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lunedì 31 dicembre 2012

Ue: accadde domani, un 2013 più di fatti che di attese

Scritto per EurActiv il 31/12/2012

Anche se nasce senza sfarzo, ché in tempi di crisi i lustrini sono di troppo, il 2013 dell’Unione è già pieno di novità da spacchettare: ci sarà –è deciso- un nuovo Stato membro, il 28.o, la Croazia, che aderirà il 1.o luglio –altro che perdere i pezzi, l'Ue cresce sempre-; ci sarà –è quasi sicuro, magari prima di uscire dall'inverno- l’adozione del nuovo quadro finanziario europeo 2014-2020; e ci sarà –è certo- la progressiva attuazione dell’Unione bancaria e la fine del segreto bancario.

Questo ed altro, come si può leggere in vari servizi di questa sezione di EurActiv.it. Però, quello che tutti sperano di trovare nel 2013, ma che non è affatto scontato, è la fine della crisi e il ritorno della crescita. Mario Draghi, presidente della Bce, parlando al Parlamento europeo il 19 dicembre, ha ipotizzato una “ripresa lenta”, meglio d’un pezzo di carbone, ma non proprio il regalo atteso. Certo, uno potrebbe proclamare a priori il 2013 l’anno dell’uscita dal tunnel, dopo che le speranze risposte nel 2012 sono andate deluse. Ma nessuno ci crede fermamente, magari per scaramanzia. Anzi, molti sarebbero già contenti che l’Anno Nuovo non sia peggiore dei precedenti, com'è puntualmente successo nella galleria di ‘anni orribili’ post 2008: un anno di transizione, aspettando il 2014 di tutte le novità europee, elezioni del Parlamento europeo, rinnovo della Commissione e cambio alla presidenza del Consiglio.

A livello mondiale, il 2012 aveva una sua fisionomia ben precisa: era l’anno d’un trittico robusto d’elezioni presidenziali, Russia, Francia, Usa; era l’anno del Titanic, un secolo dopo; e doveva essere, ma non lo è stato, appunto, l’anno dell’uscita dalla crisi. Il 2013 globale una sua fisionomia, per ora, non c’è l’ha proprio. E’ un anno non denso di elezioni cruciali, anche se ci sono – a portare un brivido europeo – quelle politiche italiane a febbraio e tedesche a settembre. E’ un anno senza Olimpiadi di sorta, né Mondiali né Europei di calcio. Ed è un anno senza un bell'anniversario tondo a cercarlo col lanternino, tutte ricorrenze mosce che celebrarle sarà difficile: il 60° anniversario della morte di Stalin -5 marzo-; il 25° anniversario della strage di piazza Tiananmen –il 4 giugno-; o il 20.o anniversario della separazione della Cecoslovacchia fra Repubblica Ceca e Slovacchia –subito il 1.0 gennaio. Volete mettere il 2014, quando si profila il centennale della Grande Guerra?

Così, sull'agenda, restano una successione di appuntamenti standard e di routine: Vertici, riunioni, scadenze del G20, del G8, dell’Ue. Tutte cose di per sé noiose, se non c’è una crisi da risolvere, o una decisione da prendere cruciale; e poi le sessioni periodiche, più o meno mensili, dei Consigli dei Ministri specializzati e dell'Eurogruppo, le plenarie del Parlamento europeo e delle altre istituzioni assembleari, i Consigli della Bce.

Però, l’Unione europea, che pare sempre sul punto di perdere i pezzi, tra la Grecia che le cassandre vedevano già fuori dall’euro e la Gran Bretagna che è a disagio nell’Ue, sa già che comincia a 27 e finirà a 28. E, dopo la Croazia, in fila a negoziare l’ingresso, ci sono l’Islanda e più o meno tutti i Paesi balcanici: insomma, è la solita storia, chi è dentro si lamenta, ma chi è fuori vuole entrare...

Segue l'elenco di eventi già pubblicato il 28/12/2012 e ristretto agli appuntamenti d'interesse europeo

domenica 30 dicembre 2012

Usa: fiscal cliff, Obama molla i repubblicani, parla agli americani

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/12/2012

Dopo l’ultimo consulto, giovedì, alla Casa Bianca, conclusosi con un nulla di fatto, Barack Obama smette di parlare con l’opposizione repubblicana, che tanto non l’ascolta, e di rivolge direttamente ai cittadini americani. Nel consueto ‘sermoncino’ del sabato mattina, radio e video, il presidente è duro: “Non possiamo lasciare –dice- che la politica di Washington freni il progresso della Nazione”. E invita il Congresso “a fare il proprio dovere” e ad “agire subito” per evitare che, alle 24 di domani lunedì 31 dicembre, l’Unione precipiti nel ‘fiscal cliff’, il baratro fiscale..

Il discorso di Obama, pacato, ma fermo, pare un ultimatum: il presidente è pronto a tutto per evitare un aumento delle tasse alle famiglie della classe media; e invita i ricchi a pagare di più per spingere l’economia. Eppure, c’è in giro sul Campidoglio di Washington un cauto ottimismo: lo esprime Obama; lo confermano i leader repubblicani alla Camera e al Senato. Quasi che tutti i protagonisti di questa pantomima siano consapevoli dell’inevitabilità di un’intesa in extremis.

Eppure, alla fine della riunione di giovedì, il presidente era stato drastico: o c’è l’intesa, o vado avanti con il mio piano. Lui e John Boehner, speaker della Camera, dove i repubblicani sono maggioranza, non cercano più l’accordo. Adesso, la trattativa è nelle mani ddi Harry Reid, leader dei democratici al Senato, e del capogruppo repubblicano Mitch McConnell.

Se non ci sarà l’intesa entro oggi, domenica, i democratici hanno già pronto un piano da presentare al Congresso lunedì, per farlo subito votare: un testo di legge che evita l’aumento delle tasse alle famiglie con un reddito inferiore ai 250.000 dollari l'anno. A rivelarlo, è stato lo stesso Reid, spiegando che il provvedimento conterrà altre disposizioni per tutelare la classe media dalla caduta nel ‘fiscal cliff’.

Agli americani, che –secondo i sondaggi- sono con lui in questo scontro, Obama spiega che l’economia “sta crescendo e non può subire le ferite che ci auto-infliggiamo a causa della politica”. Rubando il tono proprio ai suoi rivali del Tea Party, componente populista del partito repubblicano, il presidente afferma: “La gente che è stata mandata a Washington deve fare il suo dovere". Tanto più che è tutta gente a fine mandato: il 7 gennaio, s’insedierà il Congresso uscito dall’Election Day del 6 novembre, una Camera rinnovata al 100% e un Senato rinnovato per un terzo.

Il presidente traccia un quadro positivo della congiuntura americana: "Il mercato immobiliare –dice- è sulla via della guarigione, ma potrebbe tornare in stallo, se la gente ha di colpo una busta paga ridotta ... Il tasso di disoccupazione è il più basso dal 2008, ma famiglie ed imprese cominciano a temere per le disfunzioni di Washington". "Voi - conclude Obama - fate fronte alle vostre scadenze e alle vostre responsabilità ogni giorno. Quelli che avete mandato a Washington a servire il Paese dovrebbero fare lo stesso".

Casa Bianca e Congresso cercano un accordo su come ridurre e contenere il deficit di bilancio. Se Obama vuole semplicemente fare pagare più tasse ai ricchi, i repubblicani non ne vogliono sapere d’inasprimenti fiscali e ripropongono la solita ricetta dell’economia conservatrice, tagliare la spesa e ridurre i servizi, a scapito dei meno abbienti, ché gli altri possono sopperire con i soldi loro.

Accanto alla partita sul deficit di bilancio, c’è quella sul debito pubblico, che ormai supera il 70% del Pil. Il segretario al Tesoro Timothy Geithner ha già comunicato al Congresso che domani, il 31, sarà superato il tetto di 16.400 miliardi di dollari fissato nell'accordo del luglio 2011, quando ci fu un altro negoziato ‘al fotofinish’ come questo. Così, lo spettro del default torna a minacciare l'America. E l'Amministrazione Obama - che ha sospeso temporaneamente l'emissione di titoli statali – tiene pronte misure d'emergenza definite "straordinarie", sperando di non dovervi ricorrere.

sabato 29 dicembre 2012

Parlamenti: in Europa, giudici deputati si può, avvocati spopolano

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/12/2012

I Parlamenti della Vecchia Europa sono pieni di uomini di legge, laureati in diritto, soprattutto avvocati, meno –molti di meno- magistrati. Il dato non stupisce: corso di studi e professione segnalano –o, almeno, dovrebbero segnalare- una venerazione della ‘res publica’ ed una vocazione al rispetto della legalità perfettamente adeguati al doppio ruolo di legislatore e di politico. E, così, appare del tutto logico che gli uomini di legge in un Parlamento siano più numerosi dei professori, ad esempio, o dei dottori in medicina, che pure sono ben rappresentati fra gli onorevoli, così come del resto i giornalisti.

Siccome Paese che vai ordinamento giuridico che trovi, i confronti sono approssimativi. E le fonti non sono omogenee. Però, il quadro che ne risulta è sufficientemente indicativo. In Francia, dove l’Assemblea nazionale conta 577 deputati, gli avvocati sono 38 e i magistrati tre. In Germania, dove il Bundestag ha 620 seggi, vi figurano 12 uomini di giustizia variamente impegnati nel pubblico (non è detto che tutti siano magistrati: potrebbe pure trattarsi di funzionari amministrativi).

In Gran Bretagna, dove la House of Commons conta 650 seggi, il 14% dei deputati esercita, o esercitava, professioni attinenti alla giustizia: la percentuale è nettamente superiore fra i conservatori (18%), mentre scende sotto l’11% fra i laburisti ed appena al 7,5% fra i liberali e democratici. In Spagna, infine, dove le Cortes hanno 614 seggi -350 la Camera e 264 il Senato-, i laureati in legge sono ben 103, anche se solo 57 di essi hanno effettivamente esercitato la professione forense o intrapreso una carriera in magistratura -66 eletti, il 20%, provengono dai ranghi dell’Amministrazione pubblica-.

