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giovedì 30 agosto 2012

Crisi: euro, la Merkel sposa la linea dei due Super-Mario

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/08/2011

Angela Merkel affronta l’autunno europeo scortata dai due nostri Super Mario. Al premier Monti, fa i complimenti per i progressi “impressionanti” fatti dall’Italia verso risanamento e riforme; e gli consiglia di non attivare subito lo scudo anti-spread, perché l’Italia “ce la può fare da sola”. E coglie l’occasione per ricordare l’indipendenza della Bce, dando così via libera a Draghi, il presidente della Banca centrale europea, ad adottare “misure eccezionali”, cui la Bundesbank s’oppone.

Ma non è che i problemi tra Germania e Italia siano tutti risolti: fronti caldi restano l’Esm, il nuovo fondo salva Stati, con la sua eventuale licenza bancaria, e pure il ruolo della Bce nei nuovi equilibri della finanza pubblica europea. Su questi nodi, Berlino e Roma sono distanti, ma cercano un’intesa: “Grazie, questo è stato un bell’incontro”, così Angela s’accommiata dal Mario premier; e chissà quale incontro non bello aveva in mente.

E’ una stagione di contatti e di manovre, questa, nell’Unione e nell’Eurozona. La Merkel ripropone un asse con il presidente francese François Hollande, spingendo sull’acceleratore dell’integrazione, ma non taglia fuori l’Italia. Anzi, testimonia piena fiducia al premier Monti e al suo governo, che – dice – hanno dato un “rilevante contributo” alla discesa dello spread (che, in realtà, neppure ieri s’è riportato sotto quota 440). E il Professore accetta l’elogio, evoca i progressi “significativi” fatti e riconosciuti dai mercati, ma aggiunge che bisogna andare avanti e che non è l’ora di fermarsi: parole che sono zucchero per Angela.

Borse deboli e spread quasi fermo a parte, la giornata conforta la fiducia dichiarata del duo Merkel – Monti (“abbiamo i mezzi per stabilizzare l’euro”), nella scia della sortita su Die Zeit di Draghi, che rivendica il suo ruolo e le sue responsabilità: la Bce non fa politica – assicura -, ma la stabilità dei prezzi e la politica monetaria possono talvolta richiedere misure non convenzionali, come l’acquisto di titoli dei Paesi in difficoltà per riequilibrare i tassi d’interesse. E, a tu per tu con Angela, Mario il Professore ricorda che gli spread alti danneggiano tutti, anche la Germania.

Il Tesoro vende nove miliardi di Bot semestrali, a fronte di una domanda superiore ai 15 miliardi e a tassi mai così bassi da marzo, 1,585%. E il fondo salva Stati temporaneo, quello che dovrà essere sostituito dall’Esm, Corte costituzionale tedesca permettendo il 12 settembre, piazza titoli a 10 anni per 3 miliardi, a un tasso d'interesse pressoché dimezzato rispetto all'ultima emissione di questo tipo lo scorso novembre. Il numero due dell’Efsf Christophe Frankel rileva che, nonostante un contesto “a rendimenti molto bassi", il fondo ha piazzato i titoli “a un ampio spettro di investitori". I fondi sono destinati ai Paesi dell'eurozona sotto programma, Irlanda, Portogallo, Grecia e Spagna.

Tra Borse e titoli, comportamenti un po’ schizofrenici, che confermano l’analisi di Draghi secondo cui paura e irrazionalità dominano, in questo momento, i mercati finanziari. Su questo sfondo, l’Italia cerca di restare da protagonista dentro i processi europei, che neppure la Germania vuole, apparentemente, ridurre a un dialogo con la Francia. Monti, martedì sera, aveva preso, a Bruxelles, un lungo caffè con il presidente della Commissione europea Manuel Barroso: fra loro, accordo sull’opportunità di concretizzare in fretta le decisioni del Vertice europeo di fine giugno, lo scudo anti-spread e l’avvio di un processo che conduca all’Unione bancaria –l’Esecutivo comunitario presenterà le sue proposte entro il 12 settembre, una nuova data feticcio, perché quel giorno è pure atteso il verdetto della Corte di Karlsruhe.

Nella conferenza stampa al termine del loro incontro, la Merkel s’è mostrata convinta che le riforme di Monti “porteranno buoni frutti” e ha definito “eccellenti” le relazioni bilaterali italo-tedesche, sia sul fronte europeo che su quello internazionale. Il premier ha invece riassunto gli sforzi finora fatti “con il generoso apporto delle forze politiche e dei cittadini”. Però, nonostante vi siano “parvenze di risultati” e “motivi di speranza”, bisogna “andare avanti con determinazione”.

Fin qui, rose senza spine. Sull’Esm, il meccanismo di stabilità ancora in attesa d’implementazione, Angela e Mario concordano che “è fondamentale”. Ma la cancelliera nega che il fondo possa avere una licenza bancaria: cita a sostegno Draghi e corteggia i falchi del rigore della sua coalizione: “E’ mia convinzione che una licenza bancaria dell’Esm non è compatibile con trattati”. Il premier, però, non l’asseconda: la licenza bancaria dell’Esm –spiega- va vista “con la prospettiva del mosaico: singole tessere che hanno la finalità di dare luogo e concretezza a una governance soddisfacente … Certe cose che in questo momento non sono possibili potrebbero esserlo ad altre condizioni”.

mercoledì 29 agosto 2012

Crisi: ipoteca sull'Italia, la tentazione del piano finlandese

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/08/2012

La delegazione finlandese è venuta, ha parlato, è ripartita: soddisfatta per l’attenzione ricevuta, ma senza portarsi a casa il Colosseo. “Non se n’è neppure parlato”, assicura una fonte presente a tutti gli incontri che il sottosegretario alle Finanze di Helsinki Martti Hatemaeki e il segretario di Stato agli Affari europei Kare Halonen.hanno avuto con funzionari del Ministero delle Finanze, prima, e a Palazzo Chigi, poi. Una missione lampo, per cui  Hatemaeki e Halonen hanno espresso la loro “grande soddisfazione” per l’attenzione ricevuta e l’interesse destato.

I colloqui, riferisce una fonte diplomatica, si sono svolti “in un’atmosfera molto buona”: sono stati tutti a livello tecnico, ma potrebbero avere importanti risvolti politici, anche perché l’iniziativa  nasceva dalla visita a Helsinki, all’inizio del mese, del premier Monti. In quell’occasione, ricorda un funzionario delle Finanze, i finlandesi suggerirono di condividere l’esperienza da loro fatta sull’uso dei ‘covered bonds’ durante la crisi degli Anni Novanta: il premier si mostrò interessato.

Le obbligazioni garantite da immobili pubblici sono state molto utilizzate in passato da Helsinki: è un modello che potrebbe essere adottato dall’Italia e, magari, da qualche altro paese europeo –se n’è parlato per la Grecia, ma chi sarebbe più avanti di tutti su questa strada è la Spagna -. Obiettivo: raffreddare la crisi dei debiti e gli spread, consentendo ai paesi in difficoltà di finanziare il proprio debito sui mercati a condizioni migliori. In Italia, in particolare, l’operazione potrebbe combinarsi con quella già annunciata dal ministro dell’Economia Vittorio Grilli: il conferimento, cioè, a un fondo pubblico di una lista di immobili da dismettere per ridurre il debito. Questa lista comprende circa 350 fabbricati di alto pregio in tutta Italia. Oltre che tramite la vendita, gli attivi patrimoniali italiani potrebbero essere sfruttati come garanzia per la raccolta di denaro sul mercato. Insomma, il Colosseo non si vende, né si dà in pegno, ma solo perché non ci mancano altri tesori da mettere in tavola.

Il debito pubblico italiano sfiora attualmente i duemila miliardi di euro e alla fine del 2012 dovrebbe rappresentare oltre il 123% del prodotto interno lordo, con un costo annuo in interessi di oltre 80 miliardi. Il Tesoro ha già avviato un’operazione di dismissione delle sue società partecipate e completerà entro fine anno la cessione di Sace, Fintecna e Simest alla Cassa depositi e prestiti.

Nei colloqui a Roma, Hatemaeki e Halonen non si sono limitati a sciorinare il modello finlandese: s’è parlato della situazione nell’Eurozona e dei progetti di approfondimento dell’integrazione; e pure del piano di crescita dell’Italia. L’agenda digitale e la ‘smart growth’ sono state evocate, senza che gli emissari di Helsinki si siano trasformati in commessi viaggiatori della Nokia.

In tutta Europa, è stata una giornata fitta di incontri e di contatti. Il premier Monti, che oggi rende visita a Berlino alla cancelliera Merkel, ha preso un caffè a tarda sera, al Berlaymont di Bruxelles, con il presidente della Commissione europea Manuel Barroso. E il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy è stato a Madrid, dove domani è atteso il presidente francese Hollande, che verrà poi a Roma il 4 settembre. Nell’incontro con Van Rompuy, il capo del governo spagnolo Rajoy, malgrado la recessione dia segni d’aggravamento e la Catalogna rinnovi le richieste d’aiuto, di mostra deciso a non negoziare sulle condizioni dell’intervento europeo (100 i miliardi stanziati).

