P R O S S I M A M E N T E

Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore

domenica 31 agosto 2014

Ue: nomine; Mogherini, Renzi vince, l'Europa chissà


Scritto per AffarInternazionali.it ed EurActiv.it il 31/08/2014

Una vittoria per Renzi. Un’incognita per l’Italia. Una “scelta sbagliata”, almeno nelle motivazioni, per l’Europa. E una sfida per Federica Mogherini, che deve dimostrare a chi l’ha scelta, o accettata, anche giudicandola non ingombrante per la sua scarsa esperienza e poca notorietà d’avere le qualità e la personalità per dare spessore alla politica estera europea, che cinque anni di Lady Ashton hanno reso eterea e impalpabile.

Anche Lady Ashton fu scelta per gli stessi motivi: di sicuro, si pensava, non avrebbe dato ombra alle grandi diplomazie nazionali. E lei s’è ben guardata dal farlo, dal rendersi protagonista, forse con l’eccezione del negoziato con l’Iran. Eppure le cronache del suo mandato quinquennale, Primavere arabe e grandi crisi nel Medio oriente, Califfato e Ucraina, le hanno offerto molte occasioni per mostrarsi concreta e tempestiva.

Federica Mogherini è più preparata di quanto non fosse nel 2009 Lady Ashton. E parte consapevole delle “sfide immani” –parole sue- che ha davanti. Annunciandone la nomina, il presidente uscente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy l’ha indicata come "il nuovo volto dell'Unione europea nei rapporti con i partner internazionali" e ha previsto che sarà "un'abile e ferma mediatrice" e che "difenderà strenuamente il ruolo dell'Europa nel mondo".
Lei ha risposto a tono, con padronanza della storia dell’integrazione, alternando inglese e francese, confutando l’accusa –risibile- di essere troppo giovane per quel posto. Ha citato Robert Schuman, circa la necessità di unire l’Europa per mantenere la pace; ha detto di credere che l'Unione europea sia “un sogno diventato realtà" e s’è posta la priorità di fare in modo  che tutti gli europei "continuino a considerarla tale, senza che il sogno diventi un incubo".
Per essere all’altezza dei propositi, e perché l'integrazione europea “nata come un progetto di pace” lo resti “in questi tempi di crisi e conflitti", la Mogherini dovrà agire da ‘ministro degli esteri’ dell’Ue e, quindi, tradire spesso le attese minimaliste dei suoi Grandi Elettori e persino disattendere i calcoli opportunistici di chi l’ha spinta a quel posto.
Perché, al di là degli ossequi istituzionali –unanimi, dal presidente Napolitano al presidente Obama- e delle riverenze –e reverenze- mediatiche, persino stucchevoli, non c’è assolutamente dubbio che la nomina della Mogherini sia una vittoria per Matteo Renzi: i leader dell’Unione hanno dato retta all’ultimo premier italiano di questo tris da ‘uno all’anno’.
Certo, lui aveva messo giù non un asso né un sette bello, che magari avrebbero creato imbarazzo e perplessità: un sei da primiera, al più, che non preoccupava nessuno –tranne la Lituania, astenuta-. Facile immaginare, ora, dopo The Economist, che la Merkel e Hollande, e pure Cameron, gli abbiano comprato un gelatino per tenerlo buono; e, intanto, il fronte della flessibilità s’assottigliava e s’indeboliva, con la defezione spagnola e le vicissitudini francesi. Ma sapendo quanto il premier sia sensibile all’argomento gelato, è meglio non pensarlo neppure.
Per l’Italia, la nomina della Mogherini costituisce un’incognita. Renzi sottolinea in positivo il peso “della responsabilità” riconosciutaci. Ma di fatto, al di là degli ovvii propositi di onnipresenza dell’Alto Rappresentante, che è pure vice-presidente della Commissione europea, l’Italia avrà un’antenna meno presente nell’Esecutivo comunitario, dove transitano ogni settimana molti dossier di suo interesse.
In quest’ottica, persone d’esperienza europea e di appartenenze politiche diverse erano –e sono- concordi: gli interessi spiccioli italiani sarebbero stati meglio serviti da un commissario ‘culo di pietra’ capace di farsi sentire in tutti i passaggi delicati. Certo, la Mogherini potrà mettere insieme uno staff di collaboratori d’eccellenza, che ne surrogheranno le assenze implicite nel suo ruolo; ma il peso di un funzionario, o di un diplomatico, nell’Esecutivo non è mai quello di un commissario.
Infine, l’Europa. Perché una “scelta sbagliata”? E’ la valutazione dei media europei più autorevoli che, la vigilia del Vertice, già ne criticavano le decisioni –Financial Times, Le Monde, Die Welt-, mentre avvertivano che la barca dell’euro può ancora affondare –Economist-. Per l’FT, la nomina della Mogherini “è una delusione”, perché l’Ue poteva puntare su personalità di maggior spicco. E Le Monde prospettava “un triste giorno per l’Europa”, denunciando proprio le carenze d’esperienza e di prestigio del ministro italiano, cui pure riconosceva punti positivi: “E’ una donna (e ce ne sono poche al vertice dell’Ue), è socialdemocratica (e ciò è buono per gli equilibri politici), consente all’Italia di piazzare una pedina ed alla signora Merkel di fare una concessione a Renzi... E’ perfettamente anglofona e francofona. Tutte le caselle sono riempite”.

Certo, può stupire che gli strali contro l’Unione al minimo comune denominatore in politica estera vengano proprio dai media dei Paesi più gelosi delle loro prerogative sulla scena internazionale (e quindi meno inclini a farsi rappresentare da personalità di spicco in sede europea). Ma si può avere una faccia tosta e dire cose giuste.

Confermate, del resto, dalla scelta, sponsorizzata dalla Gran Bretagna, del polacco Donald Tusk, che parla russo e tedesco, e non –ancora- inglese e francese, alla presidenza del Consiglio europeo. La nomina di Tusk viene incontro ai Paesi dell’Europa centrale e orientale, che non si sentivano rappresentanti ai vertici delle Istituzioni e che sono inquieti per la crisi ucraina, e soddisfa i Paesi più riluttanti all’integrazione: Tusk non è un europeista presiederà pure i Summit dell’Eurogruppo, nonostante la Polonia sia fuori dall’euro.

Con il duo Juncker / Tusk, l’Unione viaggerà, anche per i prossimi cinque anni, con il freno a mano della prudenza tirato. Sarà la Mogherini la suffragetta dell’integrazione?

Iraq/Ucraina: Usa rispolvera coalizioni volenterosi, Ue ci va cauta

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 31/08/2014

E’ di nuovo tempo di “coalizioni dei volenterosi”: le crisi che incrinano la sicurezza del Mondo, almeno del nostro, e che le diplomazie non riescono ad arginare inducono a rispolverare, sotto diversi schemi, la formula adottata da George W. Bush nell’intento di dare all’invasione dell’Iraq una dimensione internazionale.

Il segretario di Stato Usa Kerry lancia l’appello per una coalizione globale che fermi "il programma di genocidio" degli jihadisti dello Stato islamico tra Siria e Iraq. In vista del Vertice Nato in Galles, il 4 e 5 settembre, Kerry invoca dalle colonne del New York Times "una risposta unitaria guidata dagli Stati Uniti e una coalizione di Nazioni la più ampia possibile".

A fine settembre, poi, il presidente Obama annuncerà all’Onu un piano per combattere il Califfato. "Coglieremo l'occasione -spiega Kerry- per continuare a costruire un'ampia coalizione e per ribadire la minaccia costituita dai terroristi stranieri unitisi” alle milizie jihadiste. E le monarchie del Golfo si offrono subito volontarie come coscritti.

Il Financial Times rivela che qualcosa del genere si prepara per l’Ucraina –un’iniziativa molto più pericolosa lì per la pace mondiale-: sette Paesi Nato intendono creare una forza di reazione rapida con 10mila uomini -una divisione-, nel quadro d’un consolidamento delle difese dell'Alleanza dopo l'intervento russo. A guidare la forza inter-arma sarà il Regno Unito. Vi parteciperebbero Norvegia, Danimarca, Olanda, Lituania, Lettonia, Estonia (e, forse, il Canada). Il premier britannico Cameron dovrebbe darne l’annuncio al vertice Nato, che si profila come una congrega di guerrafondai.

