino all’intelligence.

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