Per quanto serrata, la diplomazia europea non impressiona le borse, deboli in tutta l’Eurozona, e neppure le agenzie di rating. Fitch declassa sette banche italiane e stima il pil in calo dell’1,9% quest’anno e invariato l’anno prossimo. E lo spread sale a 450, nonostante le aste del Tesoro e pure quella spagnola vadano bene: collocati tutti i titoli a tassi ridotti.

Il fatto nuovo, in questo momento, nell’Unione è il rinnovato fervore dell’asse Berlino-Parigi, ricostituitosi dopo i contrasti del Vertice europeo di fine giugno: un gruppo di lavoro franco-tedesco messo in piedi dai ministeri delle Finanze dei due Paesi deve studiare come affrontare la crisi e rafforzare l'integrazione, con passi in avanti verso l'Unione politica. Un’accelerazione che suscita speranze nella sostanza, ma desta riserve nella forma: la Nuova Alleanza, come la definiscono i media tedeschi,vuole "forgiare posizioni comuni" in vista del Vertice europeo di metà ottobre.

Un discorso in cui Monti, oggi, a Berlino, cercherà di inserirsi. Il terreno è scivoloso, di qui all’autunno: se la Bce non sblocca gli interventi per raffreddare gli spread e la Corte suprema tedesca, il 12 ottobre, non avalla il Patto di Bilancio, il piano finlandese potrebbe rivelarsi non un’opzione, ma una necessità. Colosseo in vendita? No, ma al Monte dei Pegni magari sì.

lunedì 27 agosto 2012

Crisi: debito, due emissari finlandesi in Italia

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/08/2012. Altra versione su EurActiv il 27/08/2012

Alla Grecia, avevano chiesto in garanzia il Partenone. All’Italia, potrebbero chiedere il Colosseo. Battute, ma fino a un certo punto: l’idea finlandese di solidarietà europea lascia ben pochi margini alla generosità e vuole contropartite concrete. Quando Mario Monti era stato ad Helsinki ai primi d’agosto, per attenuare le riserve della Finlandia sullo scudo anti-spread, non se n’era parlato, almeno pubblicamente. Ma, adesso, due membri del governo finlandese sono in arrivo a Roma: obiettivo, discutere con i colleghi italiani un sistema di prestiti garantiti, uno strumento per potere finanziare più facilmente, a giudizio di Helsinki, il proprio debito. La notizia, diffusa dalla tv pubblica finlandese Yle, ripresa dal sito LaRondine.fi e pure da agenzie di stampa internazionali, trova conferma in ambienti diplomatici.
Kare Halonen, segretario di Stato agli Affari europei, e Martti Hatemaeki, sotto-segretario alle Finanze, intraprendono la missione “per discutere la possibilità per l’Italia d’acquisire, in un modo o nell’altro, titoli di debito garantiti proposti dalla Finlandia”, scrive la Yle sul proprio sito.
Al Vertice europeo di fine giugno, la Finlandia, che, con l’Olanda è il Paese più reticente rispetto all’idea di uno scudo anti-spread e all’acquisto di titoli dei Paesi in difficoltà da parte della Bce, aveva suggerito che paesi come Grecia, Spagna o Italia, cioè quelli dell’Eurozona che hanno difficoltà a finanziarsi sui mercati e che, per farlo, pagano tassi d’interesse più alti, rendano i loro titoli più attraenti per gli investitori garantendoli con proventi dell’erario o con proprietà dello Stato. Giornalisticamente subito tradotta come la richiesta alla Grecia di dare in garanzia il Partenone e Atene aveva in un certo senso risposto chiedendo a Londra di restituirle i fregi sottratti nell’ ‘800-, la proposta aveva suscitato molta curiosità, ma anche molte perplessità, e non era stata avallata dall’Unione europea.
Però, secondo le fonti di stampa finlandesi, il governo Monti, che sta vagliando l’alienazione di beni dello Stato, sarebbe pronto a studiare il progetto, che non è così banale come un baratto: il livello di sofisticazione, in termini finanziari, è molto maggiore. Con i giornalisti che chiedevano particolari, le fonti ufficiali di Helsinki sono state avare di dettagli, pur confermando la missione di Halonen e Hatemaeki, che si svolge in gran  riservatezza –“in tutto silenzio”, scrive la Yle-, per discutere con le controparti italiane la ricetta finlandese per uscire dalla crisi.
La Finlandia è solita chiedere garanzie, quando concede prestiti agli altri Paesi dell’Eurozona, di cui è l’unico Paese nordico a fare parte. Ne ha ottenute dalla Grecia, anche se non certo il Partenone; ne ha negoziate con la Spagna, che può contare su un aiuto dell’Ue per ricapitalizzare le banche, ma deve ancora riscuoterlo; e prevede di reclamarne a Cipro, se l’isola dovesse chiedere il sostegno dell’Unione.
L'idea finlandese per Italia e Spagna è di emettere, in funzione anti-spread, 'covered bond', cioè titoli ad alta garanzia e basso rischio: in pratica, di raccogliere crediti sul mercato, garantendoli, però, con propri beni allentando così le pressioni sui tassi d'interesse e facilitando l'accesso al mercato dei finanziamenti. La proposta finlandese nasce proprio dall'esperienza finnica: quando, all’inizio degli Anni Novanta, una forte recessione colpì lo Stato nordico, la cura utilizzata fu proprio l'offerta di beni dello Stato come garanzie collaterali. Ed Helsinki non aveva certo patrimoni dell’umanità come il Partenone e il Colosseo nel suo portafoglio.
Questa è, dunque, la medicina ora prospettata all'Italia, per favorirne il risanamento e la ripresa, visto che lo spread è ancora su livelli alti, nonostante gli interventi realizzati dal governo Monti (oggi, è praticamente rimasto dov’era, a 436, mentre le borse europee, partite deboli, hanno tutte chiuso in attivo, con Milano a +0,89%. Secondo i finlandesi, c’è persino la possibilità, che è pure una loro speranza, che la sola offerta in garanzia di propri beni alleggerisca i tassi d'interesse necessari per ottenere prestiti, raffreddando lo spread e fugando l’ipotesi di interventi finanziari a livello comunitario.
Dei quali, invece, si continua a discutere, specie in Germania e con grande vigore polemico. Ieri, Joerg Asmussen, membro tedesco del Consiglio direttivo della Banca centrale europea, ha indicato che la Bce discuterà a settembre dell’ipotesi d’acquisire titoli di Paesi in difficoltà, quando lo spread dovesse surriscaldarsi, “solo in tandem con i fondi salva Stati”. L’intervento di Asmussen fa seguito alle sortite mediatiche, domenica, della cancelliera Merkel e a un nuovo peggioramento degli indici sulla fiducia degli imprenditori tedeschi. Domani, Monti sarà a Berlino per incontrare la Merkel.
In un’intervista televisiva, la cancelliera ha rilanciato la prospettiva europea di una Unione politica e ha frenato i falchi del suo governo e della sua maggioranza, invitandoli a pesare le parole quando si discute dell’uscita della Grecia dall’euro. La Merkel è pure intervenuta sul rilancio delle tensioni tra i presidenti della Bundesbank Weidmann  e della Bce Draghi. Weidmann è ostile all’acquisto di titoli dei Paesi in difficoltà da parte della Bce: “Sarebbe un finanziamento agli Stati fatto stampando moneta, pericoloso come una droga”. In questo caso, la cancelliera non ha smentito Weidmann, ma ha elogiato Draghi.

Crisi: Monti torna in pista, i tedeschi litigano fra di loro

Scritto per EurActiv il 27/08/2012

La settimana che segna la ripresa dell’attività europea del presidente del Consiglio italiano Mario Monti, che mercoledì sarà a Berlino per incontrare la cancelliera tedesca Angela Merkel, si apre nella scia della missione europea del premier greco Antonio Samaras e dopo una domenica di polemiche europee nella politica tedesca. Sull’agenda di Monti, ci sono pure le visite a Roma del presidente francese François Hollande, il 4 settembre, e, più avanti nel mese, del premier spagnolo Mariano Rajoy.

In un’intervista televisiva, la Merkel, ieri, ha frenato i falchi del suo governo e della sua maggioranza, invitandoli a pesare le parole quando si discute dell’uscita della Grecia dall’euro. La cancelliera ha confermato che le decisioni sui piani di risanamento di Atene saranno prese dopo il rapporto della troika (Ue, Bce ed Fmi), cioè non prima di ottobre, ma ha elogiato il premier Samaras, che “sta facendo sforzi molto seri”. E ha rilanciato la prospettiva europea di un’Unione politica.

In precedenza, il suo vice Philipp Roesler aveva bocciato l’idea di una proroga alla Grecia (“né sei mesi, né due anni”, aveva detto, sui tempi di attuazione del risanamento –Atene vorrebbe slittare dal 2014 al 2016-). Roesler aveva detto: “Nell’euro solo chi mantiene gli impegni”. Diversa, invece, la posizione espressa dall’Austria, disponibile a una proroga.