Proprio l’Ucraina dirotta il Vertice straordinaria dell’Unione europea: a Bruxelles i leader dei 28 decidono in quattro e quattr’otto gli assetti delle Istituzioni Ue e ascoltano il presidente ucraino Poroshenko denunciare l’invasione russa del suo Paese. E il presidente lituano Dalia Grybauskaite dice che la Russia è “praticamente in guerra con l’Europa” e invita i partner a dare armi a Kiev.

Poroshenko afferma che migliaia di militari e centinaia di carri hanno invaso il territorio ucraino.  Spesso, gli allarmi di Kiev in queste settimane sono stati esagerati, ma, questa volta, c’è l’avallo dell’intelligence occidentale: una fonte britannica, citata dalla Cnn, afferma che i soldati russi nell'est dell'Ucraina sono tra i 4.000 e i 5.000, ben più del migliaio di cui si era parlato. Sarebbero inquadrati in varie formazioni e combatterebbero nelle zone di Lugansk e Donetsk. La Russia avrebbe inoltre schierato 20.000 soldati lungo la frontiera.

Smentita da Mosca, la presenza di militari russi sul territorio ucraino è confermata da Lady Ashton, il ‘ministro degli esteri’ europeo: "La Russia ritiri le truppe dal territorio ucraino", intima a Milano, dopo un consulto informale dei ministri degli Esteri dei 28. La crisi “non ha una soluzione militare, ma ci vuole una soluzione politica che garantisca l'integrità territoriale dell'Ucraina".

L’Ue s’appresta a inasprire le sanzioni contro la Russia, portandole “al terzo livello”, annuncia Poroshenko dopo l’incontro collegiale e vari bilaterali –uno pure con Renzi-. Il presidente ucraino teme che si sia “molto vicini a un punto di non ritorno da una guerra su vasta scala", ma non esclude un accordo per una tregua nella riunione lunedì a Misk del gruppo di contatto Kiev-Mosca-Osce.

Maggiori sanzioni comporteranno, però, maggiori ritorsioni –e quelle in atto colpiscono l’Italia-. Mosca vuole un negoziato che legittimi l’autoproclamata repubblica filo-russa nell’est dell’Ucraina e la tuteli dalla controffensiva militare ucraina. Ma sollecita pure il nazionalismo russo, paragonando l’assedio di Donetsk a quello di Stalingrado.

Dal fronte, notizie rarefatte. Un caccia ucraino Su-25 e' stato abbattuto da missili anti-aerei russi, riferiscono fonti ufficiali. Ma i ribelli sostengono d’avere abbattuto quattro velivoli.

sabato 30 agosto 2014

Ucraina: l'arte della guerra russa, ti bacio e ti invado

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/08/2014

Promesse di aiuti “fraterni” e prezzi esosi per beni di prima necessità, strette di mano e pugnalate alla schiena, baci sulla bocca e carri armati già incolonnati oltre il confine: la crisi ucraina ha riti e ritmi di altre tragedie dell’Europa orientale, cui l’Occidente assistette inerte e impotente. E quando il Cremlino dice che russi e ucraini sono “praticamente un unico popolo”, la frase non suona rassicurante, ma mette un brivido.

Evocare l’Ungheria del 1956 o la Cecoslovacchia del ’68 è –ancora- improprio. Però, un gruppo d’intellettuali polacchi, fra cui il regista da Oscar Andrzej Wajda, s’appresta a lanciare un appello per l’Ucraina: lo farà il 1° settembre, 75° anniversario dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, quando le truppe naziste passarono la frontiera polacca, nonostante che Gran Bretagna e Francia avessero appena trangugiato, dopo l’annessione dei Sudeti, l’invasione della Cecoslovacchia, sperando di garantirsi così la pace.

Un monito, quello degli intellettuali polacchi. Tutti sperano –e quasi tutti credono- che stavolta non si arriverà a quel punto. Ma, ancora una volta, la politica internazionale si rivela l’arte dell’inganno e della doppiezza. I presidenti russo Vladimir Putin e ucraino Petro Poroshenko si sono incontrati, parlati, dati la mano al Vertice dello Sbarco, il 6 giugno, in Normandia –Poroshenko era stato appena eletto- e, di recente, a Minsk, sotto gli occhi sgranati della signora della politica estera europea Lady Ashton.

Ma né l’uno né l’altro hanno fatto seguire a quegli atti di incontro e di dialogo fatti concreti. Messa un po’ in sordina sui media occidentali da conflitti e orrori di segno diverso, tra Siria e Iraq, a Gaza, in Libia, il conflitto nell’Est dell’Ucraina ha fatto dall’aprile scorso 2600 vittime –la cifra è stata data ieri dall’Onu-. E le autorità di Kiev ammettono la perdita di 789 soldati –quasi 2800 i feriti-. Ciò significa che le altre 1800 vittime sono combattenti filo-russi o civili, molti finiti sotto bombardamenti su centri abitati. Senza contare i morti sull’aereo della Malaysian Airlines abbattuto per errore.

In questa crisi, le scelte dell’Occidente non porteranno, probabilmente, a un conflitto mondiale: ancora ieri, gli Stati Uniti hanno escluso un intervento militare, nonostante la piega degli eventi. Ma Usa e Ue, sempre incerte tra dialogo e sanzioni, non hanno neppure sventato un deterioramento della situazione. E forse anche per l’atteggiamento di Washington e Bruxelles, Putin, che pareva ‘appagato’ dall’annessione della Crimea, pare oggi tentato dall’aprire una via al mare ai ‘filo-russi’, per facilitare l’arrivo loro di mezzi e rifornimenti e creare i presupposti per un’ulteriore annessione di territorio ucraino –che i russi, va detto, considerano russo-

Invece di scegliere la via del dialogo e della riconciliazione nazionale, Poroshenko ha voluto stroncare ‘manu militari’ l’insurrezione filo-russa. E Stati Uniti ed Unione europea non hanno esercitato su di lui adeguata azione di persuasione e convincimento, tenendo in qualche ambigua misura aperte le porte dell’Ue all’Ucraina e schiudendo –è storia di ieri- pure quelle della Nato. E non sarà certo stata la telefonata di giovedì con il premier Renzi a dissuadere il presidente Putin, che, in questa crisi, di ore al telefono ne ha passate molte col presidente Obama e la cancelliera Merkel.

Putin dice che la guerra nell’Ucraina orientale è "un'enorme tragedia, una nostra tragedia comune"; e aggiunge che "bisogna fare tutto il possibile per fermare" i combattimenti "al più presto"; ma ricorda pure “siamo una potenza nucleare, con noi non si scherza”. E Mosca continua a negare che le sue truppe siano sul territorio ucraino, nonostante che l’intelligence occidentale questa volta avalli gli allarmi –spesso- fasulli ucraini.

Washington e Bruxelles non vanno oltre la logica delle sanzioni, che però innescano ritorsioni. I 28 ne parlano oggi al loro Vertice, a Bruxelles, dopo che i ministri degli Esteri ne hanno discusso, ieri, a Milano. A suggerire la linea, ancora una volta, la Merkel, Signora del Rigore, ma pure Signora del Dialogo con Kiev e con Mosca –anche perché la Germania, come l’Italia, dipende dal gas russo-.

venerdì 29 agosto 2014

Nomine: -1 a Vertice, una certezza, tanti dubbi, musi lunghi

Scritto per EurActiv.it il 29/08/2014

Contesto da tregenda economica, per il Vertice delle Nomine domani a Bruxelles: i leader dei 28 s’incontrano per decidere i nuovi assetti delle Istituzioni europee, mentre gli indicatori statistici segnalano un deterioramento della situazione economica e la crisi in Ucraina precipita. I media europei più autorevoli criticano le scelte sulle nomine –Financial Times, Le Monde, Die Welt- e avvertono che la barca dell’euro potrebbe ancora affondare –Economist-.