Fra i magistrati parlamentari, uno noto è il francese Jean Tibéri, che prima di divenire deputato, fu sindaco di Parigi come esponente dell’allora Rpr neo-gollista. Tibéri succedette a Jacques Chirac: un premio alla fedeltà, dopo una vita all’ombra del sindaco che divenne presidente. La lealtà al capo lo portò a finire nei guai, guarda un po’ con la magistratura, che gli chiese conto dei favori resigli.

venerdì 28 dicembre 2012

Il Punto: accadde domani, 2013 senz'anima e senza fisionomia

Scritto per l'Indro il 28/12/2012

Il 2012 era nato con una sua fisionomia ben precisa: era l’anno del trittico di elezioni presidenziali, Russia, Francia, Usa; era l’anno del Titanic, un secolo dopo; e doveva essere, ma non lo è stato, l’anno dell’uscita dalla crisi. Il 2013, una sua fisionomia, per ora, non c’è l’ha proprio: è un anno – per dirne una - senza un anniversario tondo a cercarlo col lanternino, tutte ricorrenze mosce che celebrarle sarà difficile; ed è un anno senza Olimpiadi di sorta, né Mondiali né Europei di calcio; e non è neppure ricco di elezioni, anche se ci sono – a darci un brivido europeo – quelle politiche italiane a febbraio e tedesche a settembre.

Certo, uno potrebbe proclamare a priori il 2013 l’anno della fine della crisi, dopo che le speranze risposte nel 2012 sono andate deluse. Ma che il tunnel stia per finire non ci crede più nessuno, magari per scaramanzia. Anzi, c’è da sperare che l’Anno Nuovo non sia peggiore dei precedenti, com’è puntualmente successo dal 2009 in poi.

Così, sull’agenda, restano una successione di appuntamenti standard e di routine: Vertici, riunioni, scadenze del G20, del G8, dell’Ue. Tutte cose di per sé noiose, se non c’è una crisi da risolvere, o una decisione da prendere cruciale. Però, l’Unione europea, che pare sempre lì lì per perdere i pezzi, tra la Grecia che doveva lasciare l’euro e la Gran Bretagna che è a disagio nell’Ue, sa già che comincia a 27 e finirà a 28: il 1o luglio, la Croazia, infatti, entrerà nell’Unione. E in fila a negoziare l’ingresso, ci sono l’Islanda e più o meno tutti i Paesi balcanici: insomma, è la solita storia, chi è dentro si lamenta, ma chi è fuori vuole entrare.

Appuntiamoci, ora, le principali scadenze di questo 2013 dalle apparenze anodine:

1° gennaio - La Russia assume la presidenza di turno annuale del G20; la Gran Bretagna assume quella del G8; l’Irlanda assume la presidenza di turno semestrale del Consiglio dei Ministri dell’Ue. Inizia l’anno Onu della cooperazione per l’acqua e l’anno Ue della cittadinanza europea. All’Onu, entrano nel Consiglio di Sicurezza per un biennio Argentina, Australia, Corea del Sud, Lussemburgo e Ruanda.

11 e 12 gennaio – Rep. Ceca, elezioni presidenziali

21 gennaio – Usa, Washington, insediamento del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che inizia il suo secondo mandato

21 gennaio – Addis Abeba, Vertice dell’Unione africana (fino al 28)

22 gennaio – Israele, elezioni politiche.

23 gennaio – Giordania, elezioni politiche.

27 gennaio – Bulgaria, referendum sul nucleare.

2 febbraio (e fino al 7) – Il Cairo, Vertice della Conferenza islamica

7 e 8 febbraio – Bruxelles, Vertice europeo sulle prospettive finanziarie a medio termine
dell’Ue.

15 e 16 febbraio – Mosca, G20, riunione ministri finanze e governatori banche centrali.

24 e 25 febbraio – Italia, elezioni politiche

24 febbraio – Cinema, Hollywood, Oscar.

04 marzo – Kenya, elezioni presidenziali.

14 e 15 marzo – Bruxelles, Vertice europeo.

30 marzo – Città del Capo, Vertice dei Brics.

18 aprile (fino al 21) – Washington, Fmi/Bm, riunioni di primavera, con a margine incontri G20 e G8.

08 maggio - Madagascar, elezioni presidenziali.

18 maggio – Musica, Stoccolma, concorso dell’Eurovisione

30 maggio – Bruxelles, Vertice europeo.

13 giugno – Londra, G8, Vertice

23 giugno – Tunisia, elezioni presidenziali e politiche. Eventuale ballottaggio il 7 luglio.

27 e 28 giugno – Bruxelles, Vertice europeo.

01 luglio – Ue, la Croazia diviene il 28.o Stato membro; la Lituania assume la presidenza di turno (semestrale) del Consiglio dei Ministri.

19 luglio – Mosca, G20, riunione ministri finanze e governatori banche centrali.

?? settembre – Germania, elezioni federali.

05 e 06 settembre – Russia, San Pietroburgo, G20, Vertice.

17 settembre – Onu, apertura Assemblea generale Nazioni Unite.

01 Ottobre – Bali, settimana di riunioni dei leader dell’Apec.

09 ottobre (fino all'11) – Washington, Fmi/Bm, riunioni annuali, con a margine incontri G20 e G8.

24 e 25 ottobre – Ue, Vertice europeo.

27 ottobre – Turchia, elezioni amministrative.

?? novembre – Sri Lanka, Vertice del Commonwealth

19 e 20 dicembre – Bruxelles, Vertice europeo.

Usa: fiscal cliff, Obama e gli americani sull'orlo del baratro

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/12/2013

Washington – Gli Stati Uniti hanno 96 ore per evitare di cadere nel ‘fiscal cliff’, il baratro fiscale.
C’è la convinzione che l’Amministrazione democratica e l’opposizione repubblicana, in extremis,
troveranno un’intesa, perché nessuno ha interesse a precipitare di nuovo il Paese nella recessione.
Ma questa fine 2012 è carica di tensioni politiche, economiche, finanziarie come poche altre volte
nella storia americana.

Ieri sera, il presidente Barack Obama, di ritorno a Washington, dopo una vacanza di Natale breve
alle Hawaii, ha inviato al Congresso un nuovo piano per sbloccare il negoziato sul contenzioso che
tocca bilancio, fisco, deficit e debito: l’obiettivo è evitare all’Unione una cura d’austerità forzata
dall’inizio di gennaio, con più tasse per tutti e minori servizi sociali.

Al suo arrivo alla Casa Bianca, poco prima di mezzogiorno, Obama ha trovato la stessa situazione
che aveva lasciato alla sua partenza cinque giorni or sono: i negoziati con il leader dei repubblicani
alla Camera John Boehner sono a un punto morto. Ma le linee di comunicazione restano aperte –ed
è buon segno-: prima di lasciare le Hawaii, Obama ha telefonato a Boehner.

In attesa delle mosse del presidente, i politici si rimpallano le responsabilità. Boehner ha congedato
i deputati, alle ultime battute del loro mandato –il nuovo Congresso, uscito dall’Election Day del 6
novembre, si riunirà il 7 gennaio-, avvertendoli, però, di tenersi pronti a tornare a Washington con
un preavviso di 48 ore.

Lo speaker della Camera, dove i repubblicani sono in maggioranza, sostiene che tocca al Senato,
controllato dai democratici, fare la prossima mossa, pronunciandosi su una serie di misure già
approvate dai deputati. Ma il capogruppo dei democratici al senato Harry Reid non la vede così:
addossa a Boehner la responsabilità dello stallo e constata che “stiamo per finire nell’abisso e la
Camera non è neppure riunita”.

Il presidente, forte della sua rielezione e dei picchi di popolarità nei sondaggi, giudica “squilibrate”
le posizioni dei repubblicani, che non vogliono chiedere maggiori sforzi ai contribuenti più ricchi e
puntano ad attaccare il deficit soprattutto riducendo le spese. Ma Obama è conscio della necessità di
riequilibrare i conti pubblici, dopo quattro esercizi di crisi consecutivi in cui il deficit ha superato i
mille miliardi di dollari, cioè il 10% del bilancio. Il presidente vuole, però, farlo facendo pagare più
tasse a tutti i contribuenti con un reddito superiore ai 250mila dollari, accettando, nel contempo, di
rinnovare gli sgravi concessi dal suo predecessore George W. Bush al 98% dei contribuenti.

Se non ci sarà l’intesa, le imposte di tutti gli americani aumenteranno bruscamente dal 1.o gennaio:
in media, 2.200 dollari l’anno in più per ogni nucleo familiare, secondo i calcoli della Casa Bianca.
E, contemporaneamente, scatteranno drastici tagli della spesa pubblica, in particolare nel settore
della difesa, come democratici e repubblicani avevano già concordato nel 2011. E’ una prospettiva
che pesa, in queste ore, sul morale dei cittadini: il tasso di fiducia è diminuito per il secondo mese
consecutivo; e quando il morale è basso manca l’ottimismo che è un motore di ripresa e crescita.

E, come se non bastasse, il litigio sul disavanzo di bilancio s’intreccia con quello sull’ammontare
del debito, che, proprio lunedì 31 dicembre, raggiungerà il tetto massimo concordato tra Camera e
Senato. Il segretario al Tesoro Timothy Geithner, che non resterà con Obama nel secondo mandato,
ha già annunciato “misure eccezionali” da attuare “al più presto” per evitare rotture nei pagamenti:
insomma, quel ‘default’ che pareva un incubo greco è pure una minaccia americana. La situazione
non è inedita: s’era già presentata un anno fa. E, certo, il modo per uscirne c’è: aumentare il tetto
del debito, che è una pura convenzione politica. Ma, prima, bisogna che il contenzioso sul tasse e deficit s’appiani.

SPIGOLI: la tomba del generale salvata dal Gladiatore

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/12/2012

Da Le Monde, ultimo in ordine di tempo, al Times di Londra, fra i primi, non c’è testata di prestigio
che non abbia metaforicamente visitato, in questi giorni, la tomba del Gladiatore, contribuendo, con
il suo interessamento, ad evitare l’ennesimo triste destino d’un bene culturale italiano. Per l’inverno,
il pericolo è sventato. In primavera, chi verrà (al governo) vedrà e, magari, provvederà.

Ad accendere la miccia dell’attenzione mondiale, è stato l’impegno di Russel Crowe, il ‘gladiatore’
per antonomasia, da quando al cinema ha vestito i panni di Maximus Decimus Meridius: l’attore,
con una presa di posizione universalmente ripresa, s’è detto “pronto a combattere” per la tomba del
generale che avrebbe ispirato il suo personaggio..

Crowe è sceso in campo –se lo si può ancora dire- per salvare la tomba di Marcus Nonius Macrinus,
proconsole dell’imperatore Marco Aurelio: “lo spettacolare mausoleo di marmo”, scoperto nel 2008
sepolto nel fango in una zona industriale alla periferia nord di Roma, doveva essere re-interrato in
mancanza di fondi per la manutenzione.

“Fra tutte le grandi nazioni del mondo, l'Italia dovrebbe essere una guida nel promuovere
l'importanza di esplorare e conservare il passato antico”, ha detto l’attore.

Come il personaggio del film di Scott, Marcus Nonius divenne celebre combattendo i germani. Ma
la somiglianza con Maximus Decimus si ferma qui, notava il Times: non risulta che il generale sia
stato venduto come schiavo e sia poi tornato a Roma da gladiatore.