La Merkel è pure intervenuta, sia pure in modo meno netto sul rilancio delle tensioni tra la Bundesbank e la Bce, anzi tra il presidente della banca centrale tedesca Jens Weidmann e il presidente della Bundesbank Mario Draghi. Weidmann aveva appena ribadito la sua ostilità alle ipotesi di acquisto di titoli dei Paesi in difficoltà da parte della Bce e di definizione di limiti allo spread: “Sarebbe un finanziamento agli Stati fatto stampando moneta, pericoloso come una droga. Siano i parlamenti a decidere, non le banche”. In questo caso, la cancelliera non ha smentito Weidmann, ma ha elogiato Draghi.

domenica 26 agosto 2012

Grecia: Samaras senza soldi se la prende con gli immigrati

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 26/08/2012

A Parigi, va meglio che a Berlino. Questione di forma, però, più che di sostanza. Perché dalla questua presso i 'Signori dell'Unione',   Antonio Samaras, premier greco, non cava né un euro né una dracma; e neppure quel po’ di tempo supplementare che gli serve come l'aria per respirare. Francois Hollande, presidente francese, se lo abbraccia e lo rassicura: “Atene deve restare nell'euro”, dice, “ma deve pure dimostrare credibilità”, aggiunge. E poi chiede perentorio che l'Ue agisca rapidamente, ma dopo il rapporto della troika Ue, Bce ed Fmi, cioè non prima di ottobre.

Insomma, Hollande è più caloroso, mentre la Merkel era stata più fredda. Ma le bocce restano ferme, aspettando la troika e l'autunno. Del resto, non c'era bisogno d'un sondaggio per capire che i tedeschi non si fidano dei greci; e la Bild non s'è peritata a scriverlo a chiare lettere. Stereotipi mediatici e miopie politiche di esponenti conservatori fanno perdere le staffe al ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle, che chiede di smetterla con il mobbing contro Atene.

L'attesa di ottobre serve anche all'Ue per venire incontro a Barack Obama, che secondo indiscrezioni attribuite a fonti del governo britannico e riferite dall’Independent, starebbe facendo pressing sui governi europei perché Atene resti nella moneta unica almeno fino alle elezioni Usa del 6 novembre. E la cancelliera Merkel ha già pronta una sorta di ‘mossa del cavallo’ nei confronti dei partner europei e di quanti, anche nella sua coalizione, l’accusano di inazione europea: secondo il settimanale Der Spiegel, intende ottenere, entro fine anno, la convocazione di una conferenza per il rilancio dell’Unione politica.

L’esito sostanzialmente nullo della missione europea del premier Samaras non ha ancora suscitato reazioni sociali negative in Grecia, anche perché la coalizione di centro-sinistra al potere sta spostando l’attenzione dell’opinione pubblica su un falso problema, quello dell’immigrazione, inseguendo in parte i proclami elettorali del movimento neo-nazista Alba Dorata.

Negli ultimi sei mesi, secondo la comunità pachistana, più di 500 persone sono state vittime di violenze xenofobe. Più di tremila persone hanno marciato ieri ad Atene, fino al Parlamento,
per protestare contro l’aumento degli attacchi contro gli immigrati. La manifestazione è stata organizzata dalla comunità pachistana, che accusa l’esecutivo di aver messo in cima all’agenda la lotta contro l’immigrazione clandestina per distrarre l’opinione pubblica in un Paese soffocato dalla crisi. Le recenti maxi-retate della polizia, con oltre 1650 arresti, avrebbero incoraggiato l’estremismo anti-Islam a effettuare raid punitivi contro gli immigrati.

Se la deriva xenofoba riscuote qualche successo nelle masse popolari scoraggiate e senza lavoro, l’idea, invece, di vendere isole disabitate dell’Egeo ha subito suscitato reazioni ostili. E il governo Samaras ha dovuto precisare che non di vendite si tratterebbe ma della cessione dei diritti di sfruttamento economico di territori attualmente improduttivi, dal punto di vista sia turistico che imprenditoriale.

All’Eliseo Samaras è rimasto poco più di un’ora e mezza. “Abbiamo convenuto che servono ancora degli impegni - ha detto Hollande - ma anche che siamo coscienti di tutto quello che è stato
fatto. Adesso però, “dopo due anni e mezzo, non c'è più tempo da perdere”, ha sottolineato Hollande. E, allora, la cosa da fare è aspettare: “Attendiamo il rapporto della troika. Una volta che sarà reso noto, una volta che gli impegni della Grecia, non finanziari ma di riforme strutturali ratificate dal Parlamento saranno confermati, allora l’Europa dovrà fare subito quanto deve”. Samaras ha abbozzato, in francese, come venerdì, a Berlino, per mostrarsi economo era sceso in un hotel di seconda classe e non al celebre Adler.

sabato 25 agosto 2012

Crisi: Grecia in apnea e Bce trattiene il respiro

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 25/08/2012

Il giro dei ‘signori d’Europa’ di Antonio Samaras, premier greco, comincia da Berlino, la tappa più ostica, e somiglia proprio a una questua: ''Non vogliamo altri aiuti'', ma“tempo per respirare”, spiega ai giornalisti, con accanto la cancelliera Merkel. Che, però, non gli concede un minuto in più, almeno per ora: “Voglio che Atene resti nell’Eurozona –dice la cancelliera, che si sforza d’apparire incoraggiante-. Il piano di risanamento del governo è un buon avvio, ma resta molto da fare”. Tutto rimarrà in sospeso, com’era già chiaro, fino ad ottobre, cioè fin dopo la prossima missione in Grecia della troika delle istituzioni finanziarie internazionali (Ue, Bce, Fmi).

Samaras e i greci dovranno, nel frattempo, allenarsi all’apnea, altro che respirare un po’, come spera il premier, che chiede due anni in più per completare il risanamento, dal 2014 al 2016, e assicura: “Vogliamo camminare con le nostre gambe”, anche se le riserve finanziarie non vanno oltre ottobre. Oggi, a Parigi, dove vede il presidente Hollande, Samaras troverà probabilmente più comprensione, ma ancora nessun impegno sulla dilazione richiesta: se ne parlerà dopo il rapporto della troika, pure Hollande, dopo l’incontro di giovedì con la Merkel, accetta questa linea.

Il clima, in Germania, resta politicamente teso. Eppure i sondaggi olandesi, verso le elezioni politiche anticipate di settembre, dovrebbero fare riflettere la coalizione di centro-destra: in Olanda, dopo le dimissioni del governo liberal-conservatore sostenuto dagli xenofobi anti-islam, i laburisti sono il primo partito e la sinistra va forte. Anche i ‘cani da guardia’ più fidati del rigore tedesco possono ripensarci, a furia di tagli.

Nel mirino di molte critiche tedesche, ma non del governo di Berlino, c’è il presidente della Bce Draghi, accusato di condurre la Germania e l’Eurozona ad un’altra Weimar, cioè a quel periodo della storia tedesca segnato da un’altissima inflazione che favorì l’avvento del nazismo. E così, mentre a Washington il presidente della Fed Bernanke apre a nuovi stimoli per l’economia Usa, Draghi a Francoforte pigia sul freno: secondo la Bloomberg, la Banca Centrale Europea non presenterà il piano di acquisto dei titoli di Stato dei paesi in difficoltà, contestato dalla Bundesbank, prima della decisione della Corte Costituzionale tedesca sul fondo salva-Stati Esm, il 12 settembre. Il 6 settembre c’è il board della Bce: chi pensava che Draghi scoprisse le carte allora sarà deluso, nonostante non vi sia un nesso palese tra la sentenza di Karlsruhe e la decisioni di Francoforte.

Eppure, l’agenzia di rating Fictch avalla, sia pure con molti distinguo, il progetto della Bce, che “avrebbe un impatto positivo sui rating sovrani e allenterebbe la tensione sui Paesi stessi”. Fra rinvii e attese, le borse europee, partite deboli, recuperano nel finale e chiudono positive, con l’eccezione di Milano, sotto per il terzo giorno consecutivo, stavolta di mezzo punto, con lo spread a 437.

Nei prossimi giorni, l’agenda di incontri è fitta. Il premier Monti andrà dalla Merkel il 29 e riceverà a Roma Hollande il 4 settembre e il premier spagnolo Rajoy il 20. E il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy vedrà Rajoy, la Merkel e Hollande.

Norvegia: Breivik, la condanna, le scuse, 'Ne ho uccisi pochi'

Sritto per Il Fatto Quotidiano del 25/08/2012

Un movimento delle labbra appena accennato, poi un sorriso aperto, un ghigno tra la soddisfazione e la sfida: Anders Behring Breivik, che massacrò 77 persone nel luglio 2011, ha reagito così al verdetto del Tribunale di Oslo: 21 anni di prigione, la pena massima prevista da un ordinamento giudiziario senza ergastolo né –ovviamente- pena capitale. L’autore di un attentato all’autobomba nel centro della capitale e poi di una strage di giovani sull’isola di Utoya è stato riconosciuto dai giudici pienamente responsabile delle sue azioni: sentenza unanime.

A Breivik, 33 anni, un fondamentalista cristiano,che s’ispira alla saga dei templari, di cui si ritiene l’epigono, va bene così: non voleva passare per pazzo, lui ha ucciso lucidamente, perché voleva liberare la Norvegia dalla ‘peste’ del multiculturalismo. La sua ideologia razzista e xenofoba, il suo culto dell’odio, non sono frutto della follia, ma di una lucida aberrazione: “Chiedo perdono –dice, prima di essere zittito dalla Corte- per non avenre uccisi di più”.