Fronte nomine, il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, a fine mandato, continuerà fino all’ultimo i contatti telefonici con i vari leader. E, prima della riunione, convocata nel pomeriggio, al Justus Lipsius, i capi di Stato e di governo avranno consultazioni di partito: così, i socialisti, sono stati invitati all’Eliseo la mattina dal presidente francese François Hollande.

Fronte crisi, il premier italiano Matteo Renzi porterà al Vertice i risultati del Consiglio dei Ministri di oggi a Roma, ma troverà lo schieramento anti-austerità assottigliato e indebolito dalla defezione della Spagna, che avrebbe barattato con la fedeltà all’ortodossia rigorista la presidenza dell’Eurogruppo per l’ex ministro delle finanze Luis De Guindos, e dalle difficoltà politiche ed economiche francesi.

Il valzer delle poltrone: Mogherini c’è, presidente cercasi

La nomina del ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini al posto di Catherine Ashton, come Alto Rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza, appare da giorni probabile, quasi scontata. In dubbio –le indicazioni sono tratte dalla stampa europea - è invece il successore di Van Rompuy. In prima fila, sarebbe tornato nelle ultime ore il premier polacco Donald Tusk, che ha nel britannico David Cameron un ‘grande elettore’.

Ieri a Varsavia un portavoce del Governo polacco ha affermato che i 28 si sarebbero rivolti a Tusk per affidagli la presidenza del Consiglio europeo: “I leader europei stanno tentando con sempre maggiore enfasi di convincere Donald Tusk ad assumere tale posizione”. La designazione di Tusk, in piena crisi russo-ucraina, rifletterebbe l'importanza crescente della Polonia nel consesso europeo e sarebbe un segnale d’attenzione per le preoccupazioni dei Paesi dell’Europa centrale ed orientale.

Altri candidati sono la premier danese Helle Thorning-Schmidt –ma se passa lei, socialista e donna, viene meno la Mogherini- e un trio di ex premier: Andrus Ansip (estone),  Valdis Dombrovskis (lettone) e Jirky Katainen (finlandese).

Sul fronte della composizione della Commissione europea e della ripartizione dei portafogli, che Jean-Claude Juncker, presidente eletto, dovrà perfezionare una volta scelto l’Alto Rappresentante, che è pure vice-presidente dell’Esecutivo, la Germania avrebbe ribadito l’opposizione alla nomina del francese Pierre Moscovici a responsabile degli Affari economici. E l’attuale commissario all’Energia Günther Oettinger, riconfermato, è disponibile ad andare al Commercio internazionale, dove gestirebbe i negoziati Ue-Usa.

Irrisolta la ‘questione femminile’: la Commissione Juncker dovrà avere almeno nove donne, come la Barroso 2, per non incorrere negli strali del Parlamento europeo; e finora, nell’ipotesi migliore, ne ha sei.

Crisi: verso un Vertice dell’Eurozona

A Bruxelles, la Francia chiederà un Vertice, magari solo dell'Eurozona, per ridiscutere la tempistica dei programmi di riduzione del deficit pubblico. Il presidente Hollande lo ha anticipato parlando agli ambasciatori francesi: la crisi si trascina –e gli indicatori economici usciti oggi lo confermano-, la crescita è fragile –la Francia stagna, l’Italia è di nuovo in recessione-, l’occupazione non aumenta e si profila il rischio della deflazione –in Italia, già reale-.

E’ uno scenario che, per Parigi, non consente di stare nei tempi per riportare i deficit sotto la soglia del 3% del Pil, salvo una ricaduta nella recessione più ampia e più grave del passaggio attuale.

Questo il quadro che induce The Economist ad avvertire che, se Italia, Francia e Germania non trovano il modo di “riportare a galla l'economia europea”, l'euro potrebbe ancora essere spacciato. La copertina del settimanale ritrae Renzi - cono gelato in mano -, dietro Hollande e Angela Merkel, tutti e tre impassibili su una barchetta di banconote che fa acqua, mentre il mozzo Mario Draghi si affanna nel tentativo di salvare tutti.

Nelle ultime settimane, “i paesi della zona euro hanno cominciato a imbarcare acqua di nuovo”. L'Italia è tornata in recessione, la Francia stagna e “perfino la potente Germania ha visto un calo della produzione inaspettato e pesante”. La crisi bancaria e del debito sovrano si è trasformata in una crisi della crescita che sta avviluppando le tre maggiori economie” della zona euro.

Alla base dei mali d’Europa, c’è per The Economist, la mancanza di coraggio dei leader europei. La stessa che FT, Le Monde, Die Welt contestano nelle nomine: la scelta di personaggi privi di carisma e d’esperienza, e forse di personalità, che non diano né ombra né fastidio. E poco importa se, come è stato il caso di Lady Ashton e di van Rompuy, svolgeranno il loro compito al massimo con diligenza.

giovedì 28 agosto 2014

Nomine: -2 a Vertice, bordate -a vuoto- anti-Mogherini

Scritto per EurActiv il 28/08/2014

Bordate mediatiche contro la designazione di Federica Mogherini ad Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza europea. Ma i tiri ad alzo zero di quotidiani molto prestigiosi non sembrano potere modificare l’orientamento dei leader dei 28, propensi ad insediare, ai vertici delle Istituzioni europee, come già fecero nel 2009, personaggi che non diano loro né ombra né prevedibilmente fastidio.

Il Consiglio europeo di sabato 30 deve decidere, oltre all’Alto Rappresentante, il suo presidente ed eventualmente il presidente dell'Eurogruppo. Contro la nomina del ministro degli esteri italiano, si schierano sia il Financial Times sia Le Monde, che titola esplicitamente: “Diplomazia europea: la scelta sbagliata”.

Un editoriale del Financial Times sottolinea come un Alto Rappresentante forte sia di fondamentale importanza per contribuire a smorzare le differenze che ancora i governi europei hanno nell'ambito della politica estera. Per l’FT, se il ruolo andasse alla Mogherini “sarebbe una delusione”, perché l’Ue avrebbe potuto puntare su personalità di maggior spicco come l’attuale ministro degli esteri svedese Carl Bildt o quello olandese Frans Timmermans”.

Le Monde, invece, segnala che “con ogni probabilità il Consiglio europeo sceglierà la Mogherini per succedere alla britannica Catherine Ashton alla testa della diplomazia europea. E se lo scenario si confermerà, “sarà un triste giorno per l’Europa”

Il giornale motiva la pesante affermazione. La Mogherini, scrive, “portata avanti con perseveranza dal premier Matteo Renzi, soddisfa numerose condizioni: è una donna (e ce ne sono poche al vertice dell’Ue), è socialdemocratica (e ciò è buono per gli equilibri politici), consente all’Italia di piazzare una pedina ad alla signora Merkel di fare una concessione a Renzi di cui ha bisogno per appoggiare la propria strategia economica. E’ perfettamente anglofona e francofona. Tutte le caselle sono riempite”.

Tutte tranne una: “l’esperienza e il prestigio personale”. Torna, dunque, il discorso fatto dall’FT della mancanza di autorevolezza della Mogherini. Mentre non salta più fuori lo spettro, agitato soprattutto dai Paesi dell’Europa centrale e orientale, dell’atteggiamento ‘filo-russo’ della diplomazia italiana.