Il mausoleo è stato preservato per 1.800 anni perché coperto dal fango del Tevere, che lo ha celato
ai costruttori del Rinascimento. Ha fatto breccia sulla stampa estera l’amarezza di Maria Rosa
Barbera, sovrintendente ai Beni archeologici: “Ho la sensazione che la sorte del mausoleo sarebbe
stata diversa se fosse stato trovato nei dintorni di Berlino, Parigi o Washington”, ha detto. E il web
s’è mobilitato, grazie a Darius Arya, direttore dell’Istituto americano per la cultura romana.

giovedì 27 dicembre 2012

Il Punto: fine 2012; dalla Siria agli Usa, diplomazie all'opera

Scritto per l'Indro il 27/12/2012

Diplomazie al lavoro, in quest’ultimo teso scorcio di 2012, per stemperare conflitti civili e militari o economici e finanziari: in Siria e in Egitto; in Africa; negli Stati Uniti. Una fine d’anno di violenze e di negoziati: guerre, attentati, intolleranze etniche e religiose continuano ad allungare la striscia di sangue degli ultimi 12 mesi.

A Damasco, l’emissario dell’Onu Lakhdar Brahimi intensifica i contatti, mentre una delegazione del regime diel presidente al-Assad incontra a Mosca il ministro degli esteri russo Serguei Lavrov, dopo che la Russia ha lanciato un duro monito contro l’uso di armi chimiche, specie gas nervino, contro la popolazione civile.

Per parlare della situazione in Siria, è a Mosca pure il ministro degli esteri egiziano Mohamed Amr, mentre una delegazione dell’opposizione al regime di Damasco è in Turchia, a Istanbul. Mosca, dove sabato si recherà anche Brahimi –l’annuncio è recente-, è in questo momento l’epicentro della diplomazia di pace siriana, dopo che sono circolate voci di un accordo fra russi e americani per la costituzione di un governo di transizione a Damasco e la permanenza al potere del presidente al-Assad fino al termine del suo mandato nel 2014.

Il numero delle vittime nel Paese resta elevato –mercoledì erano state 118, secondo l’Osservatorio dei diritti dell’uomo. L’Onu calcola che il numero dei rifugiati possa raddoppiare nei prossimi sei mesi e raggiungere 1,1 milioni di persone entro giugno, se il conflitto va avanti.

Ci sono nubi anche in Egitto: il clima politico e sociale resta cupo, dopo che il referendum popolare in due tappe ha approvato la nuova costituzione voluta dai Fratelli Musulmani e ispirata alla sharia, la legge islamica. La magistratura indaga sui maggiori leader dell’opposizione laica e moderata, fra cui gli ex candidati alla presidenza Mohamed el Baradei, premio Nobel per la Pace e già capo dell’Agenzia dell’Onu per l’energia atomica, l’Aiea di Vienna, e Amr Moussa, ex ministro degli esteri del Cairo e segretario generale della Lega araba. Il presidente in carica Mohamed Morsi s’appresta a un rimpasto di governo per meglio fronteggiare la crisi economica in cui il Paese si dibatte,

In Africa, venti di guerra scuotono la Repubblica Centrafricana , dove il presidente François Bozizé avrebbe perso il controllo del Paese. E, lontano dall’interesse dei media occidentali, la guerra continua pure nell’Est del Congo, al confine con il Rwanda.

L’economia e la finanza tengono banco negli Stati Uniti. Il presidente Barack Obama è di ritorno nella capitale, dopo vacanze di Natale brevi alle Hawaii, per riprendere i negoziati sul contenzioso su bilancio, fisco, deficit e debito: l’obiettivo è evitare all’Unione una cura d’austerità forzata dall’inizio di gennaio, con più tasse per tutti e minori servizi sociali.

Il tetto legale del debito pubblico sarà raggiunto lunedì: l’Amministrazione democratica prepara misure “eccezionali” per evitare una rottura dei pagamenti nel pieno delle laboriose trattative con l’opposizione repubblicana. Se non si trova un’intesa entro fine anno, cioè entro la mezzanotte del 31, c’è il rischio che il rigore forzato faccia ricadere in recessione la principale economia mondiale, con conseguenze negative, in particolare, per un’Europa ancora convalescente dalla crisi..

Fra i grandi vecchi la cui salute offre motivi d’ansia in questi giorni, l’ex presidente sudafricano, e simbolo della lotta all’apartheid, Nelson Mandela, ha lasciato l’ospedale, dopo oltre due settimane di ricovero per un’infezione polmonare, e potrà proseguire le cure a domicilio Non è stata ancora dimessa, invece, Margaret Thatcher, ex premier britannico, che ha trascorso Natale in una clinica dopo avere subito un intervento definito ‘minore’ dal suo staff.  Resta ricoverato pure George Bush, le cui condizioni sono però migliorate, dopo che era stato necessario trasferirlo in terapia intensiva.  E a Cuba continua a lottare contro il cancro il presidente venezuelano Hugo Chavez.

mercoledì 26 dicembre 2012

Italia/Ue: ma davvero l'Europa c'insidia il Professore?

Scritto per il blog de Il Fatto e, in versione diversa, per EurActiv il 26/12/2012

Uno dei ritornelli dell’informazione, in questi giorni, in tv, alla radio, sui giornali, sul web, è che, se non ce lo teniamo noi al governo, o comunque in alto loco, quella perla rara del Professor Monti, l’Europa ce la porta via. E i ‘rischi’ in realtà non mancano: nel giro di due anni, di qui alla fine del 2014, sono quattro le poltrone europee che contano davvero da assegnare. Ma siamo proprio sicuri che l’Unione ce lo insidi davvero, il nostro (quasi) ex premier (già) ex tecnico?

Vediamo, caso per caso. Cercasi, di questi tempi, presidente dell’Eurogruppo, club dei responsabili delle finanze dei Paesi dell’euro, presieduto, da quando è nato, dal premier e ministro delle finanze lussemburghese Jean-Claude Juncker. Nella conferenza stampa di domenica 23, la giornalista dell’Afp Françoise Kadri ha fatto a Monti una domanda diretta in tal senso. La risposta è stata chiara, ma elusiva: alle prese con tante proposte che gli vengono realmente fatte, o prospettate, il premier manco vuole prendere in considerazione quelle che non gli sono state ancora presentate (e che, forse, mai lo saranno).

E, per quanto nessuno neghi la sua competenza per quell’incarico, è molto difficile che il Paese che ha già la presidenza della Banca centrale europea con Mario Draghi assuma pure quella dell’Eurogruppo, instaurando una sorta di diarchia sulla politica monetaria europea. Senza contare che, sull’Eurogruppo, c’è una prelazione francese per il ministro dell’Economia Pierre Moscovici.

Juncker, poi, è un ppe e la legge dell’alternanza non scritta ma spesso applicata in Europa potrebbe indurre a optare per un non ppe, magari, un socialista, come Moscovici appunto. Infine, il timing non è dei più felici per Monti: la scelta del successore di Juncker dovrebbe essere fatta a gennaio, troppo presto per il Professore che non è candidato, ma è in lizza, per guidare lì’Italia dopo il voto di febbraio.

Allora, l’Eurogruppo Monti non ce lo porta via. Ma nel 2014 ci saranno da sciogliere tutti i nodi dei vertici delle tre istituzioni comunitarie più importanti: la presidenza della Commissione europea –il portoghese José Manuel Durao Barroso, ppe pure lui, terminerà il suo secondo mandato e non è più rieleggibile-; la presidenza del Consiglio europeo –il belga Herman Van Rompuy, ancora un ppe, concluderà anch’egli il secondo mandato-; e la presidenza del Parlamento europeo, che, in primavera, verrà rinnovato con le VIII elezioni a suffragio universale.

Andiamo in ordine. La presidenza del Parlamento europeo eletto a suffragio universale non è mai toccata, dal 1979, a un italiano. Oggettivamente, i tempi sono maturi, anzi marci. Ma Monti, per potervi ambire, dovrebbe prima farsi eleggere eurodeputato. E lo vedere voi il Senatore a vita, che non si candida in Italia, candidarsi in Europa? Io non ci scommetterei un euro. Anche se, lì, lo favorirebbe, oltre che l’alternanza di Paese, anche quella politica: l’attuale presidente è un socialista, il tedesco Martin Schulz, e dovrebbe toccare a un ‘moderato’.

Poi, la presidenza della Commissione: i capi di Stato e di governo devono fare la loro scelta, il Parlamento europeo deve votare l’investitura. Monti dopo Barroso? L’ipotesi potrebbe acquisire concretezza, ma ci sono due handicap: uno è Barroso, un ppe lì da 10 anni (i socialisti punteranno alla poltrona e i tedeschi, che non hanno quel posto dagli Anni Cinquanta, potrebbero avere in Schulz l’uomo giusto per la doppia alternanza, politica e nazionale); l’altro è ancora Draghi –due italiani ai vertici di due delle quattro maggiori istituzioni dell’integrazione è coincidenza improbabile, al di là del valore delle persone-.

Resta la presidenza del Consiglio europeo, l’ultima a essere decisa in ordine temporale, appannaggio unico dei capi di Stato e di governo dell’Ue: Monti dopo Van Rompuy? Possibile, con le qualità e il curriculum del Professore, ma l’ostacolo Draghi persisterà.

Insomma, che Monti ce lo porti via l’Europa è uno spauracchio relativo. Possiamo fare le nostre scelte senza esserne assillati.  

lunedì 24 dicembre 2012

Buone Feste: agende e biglietti, auguri e polemiche europei

Scritto per EurActiv il 24/12/2012. Altra versione su Media Duemila online

Da quando hanno inventato il ‘politicamente corretto’ –un’ossessione americana, a dire il vero- e da quando s’è creata tensione, o addirittura frizione, sulle radici più o meno cristiane dell’Europa, per le istituzioni comunitarie agende e biglietti d’Auguri sono diventati momenti ansiogeni, quasi una sorta di terreno minato, spesso una fabbrica di polemiche. Una prima era scoppiata nel 2011 e se n’era fatto protagonista in prima persona l’allora ministro degli Esteri Franco Frattini: per spirito d’ecumenismo forse eccessivo, o ricerca esasperata del ‘politicamente corretto’, le agende diffuse nelle scuole dalla Commissione europea riportavano festività di tutte le fedi, ma avevano trascurato quelle cristiane (o, almeno, il Natale e la Pasqua).

Adesso, è scoppiato un contenzioso sui biglietti d’Auguri del Parlamento europeo, che, ha notato l’eurodeputato italiano Lorenzo Fontana, Lega Nord, “nella realizzazione delle sei versioni cartacee non ha inserito nessuna raffigurazione della Natività”. E la carenza –prosegue puntigliosamente Fontana- “riguarda anche le varianti in formato elettronico, dieci in tutto”. Insomma, Buon Natale sì, ma senza riferimenti al Natale.