Vestito scuro, camicia bianca, cravatta grigio antracite, un filo di barba molto curata a incorniciargli il viso arrotondatosi nell’anno di carcere, il pugno destro teso in avanti all’ingresso in un saluto dalle molte evocazioni storiche, Breivik é soddisfatto, anche se rischia di passare in carcere il resto della vita, perché la pena potrà essere prolungata indefinitamente se, al suo scadere, lui sarà ancora considerato socialmente pericoloso. L’alternativa, che poggiava su una perizia psichiatrica che l’aveva giudicato afflitto da una schizofrenia paranoide, erano 30 anni in un manicomio criminale, pure lì senza la certezza di uscirne a pena scontata. Un’altra perizia aveva invece concluso che è capace d’intendere e volere.

A pronunciare il verdetto, nell’aula del tribunale appositamente allestita per accogliere pubblico e stampa, è stata la giudice Wenche Elizabeth Arntzen: per dieci anni, Breivik non potrà presentare domanda di libertà condizionale. Knut Storberget, ministro della giustizia, ritiene che la sentenza ponga le basi perché il condannato resti in prigione tutta la vita”.

Il 22 luglio dell’anno scorso, il ‘templare’ aveva fatto provocato otto morti e decine di feriti facendo esplodere un’autobomba nel quartiere degli uffici governativi. E poi aveva ucciso 69 persone, per la maggior parte adolescenti, dopo esserci presentato, armato e travestito da poliziotto, sull’isola dove c’era una festa della gioventù del partito laburista. Il duplice attacco aveva fatto emergere l’impreparazione della polizia norvegese, responsabile, secondo un’inchiesta, di ritardi nell’intervento sull’isola di Utoya e anche di carenza di prevenzione perché i comportamenti di Breivik dovevano suscitare sospetti.

Il fondamentalista cristiano riconosce di essere l’autore degli omicidi, ma si dichiara non colpevole perché sostiene di avere compiuto atti “atroci ma necessari” per preservare la purezza della Norvegia. Non ci sarà appello: Breivik avrebbe fatto ricorso solo se l’avessero dichiarato incapace d’intendere e volere, hanno spiegato i suoi avvocati. A ricorrere potrebbe essere la Procura: il pm aveva infatti chiesto la reclusione psichiatrica

Il verdetto è stato accolto con sollievo e soddisfazione dai sopravvissuti e dai familiari delle vittime. Breivik sconterà la pena nella prigione di Ila, una dozzina di chilometri a nord-ovest di Oslo: passerà il tempo scrivendo, perché sta preparando vari libri, fra cui un’autobiografia. Il 72% dei norvegesi ritiene la condanna giusta, ma quasi tre su cinque pensano che condizioni di detenzione siano troppo clementi: il ‘templare’ avrà a sua disposizione tre celle di 8mq ciascuna, una per dormire, una per lavorare e una per l’esercizio fisico, e un computer senza connessione a internet.

venerdì 24 agosto 2012

Crisi: l’Italia pensa alla crescita, l’Ue rinvia sulla Grecia

Scritto per EurActiv il 23/08/2012

Il Consiglio dei Ministri italiano discute fra qualche ora le idee per la crescita: stando alle indiscrezioni di stampa, si parla di niente Iva per le infrastrutture, green economy e agenda digitale. Intanto, l’Europa è tornata, questa settimana, a discutere di Grecia e ha scelto di rinviare ogni decisione: Atene presenta una manovra più drastica (13,5 miliardi di euro, invece di 11), ma chiede in cambio di completare il risanamento entro il 2016 (invece che entro il 2014). La linea dell’attesa non piace alle borse, che, dopo una striscia positiva, chiudono negative per il secondo giorno consecutivo, anche nella scia dei dati settimanali Usa sull’occupazione peggiori del previsto. E lo spread risale sopra 430.

Sulla Grecia, che l’incontro di Berlino tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese François Hollande non sarebbe stato decisivo era ormai chiaro: i due si sono visti per confrontare le rispettive posizioni e, se possibile, farle collimare, nonostante le divergenze d’accento (la Merkel sul rigore e il rispetto degli impegni, Hollande sulla solidarietà e la crescita).

L’idea, già espressa dal presidente dell’Eurogruppo Jean-Cluade Juncker, mercoledì in visita ad Atene, è di aspettare il rapporto della troika delle istituzioni finanziarie internazionali (Ue, Bce ed Fmi), che sarà di ritorno ad Atene a settembre e che trasmetterà le sue valutazioni il mese successivo. Il premier greco Antonio Samaras se lo sentirà dire oggi dalla Merkel a Berlino e domani da Hollande a Parigi, insieme all’assicurazione che nessuno vuole la Grecia fuori dall’euro. Anzi. Visto che, ricorda Samaras, un’eventualità del genere sarebbe “un incubo geo-politico” e pure economico.

La cancelliera e il presidente lo hanno pure detto ieri all’unisono: “Atene vada avanti con le riforme, noi vogliamo che i greci restino nell’Eurozona, ma loro intanto facciano tutti gli sforzi necessari” (sottinteso: e non si limitino a promettere di farli). Insomma, per il momento prevale la campana tedesca del rispetto degli impegni, nonostante il dibattito sia vivace in Germania sull’opportunità, o meno, di venire incontro alla Grecia. Il ministro delle finanze Wolfgang Schaeuble ricorda che dare tempo alla Grecia è denaro, cioè costa.

Se il vertice bilaterale Merkel-Hollande è stato il calcio d’avvio della stagione d’autunno dell’Unione, la ripresa politica in Germania c’è già stata, nel segno, ormai, delle elezioni politiche del settembre 2013: la Merkel riceve sollecitazioni opposte all’interno della sua stessa sollecitazione. E’ proprio vero che continuare a essere la donna più potente al Mondo –il giudizio è della rivista Forbes- non basta a comandare a casa propria.

giovedì 23 agosto 2012

Grecia: l'Europa la tira per le lunghe; e i mastini ringhiano

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 23/08/2012

L’Europa, come al solito, la tira per le lunghe. E i mercati, che ad agosto sono stati buoni a cuccia, come dei cagnolini, danno segni di nervosismo: guaiti, per il momento, più che latrati. A ringhiare -ma lo fa sempre- e' l'Olanda, che dice di nuovo no alla Grecia: niente concessioni e neppure dilazioni. Non si capisce, pero', se l'Aja rappresenti stavolta l'avanguardia dei 'duri e puri' o se non costituisca, piuttosto, la retroguardia di quelli che non hanno ancora capito come gira il vento.

Il segnale che smorza le attese lo dà il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker, che, ancora prima di sbarcare ad Atene, dove incontra il premier Antonio Samaras, dice alla Rtl che non ci sarà “decisione sugli aiuti alla Grecia prima di ottobre": questo perché si aspetta il rapporto della troika delle Istituzioni finanziarie internazionali (Ue, Bce e Fmi), che deve tornare ad Atene a settembre).

Il sigillo sulle attese lo mette poi da Chisinau, in Moldavia, dov’è in visita, la cancelliera tedesca Angela Merkel: sulla Grecia, non vi sarà decisione né oggi, quando lei e il presidente francese François Hollande si vedranno per parlarne, e neppure domani, quando il premier Samaras sarà a Berlino, dopo essere passato da Parigi. La prossima settimana, poi, tornera' come previsto sulla pista europea il premier Monti, atteso a Berlino dalla Merkel. E, a inizio settembre, vi sara' a Cipro una riunione Ecofin informale.

Il governo di Atene, che martedì aveva appesantito la propria manovra di assestamento, portandola a oltre 13,5 miliardi di euro, chiede in cambio ai partner una dilazione dei tempi di risanamento del bilancio, dal 2014 al 2016. Però, la dilazione sui tempi della decisione non aiuta, anzi rischia solo di allargare il buco, anche se e' comprensibile che i leader dell'Ue non si fidino più dei greci sulla parola: ha un bel dire Samaras a Juncker che garantisce lui, questa volta.

Dopo il colloquio, il presidente dell'Eurogruppo non e' proprio incoraggiante: apprezza lo sforzo, ma avverte che, per Atene, e' davvero l'ultima chance per evitare la bancarotta e l'uscita dall'euro (che nessuno vuole). Samaras abbozza: "Ce la faremo, anche se gli aiuti arriveranno a ottobre. E pagheremo i debiti, restituiremo i soldi".

Le battute di Juncker, come quelle della Merkel, appesantiscono le borse, con Milano e Madrid più negative di tutte, mentre lo spread che era in calo ritorna a 420 e il rendimento dei titoli del Tesoro va al 5,65%. La linea dell'attesa fino a ottobre e' avallata dalla Commissione di Bruxelles: "Abbiamo un processo in corso", spiega un portavoce , "la Troika ritornerà in Grecia ai primi di settembre per continuare la revisione del secondo programma di aggiustamento" e, quindi, "sulla base di questa valutazione l'Eurogruppo sarà in grado di prendere decisioni". Che fretta c'e'? Tanto i greci devono solo stringere la cinghia.

mercoledì 22 agosto 2012

Crisi: Grecia, Atene si piega alla ragion d'Europa

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/08/2012

Il governo greco di coalizione di Antonio Samaras, centro-destra e socialisti insieme, china il capo alla ‘ragion d’Europa’ e s’appresta a somministrare al Paese una dose di sacrifici supplementare: tagli alla spesa pubblica per 13,5 miliardi di euro, più degli 11,5 miliardi finora chiesti dalla troika delle istituzioni finanziarie internazionali (Ue, Bce, Fmi). Che il conto sarebbe stato più salato lo aveva anticipato Der Spiegel e lo confermava ieri la stampa ellenica: il ministero delle Finanze s’è accorto che le riduzioni apportate a stipendi e pensioni incideranno su entrate fiscali e contributi previdenziali, allargando la voragine di bilancio di altri due miliardi di euro.