Iraq/Siria: glossario d'una stagione di guerre ed orrori

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/08/2014, pure sul blog de Il Fatto

Districarsi nelle cronache di guerre e di orrori dalla Siria e dall'Iraq è complicato: ci s’imbatte in sigle, personaggi, etnie talora poco noti; e ci si muove in una geografia dei luoghi e delle entità statali instabile. Questo mini-glossario vuole offrire un aiuto a conoscere i protagonisti e a situarne le azioni.
Mesopotamia – La ‘scena del crimine’ di questo intreccio di guerre ed orrori: è la terra tra i fiumi (Tigri ed Eufrate) dei nostri studi classici, parte della Mezzaluna Fertile del Mondo Antico. Per millenni, la sua storia quasi coincide con la storia della civiltà: sumeri, assiri, babilonesi, persiani; ed i suoi popoli si ritrovano nella Bibbia. Oggi, il termine viene comunemente riferito a una zona più ampia di quella originaria.
Isis, o Isil, o Is – E’, negli acronimi inglesi, lo Stato islamico (Is), che inizialmente veniva chiamato Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) o Stato islamico dell’Iraq e della Siria (Isis): una nuova entità creata dall'avanzata delle milizie integraliste d’osservanza sunnita, che profittano della rovina della Siria e della debolezza dell’Iraq, dove il potere centrale alimenta la contrapposizione fra sciiti e sunniti.
Califfato – Geograficamente, per ora coincide con lo Stato islamico. Ma il progetto è di ripristinare l’autorità su tutto l’Islam di una figura che concentra potere religioso, in quando vicario del Profeta, e potere temporale. Esauritosi nel 1923, dopo quasi 13 secoli di vita, non sempre facile, il califfato è un polo d’attrazione dell’integralismo islamico.
Jihad – La parola è araba ed esprime il concetto di “fare il massimo sforzo”. Oggi il termine è utilizzato quasi esclusivamente come sinonimo di “guerra santa”, ma ha pure risvolti individuali, nel senso dell’impegno interiore per attingere la fede perfetta. La Jihad come “guerra santa’ trova poi declinazione diverse in contesti diversi.
bin Laden (e al-Zawahiri) – Osama bin Laden, il ricco saudita, ideatore e capo di al Qaeda, mente dell’attacco all'America dell’11 Settembre 2001, e Ayman al Zawahiri, il medico egiziano, capo della rete dopo l’uccisione di bin Laden il 1° Maggio 2010, oggi fuori dai giochi. Al Qaeda è ormai un punto di riferimento per l’integralismo più storico che attuale: per gli 007 Usa, dallo Yemen e dall'Africa elementi della rete giungono in Mesopotamia per rafforzare le milizie jihadiste dell’Is.

al-Zarqawi – Abu Mus’ab al-Zarqawi, ucciso in Iraq da un raid americano il 7 giugno 2006, quando su di lui c’era una taglia da 25 milioni di dollari, era un giordano di origine palestinese: veniva da Zarqa, città di un campo profughi creato nel 1948. Comandante di al Qaeda in Iraq, come lo designò bin Laden, è il terrorista che pratica la decapitazione degli ostaggi, protagonista d’azioni violente e crudeli. A lui, paiono ispirarsi gli uomini del Califfato.

al-Baghdadi – Abu-Bakr al-Baghdadi, che porta il nome del primo califfo, è il nuovo califfo, capo delle milizie jihadiste che hanno creato l’Is. Su di lui, le notizie sono poche e contraddittorie: imam in Iraq all'epoca dell’invasione americana, poi detenuto a Camp Bucca dal 2004 al 2009, esponente e dal 2010 leader di al Qaida in Iraq, su di lui pende una taglia da 10 milioni di dollari, oggi inferiore solo a quella da 25 posta sulla testa di al-Zawahiri.

SunnitiSono nettamente maggioritari nell’Islam (circa il 90%, quasi 1,4 miliardi di persone, più dei cattolici), ma sono minoritari in Mesopotamia. Il nome viene da sunna (in arabo, consuetudine, quella che c’era tra il profeta Maometto e i suoi compagni. Il califfato è storicamente l’espressione della loro visione del rapporto integralista tra Stato e fede.

Sciiti Sono la maggiore minoranza islamica –ma sono maggioritari in Iran e nella Mesopotamia- e sono, originariamente, il ‘partito di Ali’, cugino e genero del profeta Maometto, ai cui successori considerano riservata la guida dell’Islam. Lo scisma risale al 680 e attraversa, quindi, praticamente tutta la storia musulmana.

Alauiti – Sono una frazione sciita (il nome rivela la deferenza ad Alì), presente soprattutto in Siria - circa 6 milioni, un quinto della popolazione -, ma pure in Libano (da non confondere con gli aleviti della Turchia). Alauita è la famiglia del presidente siriano Bassar al-Assad.

Salafiti – Il salafismo è una scuola di pensiero sunnita ispirata a modelli esemplari di virtù religiosa della tradizione islamica, che può offrire all’integralismo giustificazioni teologiche. Il movimento è anti-occidentale, ma porta in sé germi di rinnovamento dell’Islam.

Curdi – Sono un gruppo etnico indoeuropeo di religione islamica e con una propria lingua e abitano il Kurdistan, territorio della Mesopotamia compreso tra Iran, Iraq, Turchia, Siria, Armenia. I curdi, discendenti dagli antichi medi, con apporti guerrieri di sciti e galati di stirpe celtica, sono oggi quasi 40 milioni: forse il più grande gruppo etnico a questo Mondo senza unità nazionale.

Caldei – Il termine si presta a confusione: i caldei, infatti, erano semiti della Mesopotamia, che finirono con il mescolarsi con le etnie della Regione. Oggi, i caldei sono i seguaci della Chiesa cattolica locale, circa un milione di fedeli, un quarto dei quali vive, o viveva, in Iraq. Il loro primate è il patriarca di Babilonia, con sede a Baghdad: Louis Raphael I Sarko, con parole poco ecclesiali, ha chiamato alla guerra contro il Califfato.

Yazidi – Prima di questa crisi, pochi ne conoscevano l’esistenza. Sono un gruppo curdo, poche centinaia di migliaia di persone, metà delle quali in Iraq, altre in Turchia, Siria, Iran, Armenia. Sono un gruppo contraddistinto dalla fede religiosa: la loro fede, che ricorda i culti pre-islamici curdi, è una combinazione di zoroastrismo, mitraismo, manicheismo, ebraismo, cristianesimo, islam; praticano il battesimo, la circoncisione, il digiuno e il pellegrinaggio.

Iraq/Siria: cent'anni di Stati fantasma, dai beduini alla jihad

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/08/2014

"Mi piacerebbe tracciare una linea dalla e di Akre –località dell’odierna Giordania, ndr- all'ultima k di Kirkuk”, la storica capitale dei curdi, in Iraq, di cui i peshmerga hanno ora ripreso il controllo: così, Mark Sykes, diplomatico britannico, diceva, il 16 dicembre 1915, a Downing Street, parlando con il collega francese François Georges Picot.

In quella battuta, c’è la filosofia della sistemazione dei resti dell’Impero Ottomano, dopo la fine della prima Guerra Mondiale: frontiere più rispettose di meridiani e paralleli che di etnie e religioni; scatoloni di sabbia che si rivelano barili di petrolio; e nessuna attenzione al rispetto della parola data e, tanto meno, alle aspirazioni d’indipendenza dei popoli arabi. Nonostante il contributo –spesso decisivo- da essi fornito durante il conflitto.

Stanno lì molte radici delle tensioni e delle violenze dei giorni nostri nella Regione. L’Occidente, del resto, non riservò al Mondo arabo la sua miopia colonialista: pure i confini africani erano stati tracciati, nell’Ottocento, con criteri analoghi, separando popoli fratelli e mettendo insieme atavici nemici. Gli spaventosi eccidi di hutu e tutsi tra Rwanda e Burundi ne sono una conseguenza.

Con la paradossale conseguenza che turbolenze e barbarie -riconducibili alla lontana a quegli errori- contribuiscono, oggi, ad alzare una barriera di diffidenza e d’incomprensione, se un giornalista come Domenico Quirico, espertissimo d’Oriente, ma che ha sperimentato in prima persona l’asprezza del conflitto, scrive: “L’Occidente non vuole vedere che ci hanno dichiarato guerra … L’Islam moderato non esiste”.


L’accordo Sykes-Picot

Tutto comincia da lì, da quella frase a Downing Street. Sykes e Picot negoziarono dal novembre 1915 al marzo 1916: il 16 maggio, venne firmato l’accordo che porta il loro nome, Sykes-Picot, l’Asia Minor Agreement, è un accordo segreto tra i governi del Regno Unito e della Francia, in assenza della Russia, che definiva le rispettive sfere di influenza nel Medio Oriente una volta sconfitto l'Impero Ottomano al termine della Prima Guerra Mondiale.

Al Regno Unito fu riservato il controllo dell’attuale Giordania, dell'Iraq e una piccola area intorno ad Haifa. Alla Francia fu destinato il controllo del Sud-Est della Turchia, della parte settentrionale dell'Iraq, della Siria e del Libano. La zona successivamente individuata come Palestina doveva passare sotto un'amministrazione internazionale, coinvolgente l'Impero russo e altre potenze.