Il capo della delegazione della Lega Nord al Parlamento europeo ne trae conclusioni generali magari sproporzionate, rispetto alla scelta dei biglietti d’Auguri (“Il tentativo di scristianizzare l’Europa è ormai sistematico”) e aggiunge una maliziosa sfida: “Se per gli eurocrati il Natale rappresenta una ricorrenza senza particolari significati religiosi, perché non si presentano al lavoro la mattina del 25 dicembre?”.

Non vogliamo mettere qui il dito nell’ingranaggio della polemica (e siamo sicuri che il 25 dicembre gli uffici delle Istituzioni comunitarie saranno deserti, quale che sia la fede dei funzionari). Piuttosto, il problema ci pare stare all’origine: c’è, cioè, da chiedersi come mai, nell’era del rigore e nel pieno della Società dell’Informazione, dove la comunicazione è dominata da mail, sms, chat, social media e quant’altro, le Istituzioni comunitarie perdano ancora tempo e soldi, oltre a rischiare di perderci la faccia, nell’ideare e produrre biglietti d’Auguri.

Sinceramente, non se ne sente più il bisogno: tanto più i cartoncini europei non sono mai diventati un business come quelli della Casa Bianca, che intorno al Natale realizza tutta una gamma d’oggetti di decorazione diversi anno per anno e divenuti, ormai, pezzi da collezione, da decorarci l’Albero.

E viste le polemiche che si rischiano, ché siamo tutti arretrati sulla linea Maginot del Buone Feste, che va bene per tutti, cristiani o d’altra fede, religiosi o atei, quelli che l’anno inizia il 1.o gennaio e quelli che l’anno inizia chi sa quando, lasciamo che, con gli Auguri, ciascuno s’arrangi come vuole, commissari, eurodeputati, funzionari: se c’è una cosa cui la sussidiarietà –che cos’è ve lo spiego un’altra volta, perché ci vuole un pezzo ad hoc- si può applicare è proprio questa.

Io dal canto mio gli Auguri ve li faccio con un post, anzi con questo post: Buone Feste a Tutti.

domenica 23 dicembre 2012

SPIGOLI: marò, militari professionisti che hanno ucciso per errore, perché eroi?

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 23/12/2012

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono due militari professionisti, che, il 15 febbraio 2012, in missione anti-pirateria a bordo di una petroliera italiana nell'Oceano Indiano, hanno sparato contro un’imbarcazione indiana e ucciso due pescatori, credendoli pirati. Messi di fatto nelle mani delle autorità indiane dalla decisione di fare lo stesso entrare la Enrica Lexie nel porto di Kochi, i due marò sono ora in attesa di giudizio: l’Italia dice che le leggi internazionali prevedono che possano essere giudicati da una corte italiana, l’India non ha ancora accettato questo punto. Però, con robusta cauzione e formali garanzie, le autorità indiane hanno concesso a Latorre e Girone quella che buona parte della stampa indiana considera con irritata ironia “il regalo di una vacanza romana”, o meglio pugliese. I due devono tornare di fronte ai giudici indiani il 15 gennaio e siamo certi che intendono farlo. Quello che lascia, però, perplessi è il trattare i marò alla stregua di eroi: ci stanno la gioia delle famiglie e il sollievo dei comandanti e dei responsabili politici; sono un po’ sopra le righe l’accoglienza in pompa magna dei ministri degli Esteri e della Difesa e l’incontro al Quirinale col presidente della Repubblica, che, almeno, se la cava con uno scarno comunicato. C’è pure chi, come l’ex ministro della difesa, ed ex (?) fascista, Ignazio La Russa, vuole candidarli al Parlamento. Professionisti che hanno sbagliato in buona fede, sì. Ma eroi perché?, perché stanno subendo un’ingiustizia internazionale? Ci siamo mai chiesti come ci saremmo comportati noi se due militari indiani in legittima missione avessero ucciso per errore due italiani nel Mediterraneo?

sabato 22 dicembre 2012

Italia/Ue: Hollande il pesce in barile, sta con Monti e con Bersani

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/12/2012

Il presidente se ne tiene fuori, il partito ci dà dentro: François Hollande fa un po’ il pesce in barile; il Ps fa una scelta di campo precisa e s’impegna. Le elezioni politiche italiane diventano occasione di confronto anche per le forze politiche europee, nel 2013 del ‘doppio scontro’ popolari–socialisti, in Italia a febbraio, in Germania a settembre.

Così, se i popolari del Ppe indicano senza mezzi termini in Mario Monti il loro campione, se non altro per esorcizzare la sconfitta sicura del candidato Berlusconi, i socialisti puntano i loro gettoni su Pierluigi Bersani, Senza reticenze, i socialdemocratici tedeschi: sperano che un successo ora della sinistra in Italia faccia da traino per un’affermazione alla fine dell’estate del loro candidato Peer Steinbrueck.

Con qualche maggiore cautela istituzionale, i socialisti francesi, che, da maggio, sono al potere. Così, Hollande s’adegua con real politik al suo ruolo, mentre il partito si spende a favore di Bersani. Lo dimostra il pranzo, oggi, a Villa Farnese, una sede istituzionale, l’ambasciata di Francia a Roma, del leader del Pd con il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, un ex premier di Mitterrand e uno dei maggiorenti del Ps.

E neppure Fabius si comporta da kamikaze della diplomazia. Il pranzo con Bersani, che pure pesa, è una parentesi in una visita a Roma istituzionale: partecipazione alla riunione degli ambasciatori d’Italia nel Mondo, incontro con il collega italiano Giulio Terzi, salamelecchi nelle dichiarazioni alla stampa (i due Paesi “si sono ritrovati dopo un periodo ‘movimentato’”; i rapporti sono “eccellenti”). E, a chi lo interroga il ministro degli Esteri, e non l’uomo di partito, sulla colazione con Bersani, Fabius risponde con l’invito “a non trarre conclusioni”: e poi, all’unisono con Terzi, assicura che Italia e Francia saranno amici “chiunque vinca le elezioni” –purché non sia Mr B, verrebbe da aggiungere-.

La cautela di Hollande a esporsi in prima persona nella politica italiana era emersa una settimana fa al Vertice europeo di Bruxelles, quello della pantomima del Ppe con Berlusconi e Monti entrambi presenti alla riunione dei leader dei popolari, che avevano giubilato il Cavaliere e ‘ovazionato’ il Professore. E l’atteggiamento di Hollande –spiegano fonti francesi- non è solo funzione del fatto che il presidente francese ha la tendenza a fare il ‘pesce in barile’ e ha una storia da Don Abbondio, di quelli, cioè, che ‘uno il coraggio non se lo può dare’.

Del resto, la stessa cancelliera Angela Merkel aveva adottato nell’occasione un doppio standard: nella riunione del Ppe. si era pronunciata con chiarezza a favore di Monti, riservando a Berlusconi un sorriso che sapeva di sorrisino; nella conferenza stampa a fine Vertice, dove si esprimeva come capo del governo tedesco, aveva detto di non volersi immischiare nelle faccende politiche italiane.

Inoltre, proprio l’imprudenza compiuta della cancelliera Merkel nelle elezioni francesi di maggio può ora suggerire a Hollande il doppio binario ‘presidenza-partito’: prima del voto, infatti, Angela espresse in modo aperto il proprio appoggio al presidente uscente Nicolas Sarkozy; e, dunque, dopo il voto, si trovò a dovere risalire la corrente con Hollande, in posizione di debolezza nello stabilire le inevitabili buone relazioni con il nuovo presidente francese.

A Bruxelles, al Vertice, Hollande aveva avuto pubblici apprezzamenti per Monti e il suo operato, tanto che altri leader socialisti lo avevano ‘corretto’: “Bene Monti, ma Bersani è il nostro uomo”. Da quando è in carica, il presidente francese, che in primavera era un esordiente nel club di grandi dell’Ue, ha trovato nel premier italiano una buona spalla sul tema della crescita: Francia e Italia sono state le ispiratrici di quel Patto per la Crescita varato nel giugno scorso al Vertice europeo e digerito dalla Merkel nel nome della coesione franco-tedesca e del ritrovato protagonismo europeo italiano. Ovviamente diverso, invece, il discorso per i socialdemocratici tedeschi: se il Pd vince in Italia e l’Spd in Germania, si formerebbe, per la prima volta nella storia dell’Unione, un triangolo di sinistra alla guida dell’Europa.

Quelle europee non sono le uniche variabili internazionali delle elezioni politiche italiane. L’altro interrogativo ‘pesante’ è per chi vota l’America di Obama, che ha stima e fiducia per l’Italia del Professore, ma che, prima, aveva già costruito un solido rapporto con il presidente Napolitano.

Usa: fiscal cliff, partita a poker sull'orlo del baratro del debito

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/12/2012. Altra versione su l'Indro il 21/12/2012

Il peggio è passato. Anzi, non c’è stato, perché la fine del mondo annunciata s’è rivelata la bufala prevista. Ma se, di qui alla fine dell’anno, negli Stati Uniti l’amministrazione democratica e l’opposizione repubblicana non riusciranno a mettersi d’accordo su tasse e tagli, deficit e debito, l’impatto sull’economia mondiale non sarà da fine del mondo, ma poco ci manca: altroché l’effetto sui mercati dei rinvii delle decisioni dei Vertici europei, che ogni volta allarmano la Casa Bianca.

Aumento delle tasse generalizzato, riduzione della spesa pubblica e, quindi, tagli ai servizi, colpo di freno alla crescita: questo è lo scenario apocalittico del 2013 economico-finanziario Usa. Però, nessuno prende sul serio questa eventualità: tutti danno per scontato che l’intesa, in extremis, si farà. I negoziati, infatti, continuano, con le due parti impegnate ad evitare di restare con in mano il cerino del fallimento. I repubblicani mettono in mora la Casa Bianca: senza compromesso, in questo contenzioso che va sotto il nome di ‘fiscal cliff’, le tasse saliranno per tutti, non solo per i ricchi che l’Amministrazione democratica vuole colpire, facendosi paladina della classe media.

L’altra sera, nel Congresso di Washington, è andato in scena l’ennesimo atto di questo braccio di ferro tra il presidente Obama e John Boehner, il capo dell’opposizione repubblicana che dal 2010 ha la maggioranza alla Camera. Dopo avere respinto il piano dell’Amministrazione per aumentare le tasse ai più ricchi, ma solo a partire da un reddito di 400mila dollari l’anno, i repubblicani non sono riusciti a fare passare il loro progetto, che puntava sui tagli alla spesa pubblica. Del resto, quel testo non sarebbe sopravvissuto all’esame del Senato, dove i democratici conservano la maggioranza.