Ufficialmente, Samaras annuncerà il nuovo pacchetto prima del ritorno della troika ad Atene previsto a settembre. Ma  è certo che il premier ne anticiperà i contenuti al presidente dell’Eurogruppo, il lussemburghese Juncker, oggi in visita in Grecia. E, poi, Samaras ne parlerà giovedì con il presidente francese Hollande e venerdì con la cancelliera tedesca Merkel, recandosi a Parigi e a Berlino. La speranza del premier e del ministro delle finanze Stournaras è che l’ampiezza del piano induca i leader dell’Ue a concedere alla Grecia una proroga di due anni, dal 2014 al 2016, sui tempi previsti per portare il deficit greco sotto il 3%. Con Samaras, Juncker intende proprio discutere "la crisi del debito pubblico nell’Eurozona, la situazione delle finanze pubbliche greche e il piano di risanamento previsto dal governo ateniese".

Nonostante i dati di luglio indichino un ulteriore aumento della disoccupazione greca e, quindi, del disagio sociale, la mossa del governo, che non ha ancora suscitato echi nelle piazze, contribuisce alla giornata positiva delle borse europee, con lo spread sotto 410, e incoraggia l’apertura di spiragli a Berlino circa le richieste greche: la Germania è la chiave di volta, perché la Francia pare già acquisita alla causa ellenica. Dal Parlamento europeo, fa sentire la sua voce il vice-presidente Gianni Pittella (Pd): sollecita l’Ue ad evitare alla Grecia una doppia bancarotta finanziaria e sociale.

A Berlino, diversi responsabili di alto rango della maggioranza di centro-destra lasciano intendere che degli “aggiustamenti” agli accordi con la Grecia potrebbero essere accettabili, sia per quanto riguarda le riforme promesse da Atene sia sulle modalità di versamento degli aiuti alla Grecia. Michael Meister, numero due della Cdu al Bundestag, parla di “aggiustamenti possibili all’interno dell’attuale quadro finanziario” –niente nuovi aiuti, cioè-: “le riforme concordate devono essere fatte, ma ci si può chiedere quali siano le priorità e quale possa esserne il processo”.

E Norbert Barthle, il portavoce della Cdu sulle questioni di bilancio, non esclude una revisione al ribasso dei tassi d’interessi pagati d’Atene sui prestiti ricevuti. Christian Lindner, invece, uno dei tenori del partito liberale, alleato della Cdu nella coalizione governativa, non è contro l’ipotesi di una proroga ad Atene per completare le riforme: “Non bisogna lasciare che tutto vada a rotoli per qualche giorno di ritardo: il gioco non vale la candela”.

Segnali apparentemente univoci, ma che si sovrappongono a quelli di fermezza e di chiusura venuti nei giorni scorsi da altri esponenti della maggioranza e del governo. Il ministro degli esteri Westerwelle, ricevendo lunedì il collega greco Avramopoulos, s’era mostrato intransigente. E anche il ministro delle finanze Schaeuble non è mai parso morbido: forse, atteggiamenti negoziali, che hanno comunque ottenuto da Atene un esercizio di rigore supplementare.

Che la giornata di ieri fosse più serena, una volta tanto nella scia dei giudizi delle agenzie di rating –almeno fin quando non è arrivata S&P, a mercati chiusi-, lo confermano altri segnali: la Spagna ha facilmente raccolto sui mercati oltre 4,5 miliardi di euro a corto termine –ma il governo di Madrid continua a invocare un’azione della Bce anti-spread, nel timore di un autunno caldo-. E persino il presidente finlandese Niinisto s’è fatto paladino dell’euro: l’abbandono della moneta unica non sarebbe per nulla una soluzione alla crisi economica, ha detto, ricevendo i diplomatici.

martedì 21 agosto 2012

Crisi: Bundesbank contro Bce, no ai limiti degli spread

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 21/08/2012

La Bundesbank alza le barricate contro un piano antispread della Banca centrale europea anticipato dalla stampa tedesca. E poco importa che la Bce ne minimizzi la portata e smentisca, soprattutto, d’avere deciso di fissare limiti allo spread, superati i quali l’Istituto di Francoforte procederebbe ad acquisti di titoli di Stato dei Paesi in difficoltà. La disputa, non inedita, raffredda le borse europee, che finiscono in rosso –Milano recupera un po’ nel finale e chiude a -1%-. Lo spread, sceso a 414, risale a 426.

L’inquietudine dei mercati è condivisa dalla politica. Il ministro dello sviluppo Corrado Passera giudica “incoerenti” le dichiarazioni che vengono da Berlino –e, in effetti, governo e Bundesbank non hanno sempre linguaggi analoghi-. Ma a turbare i mercati, in Italia , sono anche le dichiarazioni del premier Monti, domenica, e dello stesso ministro Passera, ieri, secondo cui saremmo vicini all’uscita dalla crisi. I sindacati e la gente non condividono l’ottimismo, Ma questa è un’altra storia e altri articoli.

Ad agitare le acque dell’euro, sonole indiscrezioni del settimanale tedesco Der Spiegel, secondo cui la Bce lavora al progetto di definire uno scarto limite dei tassi dei prestiti della Germania e dei Paesi in difficoltà come la Spagna e l’Italia e d’intervenire sui mercati quando tali scarti fossero superati. L’articolo è acidamente commentato dai portavoce della Banca: “E ingannevole annunciare decisioni che non sono state ancora prese”. Inoltre, la Bce nega di avere già acquistato obbligazioni la settimana scorsa.

Il confronto Bce-Bundesbank, che è poi un match tra i presidenti, Mario Draghi e Jens Weidman, riparte da dove l’avevamo lasciato il 2 agosto, dopo una riunione contrastata del Consiglio direttivo della Banca centrale europea. Draghi non rinuncia ad armi anti-spread come l’acquisto di titoli di Stato dei Paesi in difficoltà. Ma il progetto non piace proprio a Weidman: teme che comporti rischi eccessivi, anche se temperato da vincoli pesanti: il no ad azioni che possano andare a scapito del bilancio federale tedesco è secco. Lo stesso ministero delle finanze di Berlino definisce una manovra del genere da parte della Bce “molto problematica, dal punto di vista teorico”.

Lo scontro Bce-Bundesbank, che era rimasto un po’ in sordina per tre settimane, s’interseca, sull’agenda dei leader dell’Ue di questa settimana, con il problema greco. Emissari di Atene compiono missioni nelle capitali dell’Ue, latori di un messaggio chiaro: “Vogliamo restare nell’euro, ma vogliamo agevolazioni rispetto agli impegni già assunti”.

Atene è alle prese con tagli della spesa pubblica tra gli 11 e i 14 miliardi di euro –a quelli già previsti, si sarebbero aggiunti 2,5 miliardi- per restare nella moneta unica, ma, nonostante l’aumento dello sforzo, Berlino insiste sul mantenimento degli impegni. Il premier Antonio Samaras che deve andare nei prossimi giorni a Parigi e Berlino, manda avanti il ministro degli esteri Dimitrios Avramopoulos, che fa visita al collega tedesco Guido Westerwelle: Avramopoulos chiede che la Grecia sia valutata sui fatti e non sui tempi; Westerwelle, per tutta risposta, recita la sura che “la Grecia deve rimanere nell’euro”, ma non cede d’un centimetro sul resto (“un ammorbidimento degli accordi è impossibile”). E domani, ad Atene, sono attesi i presidenti dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker e della Commissione europea José Manuel Barroso.

La Grecia fa fronte “senza problemi” al rimborso alla Bce di una quota di debito di 3,2 miliardi di euro: “Abbiamo i soldi”, dicevano ieri con sussiego i funzionari del ministero delle finanze. Ma non per questo i problemi sono finiti. Joerg Asmussen, il tedesco nel direttivo della Bce, aggiunge la sua voce al coro di quanti giudicano l’uscita di Atene dall’euro possibile e addirittura “gestibile”, per quando “estremamente costosa”, accompagnata “da un rallentamento della crescita e da un aumento della disoccupazione in Grecia, in tutta l’Europa e anche in Germania”.

Infine, uno sviluppo dalla Spagna: il premier Mariano Rajoy studia tagli delle pensioni e aumenti dell’Iva. I compiti fatti, evidentemente, non bastano. Anzi, economisti liberisti lo criticano sul Ft per non avere fatto ancora nulla, o almeno non abbastanza, e lo incitano ad agire.

domenica 19 agosto 2012

Crisi: euro, adesso tutti ammettono una exit strategy

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/08/2012

Le cose stanno così: o i governi dell’Eurozona ammettono di avere piani per un crack della Grecia e una sua uscita dalla moneta unica –e, allora, suscitano allarme-; oppure, negano che vi siano piani del genere –e, allora, passano per fessi, oltre che per bugiardi-. Perché sai che figura farebbero se, dopo tanto che se ne parla, non fossero pronti al momento topico. Così, all’ennesimo putiferio suscitato dal ministro degli esteri finlandese Tuomioja, il ministro delle finanze tedesco Schaeuble decide di uscire allo scoperto: i governi dell’Eurozona –dice alla Bloomberg- "sarebbero stupidi" se non pensassero a un piano d'emergenza, nel caso in cui le iniziative per risolvere la crisi fallissero. Per la serie ‘un colpo al cerchio e uno alla botte’, Schaeuble avverte che la prospettiva d’un collasso dell'euro "é una speculazione senza senso", ma che "ci vorrà del tempo prima che ritorni la fiducia dei mercati".