L’accordo venne tenuto ben segreto ai capi arabi che si battevano contro l’Impero ottomano, sperando nell’indipendenza, e anche agli ufficiali alleati che ne coordinavano le operazioni. Non ne sapevano nulla, naturalmente, Thomas Edward Lawrence, cioè Lawrence d’Arabia, e il suo amico Faysal, figlio dello sceriffo della Mecca. E, se lo avessero saputo, magari il cinema non avrebbe mai avuto modo di raccontare pagine tra epica e storia come la presa di Aqaba nel 1916.

Paladino per studi e cultura del nazionalismo arabo, Lawrence, uno 007, ufficiale dei servizi segreti di Sua Maestà, doveva porre al servizio della causa degli alleati l’insurrezione araba contro l’Impero ottomano in atto tra l’Higiaz, la regione della Mecca e di Medina, e la TransGiordania.

Al padre di Faysal, al-Husain ibn Ali, venne prospettata l’indipendenza della nazione araba, senza tuttavia mai precisarne le dimensioni geografiche. Ma Londra e Parigi avevano già concordato d’attuare la cosiddetta politica del ‘doppio binario’: fare promesse agli arabi, ma intanto spartirsi sulla carta i domini ottomani.

Il primo dopoguerra

Lawrence e Faysal se ne resero conto a vittoria acquisita e guerra ultimata. Alla Conferenza di Pace di Parigi nel 1919, Faysal guidò la delegazione araba che cercò di fare valere le promesse ricevute e riuscì almeno a ottenere che alcuni Paesi arabi fossero guidati dalla dinastia hascemita, la sua.
A margine della conferenza, si ponevano le basi per altri conflitti che sono flagranti un secolo dopo. Il 3 gennaio 1919, Faysal e il presidente dell'Organizzazione sionista mondiale Chaim Weizmann firmarono un accordo –andato poi disatteso- secondo cui la Dichiarazione Balfour doveva costituire una base di discussione per il futuro dell'area alla fine del dominio britannico.

Negli anni successivi, le tappe furono serrate. Nel marzo 1920, Faysal è proclamato re del Regno arabo di Siria, la Grande Siria, dal Congresso nazionale siriano. In aprile, la Conferenza di Sanremo dà alla Francia il mandato sulla Siria e scoppia la guerra franco-siriana. Un anno dopo, marzo 1921, alla Conferenza del Cairo, i britannici individuarono in Faysal il re dell’Iraq, sotto loro protettorato.

L’assetto dell’area fra le due guerra era, alfine, definito. A turbarlo, senza però modificarlo, vennero sommosse religiose e anti-coloniali, fra cui, nella prima metà degli Anni Venti, la cosiddetta Grande Rivoluzione siriana. Nel 1932, l’Iraq acquisì la piena indipendenza, prodromo al Massacro di Cibele –una strage di cristiani-.

Il secondo dopoguerra

Nel secondo dopoguerra, le aspirazioni d’indipendenza sono pienamente realizzate. Ma la nascita d’Israele crea in tutta l’area nuove tensioni. Indipendente dal ’46, la Siria conobbe un periodo d’instabilità con colpi di Stato a raffica –ben 13- e l’effimera esperienza della Repubblica araba unita, con l’Egitto.

Dal 1963 il Paese è governato dal partito Bath, d’ispirazione socialista e pan-araba; e, dal 1970, ha un presidente della famiglia al-Assad. Dalla Guerra dei sei Giorni del ‘67, Israele occupa le Alture del Golan. La sommossa scoppiata nel 2011 ha fatto quasi 200mila vittime, ridotto in macerie città, consegnato una parte della Siria all’estremismo integralista, ma non ha rovesciato il regime.

Più tormentate le vicende dell’Iraq, dove la monarchia venne rovesciata una prima volta nel 1941, su istigazione della Germania, ripristinata dagli alleati e poi di nuovo, definitivamente, esautorata nel 1958 con il colpo di Stato cruento degli Ufficiali Liberi. Per un decennio, i golpe si succedono fin quando, nel ’68, un quinto putsch insedia per 25 anni al potere il Bath e Saddam Hussein, sancendo la ‘dittatura’ della minoranza sunnita sulla maggioranza sciita.

Il laico Saddam spaventa l’Occidente quando nazionalizza il petrolio –l’Irak ne è il 3o produttore-, ma fa il gioco dell’America nel 1980, quando dichiara guerra all’Iran integralista: quasi nove anni di conflitto, forse un milione e mezzo di caduti, ma né vincitori né vinti.

Nel 1991, l’occupazione e l’annessione del Kuwait innesca la Guerra del Golfo: l’Iraq è sconfitto, ma Saddam – divenuto un nemico - resta al potere. Nel 2003, l’invasione americana, giustificata con falsi pretesti, rovescia il regime e abbatte le statue del dittatore, trasforma il paese in una repubblica parlamentare, ma non sana le tensioni tra sciiti, sunniti e curdi. Che, oggi, riesplodono, sotto la spinta jihadista.

Immigrazione: Italia/Ue, via a Frontex Plus, integra Mare Nostrum

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/08/2014

L’operazione europea Frontex Plus nel Mediterraneo sarà lanciata a novembre, a un anno dall’avvio di Mare Nostrum. Cecilia Malmstroem, commissaria europea agli Affari Interni, annuncia che sarà “complementare” a quanto l’Italia sta facendo. Angelino Alfano, ministro dell’Interno, afferma che “rimpiazzerà” Mare Nostrum.

La contraddizione non sfugge ai giornalisti che seguono la conferenza stampa della Malmstroem e di Alfano, dopo il loro incontro a Palazzo Berlaymont, a Bruxelles. Questione di tempo: all’inizio, Frontex Plus non avrà la capacità di sostituire Mare Nostrum, “ci vogliono più soldi e più mezzi di quelli attualmente disponibili”, avverte la commissaria.

Alfano è più assertivo: “Ci sono tutti i presupposti per superare Mare Nostrum”. E una volta che Frontex Plus sarà stato avviato, “il governo italiano deciderà che fare dell’operazione”.

Dall’incontro di Bruxelles, esce pure la decisione di distruggere, col contributo dell’Ue, i “barconi della morte”, di cui –dice Alfano- “abbiamo la prova che vengano riutilizzati”.

Nei prossimi giorni, Frontex, l’Agenzia di controllo delle frontiere dell’Ue, valuterà le esigenze di Frontex Plus, che incorporerà due operazioni già condotte nel Mediterraneo: “Il successo dipende dalla partecipazione e dal contributo degli Stati –sottolinea la Malmstroem… Spero che il fatto che l’Italia abbia la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue possa essere d’aiuto… “. Attualmente, solo 10 dei 28, ad esempio, danno asilo ai rifugiati.

Il discorso di Alfano è quasi trionfale: “Oggi, l’Ue diventa protagonista nel Mediterraneo centrale, la frontiera sud, l’emergenza europea di questo momento… Frontex Plus è una soddisfazione, è soprattutto un premio al lavoro che l’Italia ha compiuto… Ci sono tutti i presupposti per superare Mare Nostrum, chiederemo navi ed elicotteri a Frontex e agli altri Stati membri, che dovranno pure contribuire a rafforzare il bilancio” dell’Agenzia.

I contorni dell’affiancamento e, poi, eventualmente, della sovrapposizione delle due operazioni restano indefiniti: Frontex Plus –dice Alfano- "non farà lo stesso lavoro" di Mare Nostrum e avrà “una diversa articolazione operativa”, incentrata sul controllo delle frontiere.

L'incontro politico faceva seguito alla riunione tecnica di martedì a Roma, condotta per "identificare le modalità con cui l’Ue poteva meglio assistere l'Italia". E’ possibile che, dopo l’intesa tra Alfano e la Malmstroem, il tema dell'immigrazione non figuri sull'agenda del Vertice europeo di sabato 30. E’, invece, probabile che Frontex Plus sia discusso nel Consiglio dei Ministri dell'Ue Giustizia e Affari interni, il 9 e il 10 ottobre, a Lussemburgo.