Il confronto deve essere risolto entro la fine dell’anno e quindi prima dell’insediamento del nuovo Congresso, uscito dall’Election Day del 6 novembre, dove, comunque, i rapporti di forza tra democratici e repubblicani sono sostanzialmente invariati. I protagonisti del confronto sono il presidente Obama, da una parte, che vuole risolvere il contenzioso per poter affrontare a mani libere e senza condizionamenti di bilancio troppo pesanti il suo secondo mandato, e Boehner, il deputato dell’Ohio che guida i repubblicani alla Camera dal 2006 e che è stato, negli ultimi quattro anni, il principale interlocutore dell’Amministrazione democratica.

Boehner non è di per sé un conservatore radicale e non è neppure l’espressione del Tea Party, il movimento qualunquista e antitasse che aveva ottenuto, nelle elezioni di mid-term del 2010, un grande successo. Ma come leader dell’opposizione alla Camera è comunque condizionato, nel negoziato, dalle posizioni dei populisti, il cui maggiore interprete, in tema di bilancio e di fiscalità, è quel Paul Ryan che Obama ha affrontato come candidato alla vicepresidenza di Mitt Romney nella campagna per il voto di novembre.

Nel negoziato economico e finanziario entrano, come merce di scambio altre partite. Obama ha appena sacrificato sull’altare repubblicano Susan Rice, ambasciatore degli Usa all’Onu, candidata a succedere a Hillary Clinton come segretario di Stato. Al suo posto, Obama imbarca, nel suo team, in un posto chiave, un ‘pesce lesso’ come il senatore del Massachusetts John Kerry, già candidato alla presidenza nel 2004, sconfitto da George W. Bush. Lasciando il suo seggio, Kerry consentirà il ritorno in Senato di una Kennedy, Vicki, vedova di quel Ted che occupò lo scranno per oltre trent’anni, fino alla morte. A meno che il governatore del Massachusetts non le preferisca un’altra vecchia gloria della politica americana, George Dukakis, candidato democratico alla Casa Bianca nel 1988, sconfitto da Bush padre.

giovedì 20 dicembre 2012

II Punto: Onu, Corea, un giorno in rosa, l'ultimo del Mondo

Scritto per l'Indro il 20/12/2012

Una donna (in più) fra i potenti della Terra e la messa al bando, da parte dell’Onu, delle mutilazioni genitali femminili: se questo 20 dicembre 2012 dovesse mai essere l’ultimo giorno di questo Mondo –ma non ci crede (quasi) nessuno, senza offesa ai Maya-, l’umanità finirebbe dopo avere vissuto una giornata in rosa.

Una grande da seconda fila - Park Geun-hye, la nuova presidente della Corea del Sud, la prima nella storia del Paese, è una grande di seconda fila: non da G8, cioè, che non c’è quasi più, ma da G20. La leader dei conservatori è una persona dal volto duro e deciso ed ha, nella sua biografia,
una tara, essere la figlia dell’ultimo dittatore sudcoreano, Park Chung-hee, che prese il potere con
un colpo di stato nel 1963 e lo mantenne fino a quando non fu assassinato nel 1979.

La neo-presidente ha preso le distanze da suo padre sul fronte della repressione del dissenso, ma ne gode la luce riflessa per il boom economico che la Corea del Sud riconobbenell’era di Park, quando il Paese subì una profonda trasformazione sociale e produttiva. Fra i suoi elettori, vi sarebbero molti anziani nostalgici degli Anni Sessanta e Settanta.

La nuova presidente ha promesso, oggi, “una nuova era” per la politica sud-coreana, tutta fondata sul binomio: “sicurezza forte e diplomazia basata sulla fiducia”. Due pilastri di politica estera apparentemente contraddittori: un linguaggio che voleva essere soprattutto ascoltato nella regione, ovviamente a Pyongyang, la capitale della Corea del Nord, ma anche a Pechino, Tokio e Washington.

Avanzamento condizione femminile - A dare a questo 20 dicembre un’impronta storica d’avanzamento della condizione femminile, è però soprattutto il voto con cui l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione contro le mutilazioni genitali femminili. Il testo, che è il primo dedicato specificamente al tema, é stato presentato dal gruppo dei Paesi africani con il sostegno dell'Italia, ed è stato approvato per consenso, senza discussione ed emendamenti, a riprova dell'ampio accordo politico intorno alla misura.

La risoluzione esorta gli Stati membri a condannare la pratica a cui sono state sottoposte centinaia di milioni di giovani donne in tutto il Mondo, ma anche a promuovere programmi ad hoc nel settore sociale ed educativo per favorirne l'abbandono.   "E' un messaggio di speranza per milioni di bambine e ragazze", ha detto l'ambasciatore Der Kogda, rappresentante permanente al palazzo di vetro del Burkina Faso, tra i Paesi promotori. In Italia, unanimi le espressioni di soddisfazione: della Farnesina, ma anche di esponenti politiche come Emma Bonino, da sempre in prima linea in questa battaglia.

Dov’è Natale e dove non ancora - Nel resto del Mondo, è già Natale in Puglia per le famiglie dei due marò detenuti in India, sotto l’accusa di avere ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati: Massimiliano Latorre e Salvatore Girone hanno ottenuto da una corte indiana una licenza ‘condizionata’ di due settimane e l’autorizzazione a trascorrere in famiglia il Natale e le Feste. Fra le condizioni, l’impegno a tornare a farsi processare in India. Non è invece ancora Natale per la famiglia di Mario Belluomo, l’ingegnere catanese rapito con due colleghi russi in Siria, per cui sarebbe stato chiesto un riscatto superiore al mezzo milione di euro –lo dicono fonti di stampa russe, senza ulteriori conferme-.

Il resto dell’attualità internazionale sono pillole: il presidente russo Vladimir Putin se la prende con gli Usa, alla vigilia di un Vertice con l’Ue –visti ed energia i temi principali-; la Catalogna, come la Scozia, si prepara a un referendum sull’indipendenza –ma non è per domani-; il presidente iracheno Jalal Talabani sarà curato in Germania, dopo essere stato vittima di un ictus nei giorni scorsi; e, infine, Gerard Depardieu, in rotta con il suo Paese, riceve addirittura un’offerta d’asilo dalla Russia, mentre il presidente francese François Hollande è in missione in Algeria a cercare di fare affari nella ex colonia.

Italia-Germania: gli orrori del nazismo, il solco dello spread

Scritto per Il Fatto del 20/12/2012

Guido Westerwelle, ministro degli esteri tedesco, dice che “gli stereotipi minano l’amicizia”: un’affermazione sempre vera, anche se lui pensa a Italia e Germania. Però, a sapere la verità, l’amicizia non sempre ci guadagna di primo acchito: il rapporto della commissione degli storici italiani e tedeschi sui fatti avvenuti nel nostro paese tra l’8 settembre 1943 e l’8 maggio 1945, quando il Terzo Reich cadde, è così crudo che ti viene da pensare che sarebbe stato meglio non scoperchiare il verminaio.

In quel periodo –il computo è di uno storico tedesco, Gerhard Schreiber-, gli occupanti tedeschi si resero responsabili dell’assassinio di 165 italiani al giorno in media, tra prigionieri di guerra, civili, internati militari e deportati. Quindi, senza contare le vittime di atti di guerra ‘legittimi’: partigiani e soldati uccisi in scontri con la Wehrmacht, l’esercito tedesco. Ma –la nota è di Schreiber-, nessuno è mai stato definitivamente condannato in Germania per crimini di guerra in Italia.

Eppure, i sentimenti popolari tra Italia e Germania, oggi offuscati di diffidenze e rivalse, sono più condizionati dal presente europeo ed economico che da quell’atroce passato; e ne risentono più le opinioni pubbliche che i governi. Anzi due più ‘guancia a guancia’ di Angela Merkel e Mario Monti non si vedono, nei giri di valzer dei Vertici europei. Westerwelle dice che "la grande maggioranza degli italiani sa che la Germania non è responsabile dei loro problemi e dell’elevato debito pubblico"; ma paventa una campagna elettorale anti-europea –leggi, anti-tedesca- e populista, con lo slogan ‘dagli allo spread’. E Berlino definisce “una fantasia negativa” l’ipotesi dell’Italia fuori dall’euro.

La pubblicazione a Roma del rapporto è un momento di riconciliazione, anzi va ben oltre:  Italia e Germania vogliono costruire insieme una "cultura comune della memoria" promuovere iniziative per commemorare le vittime delle stragi naziste della Seconda Guerra Mondiale e "mostrare come da quelle tragedie i nostri Paesi siano riusciti ad uscire". Lo dice il ministro degli Esteri Giulio Terzi che, col collega Westerwelle, presenta alla Farnesina le conclusioni  della Commissione costituita al vertice italo-tedesco di Trieste del 2008 –il Vertice del Cucù, per chi non lo ricordi, con Mr B appostato dietro una colonna a fare cucù alla cancelliera-.

Obiettivo, approfondire il passato di guerra italo-tedesco, specie la sorte degli internati militari italiani. Da allora, alcune sentenze tedesche mal percepite in Italia hanno quasi acuito il bisogno d’una parola serena, ma esatta, su quanto avvenne in quei 20 mesi di guerra anche civile in Italia.

Il rapporto fa una serie di raccomandazioni: la realizzazione di un luogo della memoria nel campo di lavoro coatto a Berlino, la creazione di una fondazione sulla storia italo-tedesca, il finanziamento di borse di studio e di fondazioni presso i comuni delle vittime. Westerwelle riconosce che “contro gli italiani” tedeschi hanno “perpetrato crimini ingiustificabili", una "responsabilità" che non è stata negata dalla sentenza di febbraio della Corte dell'Aja, che pure accolse il ricorso della Germania contro l'Italia per il blocco delle indennità alle vittime dei crimini nazisti.