Con i cittadini che visitano il ministero nella giornata ‘porte aperte’ del governo tedesco, il ministro sceglie di essere didascalico e rassicurante: l'euro è "una moneta stabile" e non c'é segnale che induca a pensare a un’impennata dell’inflazione, che i tedeschi temono come gli italiani le tasse. "La stabilità non è a rischio" –dice Schaeuble- e il tasso di inflazione era più alto con il marco.

Sulla stessa linea di trasparenza controllata, si colloca l’intervista del presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker a un giornale del Tirolo –è lì in vacanza-: l’uscita della Grecia dall'euro, cioè la ‘Grexit’, non avverrà, anche se è "tecnicamente" possibile, perché i rischi che ne deriverebbero sono "imprevedibili": politicamente, “è inconcepibile” e, quindi, non ha senso specularci sopra. Juncker ammette che “i problemi sono complessi” e l’ansia suscitata da certe dichiarazioni “è molto forte”, mentre la Grecia e i mercati, che sono “ingiusti” con Italia e Spagna, che hanno adottate misure di risanamento “significative”, hanno bisogno di serenità.

A Bruxelles, la Commissione si trincera dietro la sua Maginot: “l’euro è forte e irreversibile”, l’Eurozona “è integra”, lo scenario non è quello dell’uscita della Grecia dalla moneta unica. L’Esecutivo comunitario "non prende sul serio" l’ipotesi di rottura dell'Eurozona, anche se riconosce che "diversi scenari vengono discussi nei vari Stati". E in Germania i toni della politica sono vivaci: l’ex ministro degli esteri Fischer critica la cancelliera Merkel perché non mostra visione europea, mentre un sondaggio indica che l’euro sopravvivrebbe, ma di misura, a un referendum in Germania sul ritorno del marco.

Schermaglie dopo due settimane di borse in costante risalita e si spread in lenta discesa, in vista d’una settimana calda: il premier greco Samaras sarà a Parigi e a Berlino e la Merkel vedrà separatamente il presidente francese Hollande e il premier italiano Monti. Secondo la Welt am Sontag, Francia e Germania sono in disaccordo sulla risposta da dare alla Grecia, che chiede più tempo per risanare i conti: Berlino non vuole fare né sconti né dilazioni, Parigi è disponibile, nonostante lo Spiegel riveli che il buco greco è ancora più grosso di quanto finora calcolato.

sabato 18 agosto 2012

Crisi: Reding, euro è irreversibile, una comunità di destino

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 18/08/2012. L'intervista integrale su EurActiv dal 20/08/2012.

“In questa crisi, il dibattito politico è sempre più centrato sul futuro dell’Europa. Considero molto positivo vedere che in tutti i Paesi dell’Ue si discute su a che punto sia l’Europa e su che direzione debba prendere. Se dalla crisi è scaturito qualcosa di buono, è il fatto che sono sempre più numerosi i politici che capiscono che possiamo essere forti solo se siamo uniti. La giusta risposta alla crisi è più Europa, non meno Europa”.

Su questo punto, Viviane Reding, vice-presidente della Commissione europea, non ha incertezze. La Reding, lussemburghese, è l’elemento più esperto dell’équipe del presidente Barroso: oggi responsabile della giustizia, è al terzo mandato. Cominciò con Prodi presidente e Monti ‘compagno di banco’ nell’Esecutivo comunitario. Se nel 2014 una donna diventerà per la prima volta presidente della Commissione, lei, pure per dieci anni parlamentare europea, ha il profilo giusto.

“L’Europa –dice- ha una lunga storia di ricostruirsi e reinventarsi: questo è quel che noi facciamo, ci adattiamo, cresciamo, progrediamo; e questo ha finora reso il progetto europeo un successo. Ho un’idea chiara sul percorso negli anni a venire: se vogliamo preservare e rafforzare la posizione dell’Europa nel Mondo, dobbiamo trasformare la nostra Unione economica e monetaria in una forte Federazione politica europea, con un’Unione monetaria, di bilancio e bancaria che ricopra almeno l’Eurozona e che sia aperta agli Stati che vogliano unirvisi”.

La Reding è scettica sull’idea di un presidente della Commissione eletto a suffragio universale (crede che dovrebbe piuttosto essere eletto dal Parlamento). E, nell’ottica federalista, vede segnali positivi nelle conclusioni del Consiglio europeo di fine giugno Ma crisi e globalizzazione non mettono la democrazia a repentaglio? “Condividere e rendere federale la sovranità è l’unico modo per garantire i sistemi democratici di fronte a sfide globali sempre crescenti, come la crisi attuale e pure il cambiamento climatico”.

Però, l’Unione si muove con lentezza e fra divisioni… La Reding fa l’elogio dell’Italia e di Monti, spiega: “La crisi finanziaria e dei debiti sovrani in diversi Stati dell’Unione europea è una sfida senza precedenti, cui né le democrazie nazionali né la governance europea erano preparate. Benché abbia avuto origine negli Stati Uniti, la crisi ha colpito l’Europa molto più duramente dell’America” e ha avuto accenti diversi nei diversi Paesi. Alla luce dell’ampiezza dei problemi e della diversità degli impatti, “è notevole quanto è stato realizzato negli ultimi anni: noi europei abbiamo imparato una lezione importante, che avere una moneta unica significa essere vincolati in una comunità di destino, perché i problemi economici e di bilancio di un Paese possono diventare molto rapidamente i problemi di tutti gli altri Paesi nell’Eurozona”.

E, quindi, “dobbiamo combattere la crisi con misure comuni che portino con sé maggiore stabilità in ogni Paese dell’Eurozona; e dobbiamo integrarle con provvedimenti che garantiscano solidità ai Paesi in difficoltà mentre essi affrontano programmi di aggiustamento necessari ma dolorosi”.

Che cosa abbiamo concretamente fatto? La Reding elenca il Patto di Bilancio e il semetre europeo, ricorda le decisioni per la Grecia e per la creazione dei fondi salva Stati ed esalta il ruolo della Bce: “Non dobbiamo dimenticare che la Banca centrale europea, presieduta da novembre dal talentuoso Mario Draghi, ha fornito liquidità alle banche europee per oltre mille miliardi di euro e ha investito circa 211 miliardi nell’acquisto di titoli dei Paesi dell’Eurozona in difficoltà. I Paesi e le Istituzioni dell’Ue hanno fatto passi senza precedenti e coraggiosi a sostegno della stabilità dell’euro, nonostante non fossero attrezzati a farlo. La crisi ci ha spinto a prendere misure per mostrare al mondo che l’euro è irreversibile”.

Sì, ma non impieghiamo troppo tempo a decidere? “Tutto ciò richiede un forte impegno da parte degli Stati membri: quelli in difficoltà, che devono riformare in modo profondo le loro economie, e quelli non in difficoltà, che devono spiegare ai loro cittadini perché bisogna contribuire alla solidarietà europea. E poiché, fortunatamente, tutti gli Stati europei sono democrazie, è normale che mettersi d’accordo su misure del genere prenda tempo e che vi siano dibattiti politici e pure contrasti”.

Wikileaks: Assange e i cablo che fecero tremare il Mondo

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 18/08/2012

Tanto fumo, ma poco arrosto: Wikileaks, nella sua storia breve, ma intensa, ha certamente contribuito, in qualche misura, a rendere più trasparenti le azioni dei governi, ma non ha radicalmente inciso sui loro comportamenti. Anche la ‘waterloo della diplomazia’ rappresentata dalla divulgazione, nel novembre del 2010, di centinaia di migliaia di documenti non s’è rivelata, a conti fatti, il terremoto preventivato: ambasciatori e funzionari continuano a redigere cablogrammi, magari con uno stile meno brillante e più diplomatico, cioè meno trasparente.

Il fatto è che le vicende di Wikileaks e la sua missione di giustizia, etica e democrazia si sono ben presto intrecciate e rapidamente identificate con quelle personali e contraddittorie del suo leader e fondatore Julian Assange, personaggio discusso, un biondino cui vanno larghi i panni che si taglia addosso dell’eroe e del perseguitato, ma pure quelli che gli confezionano del ‘nemico pubblico numero uno’.

Wikileaks, che nonostante il nome non ha alcun legame con Wikipedia-, è un’organizzazione senza scopo di lucro, che riceve documenti segreti a vario titolo e li rende pubblici. L'organizzazione s’impegna a verificare l'autenticità del materiale prima di diffonderlo e a preservare l'anonimato degli informatori. Sulla carta, l’azione di trasparenza di Wikileaks dovrebbe svilupparsi a 360 gradi. In pratica, l’obiettivo delle loro fughe sono sempre stati gli Stati Uniti: Assange e i suoi informatori non hanno certo dimostrato pari diligenza, o pari efficienza, nello svelare le magagne di Russia e Cina, o di Iran e Arabia saudita. Ma, forse, i nemici della trasparenza proteggono i loro segreti meglio degli americani bonaccioni.