Sabato, i leader dei 28 potranno quindi concentrarsi sulle nomine dei vertici delle istituzioni Ue. E la strada pare spianata per Federica Mogherini Alto Rappresentante per la politica estera europea, mentre restano incertezze su chi sarà presidente del Consiglio europeo –tre dell’Est e un finlandese in lizza-.

Il successo italiano è maturato con l’acquisita condiscendenza della cancelliera Merkel. Il sigillo l’ha messo il presidente eletto della Commissione europea, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, tiepido sulla Mogherini, cui avrebbe preferito la bulgara Georgieva: “Non mi opporrò – fa sapere - alla scelta dei leader”.

Per la ripartizione dei portafogli nella Commissione Juncker, bisognerà invece attendere, perché resta da sciogliere, fra l’altro, il nodo delle donne: sono solo 6, devono diventare almeno 9, se si vuole evitare una bocciatura del Parlamento di Strasburgo.

Unica nube, nel cielo Ue azzurro Italia, l’indebolimento del fragile fronte pro-flessibilità: la Spagna si defila e incassa la nomina a presidente dell’Eurogruppo, col placet della Merkel, dell’ex ministro dell’Economia Luis de Guindos. E gli sviluppi politici francesi assottigliano l’asse Roma-Parigi.

mercoledì 27 agosto 2014

Nomine: -3 a Vertice, cadono ostacoli Mogherini Mrs Pesc

Scritto per EurActiv.it il 27/08/2014

Cadono gli ostacoli per la nomina di Federica Mogherini ad Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza europea. Fonti diplomatiche di alto rango a Bruxelles danno oggi per certa la nomina, al Vertice straordinario di sabato 30 agosto. Persistono, invece, incertezze sulla scelta del presidente del Consiglio europeo.

Dopo indiscrezioni di stampa sull’acquisita condiscendenza della cancelliera Merkel alla nomina della Mogherini, oggi è il Financial Times a darne per certa la nomina “nonostanze preoccupazioni per la sua posizione verso la Russia” –l’asserita tradizionale posizione filo-russa italiana-.

E il presidente eletto della Commissione europea, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, fin qui tiepido sulla scelta della Mogherini, cui avrebbe preferito la bulgara Kristalina Georgieva, fa sapere, tramite un portavoce, che non si opporrà alla scelta dei leader dell’Ue sull'Alto rappresentante.

"Se una maggioranza di stati membri è d'accordo sul nome di un Alto Rappresentante, non sarò certo io a bloccare questa decisione" dice Juncker tramite il portavoce, in risposta a una domanda sulle chances della Mogherini.

Il portavoce ribadisce, però, che "quel che più conta è che si rispetti l'equilibrio Est-Ovest necessario per i tre principali ruoli Ue, cioè presidente della Commissione europea, presidente del Consiglio europeo e Alto Rappresentante".

La presidenza del Consiglio europeo

Il che significa che il successore di Herman van Rompuy dovrebbe essere un esponente dell’Est. Accanto al nome del premier polacco Donald Tusk, che avrebbe il sostegno britannico, secondo l’FT; si fanno con insistenza quelli dell’ex premier estone Andrus Ansip -liberale- e dell’ex premier lituano Valdis Dombrovskis. E secondo alcune indiscrezioni sarebbe pure tornato in corsa l’ex premier finlandese Jyrki Katainen, designato commissario europeo.

L’appoggio britannico a Tusk deriverebbe dal fatto che il premier David Cameron vuole un presidente del Consiglio che non venga dalla zona euro e che sia incline ad opporsi a ogni ulteriore trasferimento di potere verso Bruxelles.

I giochi in Commissione

Per quanto riguarda la Commissione europea, è escluso che i portafogli vengano attribuiti già sabato –anche perché resta da sciogliere il nodo del numero delle donne-,  ma le voci si susseguono. Secondo fonti di stampa diverse, per il posto di responsabile degli Affari economici i nomi restano quelli dell’attuale presidente dell’Eurogruppo e ministro delle finanze olandese Jeroen Dijsselbloem e dell’ex ministro delle finanze francese Pierre Moscovici –e resta l’ipotesi di dividere il portafoglio tra rigore e crescita-.

Per il britannico Lord Hill, Cameron vorrebbe un portafoglio pesante come Mercato interno, Concorrenza o Energia.

Nomina sicura, dopo l’appoggio della Merkel in cambio di un sostegno spagnolo contro l’asse franco-italiano pro-flessibilità, tra l’altro indebolito dai recenti sviluppi francesi, sarebbe quella dell’ex ministro dell’Economia spagnolo Luis De Guindos alla presidenza dell’Eurogruppo.

La questione femminile

Intanto, il Gruppo S&D al Parlamento europeo ha ribadito che non darà la fiducia alla Commissione di Juncker se non avrà un numero di donne almeno pari a quello della Commissione Barroso 2, che ne conta nove. Attualmente, le candidature ufficiali e ufficiose presentate dagli stati membri indicano che il numero di donne nell’Esecutivo sarà al massimo di sei.

I socialisti e democratici non sosterranno un collegio di commissari con meno donne di quante ce ne siano attualmente", scrive in una nota Gianni Pittella, presidente del gruppo S&D. La minaccia di veto segue quella dei liberali espressa ieri per lo stesso motivo. Insieme, i due partiti hanno 258 seggi su 751.

Considerato che euroscettici e sinistra hanno già manifestato la loro opposizione a Juncker, si arriva a 410 eurodeputati contrari alla nuova Commissione: largamente più della maggioranza di 376. Pare evidente che Juncker dovrà fare concessioni a socialisti e liberali, forse su altri fronti, per evitare una clamorosa bocciatura nell'aula di Strasburgo.

Immigrazione: Onu a Ue, non lasciate sola l'Italia

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/08/2014
In un contesto di tragedia, coi dispacci delle agenzie di stampa che aggiornano la conta delle vittime e scandiscono gli arrivi, esperti della Commissione europea e dell'agenzia Frontex e responsabili italiani si sono incontrati a Roma, per discutere l'avvio di Frontex Plus, versione riveduta e rinforzata della missione Frontex, non sufficiente però a rimpiazzare Mare Nostrum.
L’incontro, svoltosi in un clima appesantito da reciproche diffidenze, prospetta, dunque, un aiuto all'Italia nella gestione dell'emergenza immigrazione, ma non un’assunzione di responsabilità ‘in toto’ da parte dell’Ue.
La riunione tecnica s’è svolta presso la sede della Polizia dell'immigrazione e delle frontiere: è servita –indicano le fonti ufficiali- a fare un punto della situazione ed a preparare l'incontro di oggi, a Bruxelles, tra la commissaria agli Affari interni Cecilia Malmstroem e il ministro dell'Interno Angelino Alfano. Fra i due, in passato, gli scambi verbali non sono sempre stati amichevoli.
A Bruxelles, il ministro arriva forte dell’avallo ricevuto anche dall’organizzazione per i rifugiati delle Nazioni Unite: l’UnHcr ringrazia l’Italia per avere salvato, con Mare Nostrum, dall’inizio dell’anno, migliaia di vite umane, ma stima a 1900 le vittime nel Mediterraneo in otto mesi e giudica necessaria un’azione europea.
Gli esperti hanno vagliato mezzi e strumenti di Frontex Plus, come pure le possibilità d’integrarli con una versione ridotta di Mare Nostrum. Ma le fonti della Commissione insistono nel precisare che “è irrealistico pensare” che "una piccola agenzia Ue che non ha né risorse né mezzi e neppure guardie di frontiera proprie" possa sostituirsi all’operazione italiana.
A creare imbarazzo, prima dell’incontro, erano state affermazioni attribuite a fonti comunitarie, secondo cui Mare Nostrum sarebbe “un traghetto fra l’Italia e la Libia”. Erasmo Palazzotto, capogruppo di Sel nella commissione Esteri di Montecitorio, afferma: "Mare Nostrum è una scelta di civiltà che va portata avanti, finché non sarà possibile evitare che i profughi mettano a rischio la propria vita nella traversata, quando cioè saranno attivati canali umanitari dai paesi di transito". "Rendere multilaterale la missione, consentendo così una gestione condivisa non solo del soccorso ma anche della successiva accoglienza, che eviti che i migranti restino 'imprigionati' in Italia nelle pastoie burocratiche, dovrebbe essere l'obiettivo del Ministro Alfano che, invece, sembra ormai perso da mesi nella propaganda pseudo-leghista", che stabilisce un rapporto di causa ed effetto tra l’operazione umanitaria e l'aumento degli sbarchi, che è invece “dovuto alla destabilizzazione dello scenario internazionale e, come dimostrano i dati, è del tutto scollegato dalle scelte di politica interna. Il picco precedente, ad esempio, si ebbe con Maroni ministro dell'interno e le sue politiche anti-immigrazione".
La posizione della Commissione è ben nota e sarà oggi reiterata dalla Malmstroem ad Alfano: apprezzamento per lo sforzo dell’Italia, disponibilità ad affiancare, nella misura del possibile, Mare Nostrum, ma impossibilità di sostituirlo con Frontex. “Abbiamo invitato gli Stati membri – dicono le fonti dell’Ue - a contribuire con navi, elicotteri, personale o denaro”
A Bruxelles, poi, si sottolinea che l’Italia, tra il 2007 e il 2020 avrà ricevuto, a conti fatti, un miliardo dai fondi Ue per fronteggiare a vario titolo l’emergenza immigrazione, oltre 70 milioni l’anno.  
Di recente, la Commissione, oltre a migliorare l’efficienza di Frontex, ha anche reso operativo Eurosur, il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere.