Ma la risposta al passato non è un monumento, o una Fondazione, o anche un indennizzo. E’ l’Europa dell’integrazione, che, mettendo la cooperazione al posto della contrapposizione, significa pace. Senza rinunciare ai diritti, perché –dice Terzi- se l’Italia “prende atto” della sentenza dell’Aja, continua “a richiedere l'esecuzione in Germania delle sentenze dei tribunali italiani che hanno individuato i responsabili di crimini contro l'umanità".

mercoledì 19 dicembre 2012

Il Punto: Usa, Time sceglie Obama come uomo dell'anni

Scritto per l'Indro il 19/12/2012

A Barack Obama, i premi capita spesso che glieli diano prima che se li meriti. Nel 2008, Time, che sceglie il periodo delle Feste per nominare l’uomo dell’anno, lo dichiarò tale. E, in fondo, un motivo c’era: Obama era appena divenuto il primo nero eletto presidente degli Stati Uniti e un posto nella storia dell’America e del Mondo se l’era conquistato. L’anno dopo, gli arrivò il Nobel per la Pace, che parve più una scommessa sul futuro che un riconoscimento a quanto fatto, ché ben poco aveva ancora fatto e potuto fare –e, ad oggi, non è cambiato molto- . Adesso, Time recidiva: lo risceglie come uomo dell’anno e lo ‘risbatte’ in copertina, anche se Obama, appena rieletto –e, questo, va bene, è importante, ma lo aveva già fatto- deve ancora cominciare a dimostrare che il suo secondo mandato sarà migliore del primo, invero modesto, almeno rispetto alle attese messianiche che aveva suscitato.

Questa volta, la prestigiosa rivista –l’aggettivo d’ordinanza lo devo pur mettere, prima o poi- lo sceglie come uomo dell’anno in quanto prototipo e simbolo del ‘nuovo americano’ (il che vuol dire tutto e nulla), mentre i sondaggi sulla sua popolarità volano alti (nella serie, e tutti salirono sul carro del vincitore). Ma, intanto, l’Amministrazione democratica non sblocca il complicato negoziato con l’opposizione repubblicana sul ‘fiscal cliff’. Anzi, là dove c’era ieri uno spiraglio d’ottimismo oggi s’addensano nubi di rottura.

E il Dipartimento di Stato è nella bufera perché un’indagine indipendente mette in evidenza inadeguatezze e incompetenze nella sicurezza al consolato di Bengasi, dove, a settembre, vennero uccisi l’ambasciatore Christopher Stevens e tre marines. Quella vicenda è maledetta, per l’America e l’Amministrazione: rabbia e lutto, al momento del dramma; che, poi, è già costato il posto a Susan Rice, l’ambasciatrice all’Onu che non diventerà segretario di Stato perché non disse la verità al Congresso, e lascia una patina opaca sull’immagine di Hillary Rodham Clinton, che sta per lasciare l’incarico: “Se abbiamo fatto errori, eviteremo di ripeterli”.
Intanto, mentre nel Connecticut proseguono i funerali delle vittime della strage di Newton: 26, 20 scolaretti delle elementari, è boom della vendita di armi a ripetizione: in Texas e altrove, la gente corre ad acquistarle prima che scatti, all’insediamento del nuovo Congresso, a inizio gennaio, la ‘crociata’ per metterle al bando. Va a finire che la strage si trasforma in un affare per l’industria della morte…

Una donna presidente – Altrove nel mondo c’è la novità, annunciata, di una donna, Park Geun-hye, eletta presidente –è la prima volta- della Corea del Sud: candidata conservatrice, figlia del dittatore Park Chung-hee, autore di un colpo di Stato nel 1961, Park ottiene più del 50% dei suffragi –l’affluenza alle urne è altissima- e s’impone sul democratico Moon Jae-in.

In Pakistan, prosegue la campagna dei terroristi contro i volontari dei vaccini anti-polio: ne vengono uccisi altri tre; e l’Oms sospende le operazioni. In Iraq, le condizioni del presidente Jalal Talabani, un curdo, colpito da ictus, restano stazionarie. In Medio Oriente, il rilancio, da parte di Israele, degli insediamenti - 2612 nuovi alloggi a Gerusalemme Est - innesca la reazione dei palestinesi, che, adesso che sono uno Stato all’Onu, per quanto ‘osservatore’, possono adire la Corte penale internazionale. Sui fronti italiani, acque (troppo) chete: in Siria, il sequestro dell’ingegner Mario Belluomo prosegue; in India, l’attesa dei marò si prolunga, perché la Corte rinvia di nuovo la decisione sulla loro ‘licenza’ di fine anno. Va a finire che li rivediamo in Italia nel 2013, se va bene.

Ue: Benigni presidente ad honorem europeisti dopo La più bella del Mondo

Scritto per EurActiv il 19/12/2012

Roberto Benigni presidente onorario del Comitato italiano del Movimento europeo, che già vanta, fra i suoi presidenti emeriti, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E’ l’idea che circola fra i leader del Cime, secondo quanto EurActiv ha appreso da fonte certa. L’attore e regista, premio Oscar nel 1999 con la Vita è bella, ha conquistato l’attenzione e la simpatia di tutti gli europeisti con le dichiarazioni ‘pro integrazione’ fatte durante la lettura dei principi fondamentali della Costituzione italiana, nel programma ‘La più bella del Mondo’, lunedì 17 dicembre su RaiUno.

Il Cime è la sezione italiana del Mouvement européen / European Movement: fra i suoi obiettivi, c’è la diffusione in più vasti strati dell’opinione pubblica italiana e, in particolare, tra i giovani, della convinzione che la creazione di una federazione europea, rispettosa delle autonomie nazionali, regionali e locali, sia indispensabile alla prosperità e alla reale indipendenza dei popoli europei. Il Cime porta inoltre avanti l’idea che lo sviluppo di nuovi strumenti di controllo democratico a livello europeo costituisca una garanzia insostituibile per il consolidamento della libertà, della democrazia e della pace.

In quest’ottica, è chiaro che il monologo di Benigni lunedì sera, seguito in prima serata da quasi 13 milioni di italiani, praticamente un telespettatore su due, è stato un efficacissimo spot europeista. Non è ancora chiaro, però, come e quando il Comitato, che ha come presidente Pier Virgilio Dastoli,  già stretto collaboratore di Altiero Spinelli e, recentemente, rappresentante in Italia della Commissione europea, farà la sua proposta al regista e attore.

martedì 18 dicembre 2012

Il Punto: Usa, Obama cerca l'intesa su tasse e conti, Biden zar anti-armi

Scritto per l'Indro il 18/12/2012

Nell’America che, sconvolta dalla strage di Newton, s’avvicina al Natale con un velo di tristezza e di ansia, specie nelle famiglie, si apre uno spiraglio di intesa tra l’Amministrazione democratica e l’opposizione repubblicana sul ‘fiscal cliff’, cioè sul contrasto economico-finanziario che investe fiscalità, bilancio e debito: senza un accordo, il 2013 si aprirebbe all’insegna di un giro di vite alla spesa pubblica, che frenerebbe la ripresa. Il presidente Barack Obama ha fatto una nuova proposta: inasprire la fiscalità dei ricchi, ma solo al di sopra dei 400 mila dollari di reddito annuo; e il leader dei repubblicani alla Camera John Boehner la considera un passo nella giusta direzione.

Forse, a socchiudere lo spiraglio ha proprio contribuito l’emozione per la strage di Newton, che induce la politica a relativizzare i problemi. Il presidente Obama s’è impegnato a migliorare la sicurezza dei bambini d’America: “dobbiamo fare di più per proteggere i nostri figli”, dice; e la Nazione è con lui.

In tutta l’Unione, resta alta la tensione e la preoccupazione, intorno alle scuole. I bimbi di Newton tornano in classe, ma in un altro complesso scolastico, sotto scorta armata. E mentre si continua a indagare sulla personalità del giovane killer, Adam Lanza, per comprenderne il movente, prosegue la polemica anti-armi: il presidente nomina il suo vice, Joe Biden, zar della crociata contro acquisti senza controlli di fucili e pistole a ripetizione, di tipo militare. E se, proprio a Newton, le cronache segnalano chi ne compra perché si sente minacciato, colpisce l’esempio di Walmart, la più grande catena di supermarket d’America, che ritira i fucili a ripetizione dai suoi scaffali.

Italiani prigionieri - Nella parte di Mondo che non è sensibile all’avvicinarsi del Natale, le cronache non sono certo ‘buoniste’. Resta incerta la sorte dei due marò italiani detenuti in India: Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono accusati d’avere ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati. Oggi, la Corte di Kochi ha rinviato a domani la decisione su una sorta di licenza di 15 giorni ai due militari, che potrebbero così trascorrere le Feste in famiglia in Italia. I giudici chiedono all’Italia garanzie che i due tornino, poi, a farsi giudicare in India; lo Stato del Kerala è contrario alla licenza; il governo di New Delhi, invece, non s’oppone.

E in Siria ci sono sviluppi, ma non ancora un epilogo positivo, nella vicenda dell’ingegnere italiano rapito con due colleghi russi: per Mario Belluomo, è stato chiesto un riscatto, si apprende. C’è la speranza che possa tornare presto libero e a casa, dice la farnesina, ma non è chiaro come.

Terroristi anti-vaccini e cronache di presidenti - Altrove, sono ancora cronache di terrorismo, come in Pakistan, dove tabelani ed estremisti islamici contrari alle vaccinazioni uccidono sei volontari che le praticavano. Di conseguenza, le vaccinazioni anti-polio vengono sospese in tutto il Paese: l’Oms chiede garanzie per riprenderle. Moriranno d’infezioni debellabili bambini pachistani, ma questo, evidentemente, ai terroristi non importa.

In Iraq, il grave ictus che colpisce il presidente Jalal Talabani, un curdo, è un colpo alla stabilità dell’area: Talabani, che –pare- non risponde alle cure ed è in coma profondo, era un elemento d’equilibrio fra le tre principali componenti della società irachena, sciiti, sunniti e, appunto, curdi. In un Paese dove solo lunedì un’ondata di attentati contro forze dell’ordine e civili aveva fatto almeno una cinquantina di morti e un centinaio di feriti, nell’imminenza del primo anniversario dell’uscita dal paese dei soldati americani, la paura di una fase d’instabilità è fortissima.

In Corea del Sud, domani è giornata di voto: alle presidenziali, parte favorita Park Geun-hye, figlia del dittatore Park Chung-hee. Se eletta, Park sarà la prima donna a governare il paese. Lunedì, invece, la Corea del Nord s’era mobilitata per rendere omaggio a Kim Jong-Il, il leader deceduto esattamente un anno prima: il mausoleo dove la salma imbalsamata di Kim riposa accanto a quella del padre Kim Il-Sung, fondatore nel 1948 della Repubblica popolare democratica di Corea, è stato oggetto del silenzioso tributo di centinaia di migliaia di cittadini.