I primi colpi di Wikileaks con ampia eco su scala internazionale riguardano i conflitti in Iraq e Afghanistan: nel giro di sei mesi, l’organizzazione di Assange si fa notare tre volte. In aprile, durante una conferenza stampa a Washington, diffonde un video di 17 minuti che mostra l’assassinio di almeno dodici civili iracheni, tra cui due giornalisti della Reuters, in un attacco condotto da due elicotteri Usa Apache il 12 luglio 2007. L’autenticità del video, intitolato Collateral Murder, viene confermata. Il mese dopo, un graduato dell’esercito, Bradley Manning, viene arrestato per avere divulgato il video e altre centinaia di migliaia di documenti riservati.

In luglio, WikiLeaks pubblica una raccolta di 91.731 documenti militari sulla guerra in Afghanistan che vanno dal gennaio 2004 al dicembre 2009: ci sono informazioni sull'uccisione di civili da parte di militari statunitensi e britannici, come pure sul sostegno ai talebani da parte di Pakistan e Iran.

In ottobre, l’attenzione si sposta di nuovo sull’Iraq: 300 mila documenti dell’esercito statunitense attestano inadempienze nel perseguire abusi, violenze, torture perpetrati durante il conflitto. C’è traccia, tra l’altro, della morte di oltre 15.000 civili in circostanze non chiare.

L’eco di quelle rivelazioni non s’è ancora spenta che esplode, a fine novembre, il ‘cablegate’: oltre 250 mila documenti trasmessi da 274 sedi diplomatiche americane in tutto il mondo al Dipartimento di Stato a Washington. Messaggi e rapporti vanno dal 1966 al febbraio 2010: più della metà, quasi 134 mila, non sono classificati, ma oltre 101 mila sono confidenziali e oltre 15 mila ‘segreti’ –nessuno, però, è ‘top secret’-.

Per qualche giorno, l’attenzione è elevatissima. Ma è presto chiaro che quel materiale è più funzionale al gossip diplomatico che alle cause della democrazia e della trasparenza: ci sono valutazioni, spesso impietose, o superficiali, sul comportamento pubblico e privato di leader politici di mezzo Mondo (e l’Italia di Mr Bè ben presente) Contro Wikileaks, partono attacchi informatici, azioni legali, iniziative legislative, perché le fughe di documenti compromettono la sicurezza nazionale americana e anche di singoli individui. Ma, alla fine, quella più imbarazzante per Assange è la denuncia per violenza carnale mossagli da due svedesi: è quell’accusa che lo espone al rischio di estradizione dalla Gran Bretagna e che lo induce a chiedere asilo all’Ecuador.

venerdì 17 agosto 2012

Crisi: euro, Angela la più assediata, ma la più corteggiata

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 17/08/2012

Angela Merkel sarà pure assediata, in questa ripresa politica calda in Germania: la cancelliera è criticata nella sua coalizione e attaccata dall’opposizione. Ma continua a essere corteggiata dai leader dell’Unione: lei riparte dal Canada, dove l’aria è fresca –la visita è un prolungamento di vacanza-, ma poi vedrà, nel giro di pochi giorni, il presidente francese Hollande, il premier italiano Monti, il premier spagnolo Rajoy i e il premier greco Samaras, che girerà le capitali dell’Ue per chiedere clemenza per la Grecia ai Signori dell’Unione. La Germania non apre spiragli, per ora: “Atene s’attenga ai piani”, al massimo si potrà contare il tempo perso nelle elezioni doppie.

L’Unione, insomma, riapre il cantiere della crisi, senza però che la prima metà d’agosto abbia registrato le temute fibrillazioni sui mercati finanziari: grazie a movimenti relativamente scarsi, la speculazione poteva spingere facilmente giù i listini e l’euro e su gli spread di Spagna e Italia, specie dopo che la Bce aveva lasciato incompiuto, ai primi del mese, il disegno d’intervento a sostegno dei titoli dei Paesi in crisi, contrastato dalla Bundesbank.

E, invece, i giorni di Ferragosto sono finora trascorsi senza sussulti in borsa. Colpisce lo iato persistente tra andamento dei mercati e dell’economia reale: ieri, le quotazioni, partite piatte, si sono consolidate in chiusura di seduta, con sprint finali a Madrid e a Milano(+ 1,86%); lo spread s’è attestato intorno a quota 420. L’inflazione, secondo i dati di Eurostat, è stabile nell’Eurozona, al 2,4% su base annua -Italia al 3,6%, Germania all’1,9%-. Va ancora male, invece, la produzione industriale: negli Stati Uniti fa segnare un + 0,6%, bene per il presidente Obama; ma nell’Unione, cala del 2,3% (e in Italia addirittura dell’8,2%).

Tra l’ottimismo e la distrazione, i mercati non reagiscono neppure alla smentita delle voci di un taglio dell’Irpef: il premier Monti lo nega, perché, nonostante il carico fiscale sia eccessivo, non c’è modo d’allentare –spiega- l’attenzione al rigore. Né paiono temibili agli operatori i proclami di referendum anti-euro della Lega.

Più che le borse, è la politica –quella tedesca- ad agitare Unione ed Eurozona: in Germania, dove la fine della ricreazione è già suonata per molti, la ripresa è subito politicamente calda –manca un anno dalle elezioni legislative-: c’è chi tira sul presidente della Bce Mario Draghi, ma c’è pure chi tira sulla Merkel, che, per contro, ha il carnet delle danze europee zeppo la settimana prossima.

Se Spagna e Italia preoccupano, in queste ore, un po’ meno, torna in primo piano la Grecia, il cui governo, secondo indiscrezioni del FT non confermate, vorrebbe ritardare di due anni, dal 2014 al 2016, il completamento del piano di rigore. Mentre la Spagna non ha fretta di attivare gli aiuti per le banche e lo scudo anti-spread –prima, vuole conoscerne in dettaglio le condizioni- e l’Italia pare non averne ora bisogno, a Berlino il falchi dell’Europa alla tedesca contestano Draghi e alzano un fuoco di sbarramento anti Atene: parlamentari dei partiti che compongono la coalizione della Merkel chiedono che la Germania conti di più nell’Ue e reclamano un diritto di veto tedesco nella Bce. L’ex cancelliere Schroeder, socialdemocratico, non esclude duttilità, mentre il presidente Gauck, in visita a Vienna, nega che Berlino aspiri a dominare l’Europa.

giovedì 16 agosto 2012

Crisi: mercati ottimisti, o distratti; e politica tedesca 'calda'

Scritto per EurActiv il 16/08/2012

Le settimane d’agosto potevano essere segnate da grandi fibrillazioni sui mercati finanziari: con movimenti relativamente scarsi, la speculazione poteva avere gioco facile a spingere giù i listini e l’euro e su gli spread di Spagna e Italia, specie dopo che la Banca centrale europea aveva lasciato incompiuto il suo disegno d’intervento a sostegno dei titoli dei Paesi in crisi.

E, invece, i giorni intorno a Ferragosto stanno trascorrendo senza sussulti in borsa; e sembrano, piuttosto, preannunciare una ripresa politicamente calda in Germania, dove c’è già chi tira sul presidente della Bce Mario Draghi, ma c’è soprattutto chi tira sulla cancelliera Angela Merkel, nell’imminenza di una serie di contatti bilaterali molto delicati –vi parteciperà pure il premier italiano Mario Monti, atteso la prossima settimana a Berlino-.

Colpisce, inoltre, lo iato persistente tra l’andamento delle borse e i dati dell’economia reale: oggi, le quotazioni, partite piatte, si sono consolidate in chiusura di seduta, con sprint finali a Madrid e a Milano(+ 1,86%), e lo spread s’è attestato a quota 423, dopo essere sceso anche più giù, mentre Eurostat diffondeva i dati dell’inflazione: stabile nell’Eurozona, al 2,4% su base annua, con l’Italia al 3,6% e la Germania all’1,9%.

I mercati non sono stati delusi neppure dal raffreddamento delle voci di stampa su un taglio dell’Irpef: il premier Monti fa sapere che non c’è in vista una misura del genere, perché, se è vero che il carico fiscale è eccessivo, è pure vero che non si può allentare in questo momento l’attenzione al rigore. Né paiono temibili agli operatori i proclami di referendum anti-euro della Lega. Nulla pare turbare il momento d’ottimismo –o di distrazione?- della finanza.

mercoledì 15 agosto 2012

Siria: tutti alla Mecca per litigare su Assad

Scvritto per Il Fatto Quotidiano del 15/08/2012

Vertice del mondo musulmano alla Mecca, il luogo sacro dell’Islam: obiettivo, mettere sotto ulteriore pressione il regime siriano. E’ pronta una sanzione poco significativa, la sospensione dall’Organizzazione per la cooperazione islamica (Oci). L’iniziativa è dell’Arabia saudita, che ospita l’evento e che intende così affermare la propria leadership sul mondo musulmano. Ma l’Iran non ci sta.