E’ probabile che la questione rimbalzi dal bilaterale di oggi al vertice dei 28 di sabato, dove il premier Renzi potrebbe chiedere agli altri leader di rispettare gli impegni sull’immigrazione presi al Consiglio europeo di fine giugno. La riunione del 30 agosto è convocata per decidere i nuovi assetti delle istituzioni europee, ma i temi dell’immigrazione e della flessibilità – questo pure di interesse italiano – saranno quasi certamente sollevati.

martedì 26 agosto 2014

Immigrazione: Italia/Ue, giù i barconi, su le polemiche

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 26/08/2014

Più i barconi (dei migranti) vanno a fondo nel Mediterraneo, più salgono di tono i battibecchi senza costrutto tra Italia ed Ue. Il Governo Renzi si rivolge alla Commissione europea, che lo rinvia alle decisioni del Consiglio dei Ministri dell’Unione: i soldi non ci sono perché i 28 – Italia compresa – non ne destinano abbastanza nel bilancio comunitario all’emergenza immigrazione.

Sostituire Mare Nostrum con Frontex, l’operazione europea di controllo delle frontiere, “non è ipotizzabile perché non ci sono né fondi né mezzi”, ripetono i portavoce dell’Esecutivo dell’Ue. Richieste, o addirittura pretese in tal senso, da parte delle autorità italiane suonano pretestuose, perché Roma è al corrente della situazione; e, comunque, non hanno possibilità di essere accolte.

Si può al massimo pensare al lancio di un’operazione Frontex Plus, in appoggio a Mare Nostrum, riducendo gli oneri per l’Italia. La questione sarà oggi discussa a Roma, in un incontro fra esperti della Commissione e di Frontex e responsabili italiani. Le conclusioni dei tecnici faranno da tela di fondo all’incontro, domani a Bruxelles, tra il ministro Alfano e la commissaria Cecilia Malmstroem, “sconvolta” dalle ennesime tragedie nel Mediterraneo.

Domenica, in un tweet, Alfano aveva scritto: "O la questione immigrazione viene presa in mano dall'Europa o l'Italia dovrà adottare le proprie decisioni". Ieri, Sandro Gozi, sottosegretario agli Affari europei, ha chiesto all’Unione “coerenza” con le conclusioni del Vertice di giugno nel condividere la gestione dell'emergenza: "Il Mediterraneo non può essere un cimitero dell'indifferenza e dell'egoismo".

Primo passo, un aumento dei fondi e, quindi, delle capacità di Frontex: decisioni che spettano, però, ai governi, non alla Commissione.

Che ha appena pubblicato un dossier per confutare alcune affermazioni dei politici italiani: titolo, ‘Allarme immigrazione: l'Ue lascia l'Italia da sola. Sarà vero?'. Chiara la risposta: “Se ci si riferisce alla Commissione è falso, perché la Commissione ha offerto tutto il supporto finanziario e logistico previsto dalle competenze che gli Stati le hanno conferito. Se invece la critica va a questi ultimi, si può affermare che si può fare di più in termini di solidarietà”.

Nel 2007-2013 l'Italia ha ricevuto dall'Ue 478 milioni di euro, una grossa fetta dell’insieme dei fondi per immigrazione e asilo. Per il 2014-2020 sono stanziati oltre 310 milioni dal Fondo asilo e immigrazione (Italia secondo beneficiario) e oltre 212 milioni dal Fondo per la sicurezza interna.

E dopo la tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013 costata la vita a 366 persone, Bruxelles ha dato 30 milioni per incrementare la capacità delle strutture di accoglienza e di assistenza sanitaria e per sostenere Mare Nostrum. Frontex è stata rafforzata e resa più efficiente, ma resta una piccola realtà.

Però c’è pure chi mostra insofferenza per le rimostranze italiane, come il ministro degli Interni bavarese Joachim Herrmann (Csu), che giudica “sfacciato” l’atteggiamento di Alfano, sostenendo che l’Italia aggira le procedure dell’Ue per ridurre il numero delle richieste di asilo da gestire.


In base al regolamento Dublino II, il paese di primo ingresso nell'Ue è quello cui spetta valutare domande di asilo o di riconoscimento dello statuto di rifugiato. Ma, nonostante i massicci arrivi, l’Italia (meno di 28mila nel 2013) è dietro Germania (oltre 126mila), Francia, Gran Bretagna e persino Svezia nelle domande di asilo.

lunedì 25 agosto 2014

Nomine: -5 a Vertice, l’assist di Lavrov alla Mogherini

Scritto per EurActiv.it, su dispacci d'agenzia

Assist –forse involontario- di Lavrov alla Mogherini: appesantita dall’accusa d’essere ‘filo-russa’, nella corsa ad Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza europea, il ministro degli esteri italiano è soccorso dal collega russo. “Amica mia? La conosco appena. Sono più amico di Kerry”, cioè del segretario di Stato americano.

Secondo quanto riferiscono le agenzie di stampa, Serguiei Lavrov ha ironizzato sulle polemiche che stanno minando la candidatura della Mogherini. "Con Federica Mogherini –ha detto-, ci siamo visti una sola volta, quando di recente è venuta a Mosca per discutere della crisi ucraina. Non direi che tra di noi ci siano rapporti stretti. Per le volte ci sentiamo, lo sono ben di più quelli” con il segretario di Stato Usa John Kerry".

Parlando delle nomine ai vertici delle istituzioni dell’Unione, Lavrov s’è detto convinto che l'Ue "troverà un compromesso": "Siamo interessati a un'Unione europea forte e indipendente - ha detto, rispondendo a una domanda sulle aspettative di Mosca per il Vertice di sabato a Bruxelles -: l'Ue è un partner strategico per noi, abbiamo molto in comune nei settori economico, commerciale e degli investimenti, ma anche nella pace, in Europa e fuori".

Sul fronte delle nomine, a cinque giorni dall’appuntamento decisivo il Governo è ottimista sulla designazione della Mogherini ad Alto Rappresentante.  "Abbiamo la sua candidatura formale e sembra che ci siano buone possibilità", dice il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per le Politiche europee Sandro Gozi. E Der Spiegl oggi dà la Mogherini favorita.

A cavallo di Ferragosto sarebbe, infatti, arrivata, secondo ‘la Repubblica’, una telefonata nella quale i funzionari europei che lavorano al puzzle delle nomine avrebbero segnalato un’inversione di rotta della Germania, che sarebbe ora pronta a sostenere la Mogherini. Resta da trovare una poltrona di rilievo per l’Europa dell’Est, magari quella di presidente del Consiglio europeo per il polacco Donald Tusk.