Le tovagliette della regina - Ma l’immagine del giorno è quella della regina Elisabetta  II d’Inghilterra, che, per la prima volta nel suo regno di oltre 60 anni, ha assistito, a Downing Street, ad una seduta del Consiglio dei Ministri: era dall’ ‘800, dall’epoca della regina Vittoria, che non succedeva. Il premier David Cameron e i suoi ministri non hanno fatto tornare a casa la regina a mani vuote: le hanno regalato un set di 60 tovagliette. Colazioni numerose, a Buckingham Palace: sotto Natale, si sa, si riunisce tutta la famiglia.

lunedì 17 dicembre 2012

Il Punto: Esteri, Adam, Shinzo, Gérard, il Mondo merita meglio

Scritto per l'Indro il 17/12/2012

Chi lo sa, se il Mondo è un posto più sicuro, dopo la tornata elettorale di questa domenica, che in Giappone riporta al potere un falco nazionalista e in Egitto sembra dare un lieve vantaggio alla costituzione promossa dai Fratelli Musulmani. Di sicuro, l’America non è (ancora?) un posto più sicuro, dopo la strage di Newton nel Connecticut: i democratici annunciano l’intenzione di presentare una legge per limitare la diffusione delle armi da assalto e il presidente Obama è incline ad appoggiarla. Ma tutto è rinviato al Congresso prossimo venturo, che si insedierà ai primi di gennaio. Di qui ad allora, ci sono di mezzo tre settimane e tutte le Feste: di che lasciare che gli americani metabolizzino (un po’) l’orrore per le 26 vittime, 20 bambini; e dare spazio alle pressioni delle lobby delle armi, di cui il sindaco di New York Mike Bloomberg minimizza, però, l’impatto, “Una leggenda”.

La senatrice democratica Dianne Feinstein, una liberal, vuole ripristinare, con l’avallo di Obama, una legge firmata nel 1994 dall’allora presidente Bill Clinton, che metteva al bando le armi d’assalto. Il provvedimento era poi stato lasciato decadere nel 2004.

Mentre la politica si mobilita sull’onda dell’emozione, le indagini sulla strage proseguono. E spunta l’ormai inevitabile post sul web, “Mi ucciderò e farà notizia”, sempre che sia autentico, cioè che sia proprio opera di Adam Lanza, il giovane che, dopo avere compiuto l’atroce carneficina, s’è suicidato all’arrivo della polizia. Il presidente, intervenuto a una veglia con le famiglie delle vittime alla scuola elementare di Sandy Hook, promette di fare tutto quanto in suo potere per impedire altre “violenze indescrivibili” come questa.

Hillary, Susan, John – Più facile della stretta sulle armi, ma lo stesso problematica, la nomina del segretario di Stato dell’ ‘Obama 2’: Hillary Rodham Clinton, vittima di un malore in casa sua nel fine settimana – ma sta bene -, lascia, dopo quattro anni di onorato servizio; Susan Rice, ambasciatrice degli Usa all’Onu, è fuori gioco, dopo che i repubblicani l’hanno ‘impallinata’ per dichiarazioni sulla strage di Bengasi a settembre; e, quindi, tocca a John Kerry, candidato democratico alla Casa Bianca nel 2004, senatore del Massachusetts. Kerry è persona seria ed esperta, anche se carisma e brillantezza non sono due sue peculiarità. 

Giappone - I liberaldemocratici conservatori che tre anni or sono avevano inopinatamente perso il potere, battuti dai democratici di centro-sinistra, si sono ripresi il governo alla prima occasione: il loro leader, Shinzo Abe, un nazionalista, che aveva già guidato il Paese nel 2006/’07 con risultati fallimentari, ritornerà premier e già lancia la sfida alla Cina sulle Sensaku, isole contese. Il premier uscente Yoshihiko Noda, sconfitto, lascia la guida del governo e pure del partito. Abe promette di ricostruire le relazioni con gli Usa e mette in guardia Pechino: “Quelle isole ci appartengono”.

Egitto – Dalla prima tornata del referendum nazionale, esce in testa, secondo fonti non ufficiali, il progetto di Costituzione sostenuto dal presidente Mohamed Morsi e dai Fratelli Musulmani. Ma la partita resta aperta: sabato, circa la metà degli elettori, oltre 26 milioni di persone, erano chiamati alle urne; gli altri lo saranno sabato prossimo, il 22 dicembre. Solo dopo di allora, si potranno tirare le somme.

Nel frattempo, tutta l’area mediorientale resta teatro di forti tensioni. Domenica, il vice-presidente siriano Faruk al-Shareh ha ammesso che nessuno dei due campi è in grado di vincere il conflitto, dopo 21 mesi d’insurrezione poi degenerata in guerra civile. Ed è di oggi la notizia del rapimento di un tecnico italiano, Mario Belluomo, catanese, prelevato con due colleghi dall’acciaieria dove lavorava nella zona di Latakia. Sulla vicenda, le autorità mantengono il riserbo: “L’incolumità dell’ostaggio è la priorità” della Farnesina e del Governo, ha detto il ministro degli esteri Giulio Terzi.

E Teheran reagisce alla decisione della Nato d’installare batterie di missili Patriot in Turchia, alla frontiera con la Siria e l’Iran: una “provocazione”, la definisce il ministero degli esteri iraniano, che potrebbe avere – aggiunge - conseguenze “impreviste”. Una minaccia neppure troppo velata.

Obelix lascia la Gallia - Fra tante cose serie, o tragiche, una vicenda da operetta: Gérard Depardieu, l’Obélix per antonomasia, tradisce la Francia e chiede la cittadinanza belga. Quel che non riuscì ai romani di Cesare riesce al premier Jean-Marc Ayrault, che aveva definito “piuttosto patetico” il cambio di residenza deciso dall’attore per non pagare le tasse sui ricchi del governo del presidente François Hollande. Per avviare le pratiche, Depardieu, che si considera “insultato”, s’è rivolto al sindaco di Nechin, il paesino del Belgio dove vive: “Non chiedo approvazione –spiega-, ma rispetto”. Per una volta, meglio il personaggio che l’interprete: Obélix batte Gérard.

sabato 15 dicembre 2012

Ue/Italia: all'Unione interessa l'agenda, al Ppe Monti per vincere

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/12/2012

Nelle elezioni politiche italiane 2013, l’Unione europea non vota Mario Monti. Per due motivi: primo, che l’Ue non vota; secondo, che l’Ue non guarda alle persone –agli avvicendamenti dei leader c’è abituata- ma alle scelte. All’Unione europea, ammesso che ne siano interpreti i vari Barroso, van Rompuy, Juncker, presidenti rispettivamente del Consiglio, della Commissione e dell’Eurogruppo, oppure Angela Merkel, cancelliera tedesca –guarda caso, tutti noi diremmo democristiani-, interessa che l’Italia del ‘dopo Monti’ sia guidata da qualcuno che faccia le scelte di Monti, rigore, riforme, riduzione del debito, equilibrio di bilancio. Può chiamarsi Monti, o Bersani, va sempre bene, purché quello faccia.

E la sceneggiata del Partito popolare europeo, allora, che giovedì ha ‘ovazionato’ Monti suo candidato e ‘silurato’ Berlusconi, pur non essendo mai stato, almeno finora, il Professore un ‘popolare’ e pur essendo il Cavaliere, da quando fa politica, un membro del partito? Il Ppe, che è la maggiore formazione politica europea, è stato guidato da una doppia preoccupazione: da un lato, elettorale, con la percezione che Berlusconi sarebbe destinato a sicura sconfitta, consegnando l’Italia alla sinistra; dall’altro, politica, con la consapevolezza che Berlusconi mai e poi mai farebbe propria l’agenda Monti –e, del resto, lo proclama ad alta voce- e anzi condurrebbe una campagna populista e, fondamentalmente, anti-europeista –oltre che anti-tedesca, il che ha il suo peso-.

Dunque, tra il Cavaliere, che lo farebbe probabilmente perdere e, se lo facesse sorprendentemente vincere, ne sarebbe una scheggia fuori controllo, e il Professore, che può farlo vincere e che è la quintessenza dell’ortodossia economica berlino-bruxellese in questo momento, il Ppe sceglie il Professore. C’è un neo, però, in questo processo: che il Professore non sceglie il Ppe, o, almeno, avendo ormai scelto il Ppe, non sceglie ancora di candidarsi, cioè non scioglie la sua riserva. Non l’ha fatto ieri, non l’ha fatto oggi, a Vertice europeo concluso, anche se ha aggiunto che nel suo futuro ci sarà comunque “un impegno europeo”. Che pensi alla presidenza della Commissione europea, che si libererà nel 2014? Possibile, e sarebbe certamente un miglioramento, rispetto a Barroso.

Però, se il Ppe sceglie Monti, il Pse, cioè il Partito socialista europeo, nella sua contorta componente del gruppo S&D al Parlamento europeo –socialisti e democratici, così che ci possono stare dentro anche quegli eletti del Pd che non hanno una coloritura socialista-, conferma la preferenza per Bersani: il capogruppo Swoboda dice “bene Monti, ma Bersani è il nostro candidato”. E così la pensa pure Hollande, che s’impegna in una sorta di braccio di ferro ideologico con Cameron sul futuro dell’integrazione: il francese la vede a più velocità, il britannico considera l’immagine “un cliché.

Rispetto all’apertura del Vertice, giovedì, la chiusura, ieri, vede i leader meno sbilanciati nelle loro dichiarazioni politiche: sarà che non parlano più da capi di partito, ma da capi di Stato o di governo. Così, la Merkel conferma il giudizio positivo su Monti e il suo governo, ma evita “di entrare nelle faccende italiane”; e Rajoy elogia Monti, ma –aggiunge- “decide il popolo italiano”. Sulla sponda opposta, Hollande affossa Berlusconi –“non vedo per lui prospettive concrete”-, ma non gli contrappone un suo ‘campione’. L’unico che mantiene la lingua sciolta è Juncker, che continua a prendere a ceffoni il Cavaliere e a fare ponti d’oro al Professore: ma è lussemburghese e, con il Gran Ducato alle spalle, può dire quel che vuole.

In tutto questo, resta l’incognita Monti. Doppia: che cosa farà –e ce lo dirà lui, prima o poi-; e perché lo ha fatto, giovedì, di andare alla riunione dei capi del Ppe, perdendo, con quel gesto, il suo statuto di tecnico ‘extra partes’, se non ‘super partes’, e divenendo una pedina della politica. Impossibile immaginare che il Professore non abbia valutato l’impatto e le conseguenze del suo gesto, che suona –e di fatto è stato- una scelta di campo. Nessuno lo credeva di sinistra, ma nessuno – fino a giovedì – lo sapeva ‘popolare’.

Ue/Italia: Ppe, Mauro, Cl, il Cavaliere, storie d'intrighi di gruppo

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/12/2012
Con Gianni Pittella, Pd, vicepresidente vicario dell’Assemblea di Strasburgo, Mario Mauro è uno dei due italiani che davvero contano nel Parlamento europeo: nato a San Giovanni Rotondo 52 anni fa, è capo delegazione del Popolo della Libertà dentro il gruppo del Partito popolare europeo, dopo essere stato, nella scorsa legislatura, uno dei 14 vice-presidenti dell’Assemblea. Quell’incarico, oggi, è ricoperto da un’altra Pdl, Roberta Angelilli, che, però, non ha fra gli eurodeputati il peso ed il seguito di Mauro.
Dalla vicenda del ‘cartellino giallo’ del capogruppo Ppe Joseph Daul contro Silvio Berlusconi, è emerso come l’iniziatore della fronda anti-Cavaliere nell’Unione.  Lui se ne schermisce, citando Daul: ''La mia posizione sulla situazione politica in Italia non è stata influenzata da nessuno e riflette quella del Ppe''. Ma è stato lo stesso Cavaliere a denunciare un ruolo di Mauro nell’ammonizione comminatagli dal capogruppo Ppe.
Il capo delegazione europeo del Pdl non si nasconde, del resto, dietro un dito. Ieri, a Omnibus, diceva: "Abbiamo poche ore a disposizione per far sì che quella piattaforma naturale cui guardano gli elettori che non si riconoscono nella sinistra si possa attuare. La nostra responsabilità è favorire il più possibile questa strada". E aggiungeva: "Il problema non è un passo indietro di Berlusconi quanto un passo avanti che non c'è stato di una classe dirigente o di figure-catalizzatrici".
Cattolico, laureato in filosofia all’Università del Sacro Cuore, nel Collegio Augustinianum, Mauro, docente di storia all’Università europea di Roma, autore di numerose pubblicazioni e in passato responsabile nazionale per la scuola e l’Università di Forza Italia, è membro attivo di Comunione e Liberazione. Sposato con Giovanna, ha due figli, Francesca Romana e Angelo.
Alla terza esperienza da parlamentare europeo –fu eletto la prima volta nel 1999 e divenne subito vice-presidente della commissione cultura e istruzione-, Mauro era stato proposto dal Pdl come candidato alla presidenza del Parlamento per la prima parte di questa legislatura. Il Ppe, però, gli preferì il polacco e protestante Jerzy Buzek.
Mauro porta nella politica europea l’impronta cattolica della sua formazione, anche se, a livello Ue, Cl non è la corazzata che è in Italia. Un esempio: nel 2006 condannò una risoluzione del Parlamento che invitava ad eliminare le discriminazioni e ad equiparare i diritti delle coppie omosessuali, bollandola come un "documento ideologico" e un "manifesto inneggiante alla distruzione dei valori che hanno originato l'Unione europea come progetto politico".
Dal 2009 al 2011 Mauro è stato rappresentante personale della presidenza presso l’Osce contro razzismo, xenofobia e discriminazione, specie per i casi d’intolleranza e discriminazione religiose. Ed è sempre molto attento a promuovere e difendere i diritti umani ovunque nel Mondo ed a proteggere gli attivisti che subiscono persecuzioni o discriminazioni dalle autorità locali.
Ma il suo curriculum parlamentare non è limitato a queste aree: è lui stesso a ricordare, ad esempio, d’avere presentato nel 2008, “con il collega Pittella”, un documento scritto "sull´uso degli Eurobond come nuova strategia per sostenere la crescita". 
Gli atteggiamenti critici nei confronti di Silvio Berlusconi non sono per lui una novità: nel gennaio 2011, quando il Cavaliere era ancora al potere, firmò, con Roberto Formigoni, altro ciellino doc, una lettera aperta per chiedere ai cattolici italiani di sospendere ogni giudizio morale sul premier, indagato dalla procura di Milano per concussione e favoreggiamento della prostituzione minorile: presunzione d’innocenza, certo, ma anche presa di distanza.

venerdì 14 dicembre 2012

Ue: Vertice, per la stampa estera solo "un pigro calendario"

Scritto per l'Indro il 14/12/2012
A me, pareva che fosse stato un Vertice positivo. E, invece, leggo la stampa estera e mi accorgo che così non è stato perché i piani per il rafforzamento della zona euro procedono lentamente. Sarà che m’ero abituato che non procedessero affatto, dopo un filotto di riunioni dell’Ue senza decisioni, che l’accordo su modi e tempi dell’Unione bancaria e lo sblocco degli aiuti alla Grecia mi parevano già grasso che cola. Quanto alla stampa nostrana, è più concentrata –comprensibilmente- sui destini dell’Italia che su quelli dell’Europa: conta la preferenza espressa dal Ppe per Mario Monti, invece che per Silvio Berlusconi.
Certo, se uno nutriva, come der  Spiegel, grandi aspettative sarà rimasto deluso, perché il Vertice, pubblicizzato come l'occasione "per impostare il futuro corso della zona euro", ha in realtà rimandato a giugno –l’analisi è del Financial Times- le decisioni più significative e impegnative.
I leader dei 27 paesi dell'Unione europea, riuniti a Bruxelles per l'ultimo Vertice 2012, si sono accordati su quello che Spiegel Online definisce un "pigro calendario": le decisioni saranno prese non prima dell'estate 2013. "Essendo trascorse meno di 24 ore da quando i ministri delle finanze hanno compiuto un passo in avanti verso la creazione di un'unione bancaria nella zona euro – scrive FT, con una vena d'ironia – i capi di governo devono avere pensato che un progresso del genere fosse sufficiente per il momento e che ulteriori passi per l'integrazione della moneta unica potessero essere rimandati".
Dà una lettura più positiva, e quindi più simile alla mia, il Washington Post, che ha lo spettro largo dell’analisi americana e parla di “una buona settimana”, finalmente, per l’Unione europea, titolando: "L'Ue fa tripletta con Grecia, accordi sulle banche e Nobel per la Pace, ma le sfide restano".
In un loro documento, che resta sul tavolo, i presidenti delle principali istituzioni Ue (Van Rompuy, Consiglio; Barroso, Commissione; Juncker, Eurogruppo; Draghi, Bce) hanno già tratteggiato percorso e tappe: si parte dall’Unione bancaria; e si finirà con la piena integrazione finanziaria, sia sul fronte pubblico che su quello privato. Un risultato non trascurabile, se sarà conseguito ...

Ue/Italia: il Cav e il Prof al Ppe, 'Mario, candidati', 'Silvio, sta buono'

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/12/2012
Teatrino italico sulla scena europea. L’ex premier Silvio Berlusconi si presenta, legittimamente, anche se magari inopportunamente, al consulto fra i leader del Partito popolare europeo, che precede il Vertice dei 27, e ci trova il premier Mario Monti, che, con il Ppe, c’entra poco (o, meglio, c’entrava poco finora). E tutti a dirgli, al Professore, non al Cavaliere, di candidarsi e di continuare a guidare l’Italia: Van Rompuy, Barroso, la Merkel, gli altri, che sono tutti ‘popolari’ – in italiano, si legge democristiani-. Alla fine, glielo dice pure Silvio a Mario: “Se ti candidi tu, non mi candido io”. Il Professore è reticente: “No comment, per ora penso al governo”.
Il consesso conta: il Ppe ha la maggioranza dei capi di Stato o di governo dell’Ue. Ovvio che i capi dei capi del Partito si preoccupino di evitare che la sinistra vinca le prossime elezioni in Italia: è il loro minimo comune denominatore. Per la Merkel, un successo della sinistra da noi sarebbe un cattivo presagio, in vista delle politiche tedesche di settembre.
Fatto sta che a Bruxelles, in queste ore, tutta l’attenzione è concentrata sulla situazione italiana. Anche perché un Vertice così facile, i leader dei 27 se lo sognavano da anni: è tutto fatto, loro ci devono solo mettere la faccia e la firma. E poco importa che la stampa tedesca faccia dello humour all’inglese, scrivendo che la muraglia cinese dell’Unione bancaria s’è trasformata in un paravento pieghevole giapponese, quelli di carta di riso, che lasciano intravvedere più di quanto nascondano.
Non ci fossero le beghe italiche, qui sarebbe una buona giornata europea: da un lato, la nuova fetta di prestiti alla Grecia decisa dall’Eurogruppo; dall’altro, modi e tempi dell’Unione bancaria definiti dall’Ecofin. L’accordo tocca tutti i Paesi dell’euro e pure gli altri, tranne Gran Bretagna e Svezia.
La presenza di Mr B all’incontro del Ppe sarebbe già stata di per sé imbarazzante, dopo la sortita anti-Cavaliere del gruppo del partito al Parlamento europeo. Figuriamoci insieme a Monti, che è stato invitato –si scopre- dal presidente del Ppe Martens, un ex premier belga un po’ andato, causa età e alcol. Berlusconi, gli amici li può contare sulle dita di una mano (e alcuni sono impresentabili, come Orban, il premier ungherese, un tifoso del Milan). Ma anche fra i supporter di Monti ce ne sono di poco raccomandabili, come il presidente albanese Berisha.
Invece di zittirsi, il Cavaliere s’esalta: si sente “coccolatissimo” dal partito; e fa il piazzista a Mario. Lo invita a candidarsi e a essere “punto di riferimento” del Pdl, nonostante l’ostracismo della Lega; dice che, se Monti ci sta, moderati e Lega insieme vincono; afferma che la sua visione e quella del premier “si sommano” senza differenze e che tra loro c’è “un buon feeling”; tiene in sospeso le sue scelte: “Vedremo… Se mi presento prendo i voti del 2008”.
Poi innesca i ritornelli: è una menzogna assoluta che l’Italia con lui fosse sull’orlo del disastro; e  non è vero che il debito sia eccessivo, “abbiamo 9000 miliardi di attivo”. Polemizza con Daul, capogruppo del Ppe a Strasburgo, un tedesco che l’ha criticato; e con Schulz, presidente Spd dell’Assemblea, “una personalità problematica”. Della Merkel dice “non ci siamo parlati, ma ci siamo sorrisi” –o forse era un sorrisino?- .
La cancelliera guida il coro “Mario candidati”. Juncker dice che il sostegno per Monti è grande, Martens che il partito è "unito contro populismo e antieuropeismo”. Barroso insiste sull’importanza della stabilità dell’Italia ed elogia il Governo dei Tecnici: "Ho parlato con Berlusconi – racconta – per dirgli che un'Italia stabile e che prosegua sulla via delle riforme è cruciale anche per l'Europa".
Il premier comincia la giornata con una conferenza a un think tank; poi vede Barroso e pure Hollande e Rajoy; quindi va al Ppe e infine al Vertice. La situazione politica italiana preoccupa l’Europa: il cambio di vento a  Roma non piace: i leader popolari e pure gli altri vogliono capire. Monti prova a calmare gli animi, ricorda che il suo governo è in carica e rassicura: "Qualunque sarà l'esito delle elezioni, l’esecutivo che verrà si collocherà nella linea tradizionale di un forte appoggio all'integrazione europea", perché questo "è nell'interesse nazionale". Non gli crede nessuno; e, forse, non ci crede neppure lui.