La questione delle nomine è solo uno dei temi della ‘ripartenza’ europea dopo la pausa estiva, segnata, tra l’altro, dall’attenzione e dalle preoccupazioni per le crisi internazionali, con la riunione a Ferragosto dei ministri degli esteri dei 28 sull’intreccio di tensioni in atto, il Califfato tra Iraq e Siria, la guerra in Medio Oriente, la Libia fuori controllo e il perdurare del conflitto in Ucraina.

Dopo il nulla di fatto di metà luglio, i leader europei si ritroveranno sabato 30 agosto a Bruxelles per cercare di mettere insieme i tasselli del puzzle delle nomine. Ma a tenere occupati istituzioni dell’Ue e governi dei 28 nei prossimi mesi, sotto la presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue, saranno vari dossier: le misure per rilanciare la crescita e la flessibilità sui criteri di rigore per i conti pubblici, il cantiere dell'Unione bancaria, le mosse della Bce anti-deflazione, l'ipotesi d’un terzo pacchetto di aiuti alla Grecia. E l'esito dei referendum indipendentisti in Scozia e Catalogna avrà ripercussioni politiche a dimensione europea.

domenica 24 agosto 2014

Presidenze: Renzi – Padoan e l’asse con Draghi


Scritto per EurActiv.it il 24/08/2014 

L’Italia fa asse con il presidente della Bce Mario Draghi, sulla linea economica della sua presidenza di turno del Consiglio dell’Ue. Le parole pronunciate venerdì dal presidente Draghi a Jackson Hole sono "in forte sintonia con le linee guida della presidenza italiana", dice il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. Draghi, aveva interpretato poche ore prima il premier Matteo Renzi, "ha detto che chi fa le riforme e cambia ciò che deve cambiare, come fa l'Italia che ne ha bisogno, ha il dovere più che il diritto di mettere in campo tutti gli strumenti di flessibilità che ci sono".

Il premier, che rilascia una raffica d’interviste, e il ministro, che pubblica una dichiarazione, fanno d’una “polemica estiva” –parole di Renzi- una prova d’alleanza: "Le cose che dice Draghi –ancora Renzi- sono cose di buonsenso, che io condivido. E non sono diverse da quelle che aveva già detto prima d’andare in ferie".

"Il messaggio di Draghi è molto chiaro – afferma Padoan -. Per creare occupazione in Europa, occorre agire dal lato della domanda: con la politica monetaria, che sta facendo e farà molto; con la politica di bilancio, nell'ambito degli spazi già oggi disponibili; e con una forte politica di rilancio degli investimenti".

"Ma è anche indispensabile - aggiunge Padoan - una forte azione dal lato dell'offerta, con una efficace e credibile strategia di riforme strutturali compreso il mercato del lavoro. E questo è compito dei governi. E’ un disegno di politica economica fortemente in sintonia con le linee guida della presidenza italiana” del Consiglio dell'Ue.

Draghi a parte, la linea italiana raccoglie consensi in Francia, dove il Ministero dell’Economia la porta ad esempio all’Unione, e in Spagna, dove l’opposizione socialista elabora un decalogo europeo ispirato, per l’occupazione e la competitività, alle ‘misure Renzi’.

Nelle interviste, Renzi ha, fra l’altro, detto che "l'Europa deve fare l'Europa. Se deve stare lì a fare l'elenco delle raccomandazioni non ci serve … A noi le raccomandazioni della Commissione servono se c'è un ideale politico, se c'è un afflato alto, se c'è la voglia di cambiare il mondo … Se devo star dentro un'organizzazione di burocrati, ne ho talmente tanti a casa che non ho bisogno dell'Europa”.

Sul tema della flessibilità, il premier ha ribadito: “Non si tratta di inventarsi cambi di regole: noi rispettiamo la regola del 3%. Però, nel rispettarla, diciamo anche 'oh, ragazzi: l'Europa non può essere solo tagli, vincoli e spread. E deve pure essere attenzione agli ultimi".

sabato 23 agosto 2014

Nomine: -7 a Vertice, manovre in corso, Italia senza piano B

Scritto per EurActiv.it il 23/08/2014

A una settimana dal Vertice delle Nomine, sono già ripartite, magari sotto traccia, consultazioni e trattative fra i leader dei 28. Le scelte del nuovo presidente del Consiglio europeo e, soprattutto, dell’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza europea condizionano, tra l’altro, le decisioni del presidente eletto della Commissione europea Jean Claude Juncker sulla composizione dell’Esecutivo.

Intanto, s’è oggi appreso che il presidente francese François Hollande ha invitato sabato mattina, all’Eliseo, i leader dei partiti del Pse, per concordare la posizione da tenere al Vertice la sera a Bruxelles. All’Eliseo, vi saranno, fra gli altri, il premier italiano Matteo Renzi, i leader dell’Spd Sigmar Gabriel e vari altri. E’ probabile che anche i leader del Ppe si consultino prima del Vertice.

A Bruxelles, è chiaro che Juncker potrà riempire le caselle della Commissione solo dopo che sarà stato sciolto il nodo di Mr o Mrs Pesc, che è anche vice-presidente della Commissione. Il suo capo di gabinetto Martin Selmayr ha recentemente spiegato che bastano un paio di "variabili" per dare "molti risultati diversi" per il futuro Esecutivo comunitario.

Juncker ha un quadro quasi completo dei commissari designati dai singoli governi –in qualche caso, ha la scelta fra varie opzioni- e sta riflettendo su struttura e composizione dei portafogli. C’è poi il vincolo delle donne: devono essere almeno nove –chiede il Parlamento europeo- e, al momento, non sono più di sei.

Lunedì 25 agosto, molti sherpa, consiglieri e membri di gabinetto rientreranno al lavoro a Bruxelles, dopo la pausa estiva. La partita delle nomine entrerà, quindi, nella fase più calda, anche se tutti cercheranno di arrivare al 'rush finale' tenendo il profilo più basso possibile, per avere più margini di manovra e minore pressione mediatica.

“Ma quest'ultima, dopo due settimane di relativa calma, sta ricominciando a salire”, scriveva l’Ansa in settimana. A rompere la tregua, il quotidiano Die Welt, che propone il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier come Mr Pesc, in netta contrapposizione alla candidata italiana Federica Mogherini.

"Per favore, non un'altra Ashton", titola il giornale, secondo cui la titolare della Farnesina non ha "esperienza e statura internazionale": la maggior parte dei capi di governo, inclusa la cancelliera Angela Merkel, avrebbero “il mal di pancia per la sua nomina". Steinmeier, scrive Die Welt, possiede competenza, istinto politico, sensibilità diplomatica e credibilità personale. Ma neppure il giornale crede alla sua candidatura, perché –scrive- a prevalere sarà il "bazar di Bruxelles".

Ufficialmente, i candidati a succedere a lady Ashton, la britannica che ha tenuto quel posto negli ultimi cinque anni, sono tre: oltre alla Mogherini, il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski e la bulgara Kristalina Georgieva, commissaria uscente alla Cooperazione allo Sviluppo ed agli Aiuti umanitari.

La scelta dell’Alto Rappresentante e del nuovo presidente del Consiglio europeo sono collegate: fra i due, deve infatti esserci –è percezione comune- un’alternanza politico e pure di genere.

Sulla carta, i candidati anti-Mogherini non sono fortissimi. Sikorski, recentemente protagonista di un’improvvida gaffe –a microfoni accesi, ha definito le relazioni polacco-americane “worthless”, cioè di scarso valore-, potrebbe essere una moneta di scambio per il premier polacco Donald Tusk, che ambisce a prendere il posto di Van Rompuy.

La Georgieva, invece, sarebbe più sostenuta da Juncker che dal suo governo, che avrebbe già pronto un piano B –forse il portafoglio dell’Ambiente, scrive il quotidiano online Mediapool-. Juncker vuole rassicurare i Paesi dell’Est, che, nel pieno della crisi ucraina, giudicano filorussa la posizione dell’Italia e della Mogherini, che nelle ultime settimane ha cercato di correggere tale impressione.

Chi non ha piano B, e dichiara di non averlo, è l’Italia, che mette avanti solo la Mogherini e solo come Mrs Pesc. E se il 30 agosto qualcosa non girasse per il verso giusto?