Proprio le divisioni fra i 57 Paesi dell’Oci, che rappresentano circa un miliardo e mezzo di persone, impediscono il varo di misure concrete ed efficaci. Lo si è capito dalla riunione preparatoria lunedì, a livello di ministri degli esteri: l’idea della sospensione è passata, ma tra contrasti e a maggioranza. Il presidente dell’Iran Ahmadinejad, alleato del regime del presidente al Assad, continua ad opporsi; e l’Algeria e altri Paesi hanno molto riserve. Riad denuncia la politica “della terra bruciata” fatta dal regime siriano, che “ignora le richieste del popolo”. Teheran afferma che “sospendere la Siria non significa favorire la soluzione del problema, ma eluderlo”.

Simbolico il luogo del Vertice; simbolico anche il momento scelto, la ‘notte del destino’, la notte più sacra del mese di digiuno del Ramadan; e poco più che simboliche le decisioni scaturite. La Siria non ha inviato propri rappresentanti a questa riunione (Damasco accusa l’Arabia saudita e il Qatar di armare gli insorti), cui neppure l’opposizione, però, è stata invitata. Al Assad ha invece spedito un proprio emissario in Cina: Pechino, come Mosca, mantiene il proprio veto nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, a ogni ipotesi d’intervento militare in Siria, anche una semplice ‘no fly zone’, cioè, in pratica, l’interdizione all’uso dei mezzi aerei delle forze siriane.

I leader musulmani si riuniscono dopo l’ennesima giornata di combattimenti sanguinosi fra lealisti e ribelli, specie a Damasco e ad Aleppo. A Homs, un giornalista della tv iraniana sarebbe stato rapito da insorti. Secondo gli ultimi bilanci, la cui affidabilità è però relativa, le vittime delle violenze superano le 23mila dall’inizio dell’insurrezione, nel marzo del 2011. L’ex premier del regime Hijab, rifugiatosi ad Amman, afferma che il presidente al Assad “controlla appena il 30% del territorio”; e aggiunge che il regime “è ormai crollato militarmente, economicamente e moralmente”.

Gli Stati Uniti, dal canto loro, incoraggiano la scelta della defezione da parte di altri responsabili militari e civili del gotha siriano. Mentre le Nazioni Unite ribadiscono la propria preoccupazione per il deteriorarsi della situazione umanitaria.

martedì 14 agosto 2012

Usa 2012: i Ryan, 'Kennedy' repubblicani o 'Irish Mafia'

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/08/2012

Per il New York Times, la scelta di Paul Ryan come vice una mossa dettata dalla disperazione: dietro, c’è "una logica razionalmente rischiosa", perché quando un moderato come Mitt Romney punta su un radicale come Ryan vuol dire che s’è accorto che “sta perdendo terreno”, sente che "ha poco da perdere” e avverte la necessità di cambiare. "I sondaggi –osserva il New York Times- raccontano storie diverse della corsa alla Casa Bianca, ma molti danno Obama davanti. L'economia non è in un buono stato, ma non pare peggiorare": questo "è uno svantaggio per Romney".

Ma l’opinione del quotidiano di New York, tendenzialmente ‘obamiano’, è contestata dalla stampa tradizionalmente conservatrice. Joseph Curl, la penna dalla Casa Bianca del Washington Times, giornale della setta di Moon vicino ai repubblicani, scrive che la scelta di Romney “cambia le carte il tavola” della campagna: “per Obama, è l’incubo peggiore”. E, in effetti, l’entrata in scena dell’energico deputato del Wisconsin, ultra-conservatore, e dotato di carisma, vicino al Tea Party, senza esserne ostaggio, ha subito galvanizzato con una sferzata di energia la squadra di Romney, che pareva non crederci più molto –in cassa, sono arrivati 1,2 milioni di dollari in quattro ore-.

Nella prima intervista di coppia alla trasmissione Cbs 60 Minutes, Romney e Ryan hanno condotto un attacco concentrico al presidente Obama: il tandem repubblicano ha illustrato la propria ricetta, che è poi quella di Ryan, per permettere all'America di tornare grande e prospera. Per il presidente della commissione Bilancio della Camera, i cavalli di battaglia di Obama, come le dichiarazioni dei redditi di Romney, sono solo un tentativo di distogliere l'attenzione dalle questioni importanti e, soprattutto, dalla sua leadership “fallimentare”. Il ticket repubblicano affonda la riforma sanitaria e difende le tesi di Ryan sui tagli alla spesa pubblica, incluse le riduzioni dei programmi sociali ed educativi e dell’assistenza agli anziani: "L'America deve fare una scelta, e una scelta molto chiara - conclude Romney con parole di Ryan -: vogliamo spendere mille miliardi in più ogni anno e passare l’onere del debito ai nostri figli?".

C’è sempre molta esagerazione nelle vampate d’infatuazione dell’America per l’ultimo venuto. Ma la storia di Ryan suscita entusiasmo nella destra tradizionale: come racconta in un reportage il New York Times, l’aspirante vice-presidente è una stella dei conservatori con le radici in una cittadina del Wisconsin, Janesville. E qualcuno parla dei Ryan come dei 'Kennedy' del posto: tutti alti, belli, in forma e di successo. Il Wilwaukee Journal – Sentinel, il giornale della maggiore città dello Stato –la capitale è Madison- lo descriveva, dichiarandogli appoggio per un seggio alla Camera, come “un cacciatore e un pescatore”, che squarta e pulisce da sé le sue prede.

Figlio di genitori che adoravano Ronald Reagam il presidente repubblicano degli Anni Ottanta, orfano di padre a 16 anni –fu lui a scoprirne il cadavere-, da allora chiuso e secchione, una passione per la bicicletta, laureato nel 1992 alla Miami University, Paul Ryan continua a vivere a Janesville nonostante lavori a Washington da oltre vent’anni e sieda nel Congresso da oltre 13 –ha già vinto sette elezioni parlamentari-. Janna, la moglie, lavorava a Washington quando s’incontrarono: dopo il matrimonio, lascò il lavoro e si trasferì a Janesville, dove alleva i tre figli Liza, Charlie e Sam, ed evita la scena pubblica. Paul, molto sportivo, è famoso per l'attività fisica che fa la mattina all’alba ed è un fan di Beethoven e dei Led Zeppelin: li ascolta sull’iPod, sempre indosso quando vuole evitare i giornalisti.

Un suo neo potrebbe essere la posizione fiscale: se Romney non ha finora brillato per trasparenza, anche il suo ‘vice’ potrebbe essere reticente a sciorinare i suoi beni, pur non avendo mai nascosto la sua ricchezza, frutto in parte all'azienda di costruzioni di famiglia, fondata nel 1884 dal bisnonno. I Ryan furono protagonisti dello sviluppo di Janesville, con i Fitzgerald e i Cullen –c’era chi li bollava, nel DopoGuerra, come l’ 'Irish Mafia'. Il Center for Responsive Politics calcola la ricchezza di Ryan fra i 927.000 e i 3,2 milioni di dollari.

lunedì 13 agosto 2012

Crisi: euro, mercati indolenti, fibrillazioni stemperate

Scritto per EurActiv il 13/08/2012

Mercati calmi, quasi indolenti, e, quindi, fibrillazioni stemperate: le due settimane dell’estate profonda intorno a Ferragosto s’annunciano mosce sul fronte mediterraneo, mentre in Germania, dove la metà di agosto segna la fine della stagione delle ferie, s’è già rianimato il dibattito sull’Unione e sull’euro. L’Ocse offre una mano alla Bce, incoraggiandone l’acquisto di titoli di Stati dei Paesi in difficoltà e sostenendo che gli speculatori perderanno la scommessa contro l’euro. In Italia, l’ennesima sortita dell’ex premier Silvio Berlusconi – “L’uscita dall’euro sarebbe un disastro”, dice a Libération - solleva pochi spruzzi nella piscina della politica ferragostana. Non ne fa molti di più Beppe Grillo, che vuole un referendum sull’euro e sulla ristrutturazione del debito.

L’asta del 12 agosto dei Bot annuali vede la collocazione di tutti gli 8 miliardi previsti, con tassi in lieve rialzo al 2,767% e una buona domanda, proprio mentre BankItalia annuncia l’ennesimo record a fine giugno del debito pubblico a 1.972,9 miliardi di euro (6,6 inpiù che a maggio), nonostante un aumento del 5,8% mensile delle entrate tributarie grazie a Imu e accise (l’aumento annuo è del 2,8%). Le borse aprono fiacche, con lo spread un po’ al di sopra di 450, dopo avere chiuso deboli la scorsa settimana con le spread a 453.

Gli indicatori delle ultime 72 ore sono contradditori, ma tendenzialmente poco incoraggianti sul fronte dell’economia reale. Se l’Istat registra un rallentamento dell’inflazione (3,1% annuo a luglio, rispetto al 3,3% annuo di giugno), le associazioni dei consumatori calcolano che il rigore costerà alle famiglia 1.400 euro in più l’anno e UnionCamere annuncia fatturati e commesse delle imprese in caduta libera.

Sul fronte sociale, la statistiche indicano un boom dei laureati disoccupati: in Italia, sono 300mila, il 41% in più nel giro di un anno, E la Confindustria conferma che l’occupazione tiene, con un calo dello o,3% nel 2011, dopo quello dell’1,1% del 2010, sostanzialmente grazie alla Cig, la cassa integrazione guadagni, perché quest’anno la domanda di lavoro delle imprese è frenata: meno del 18% prevede di fare assunzioni, e per la maggior parte a tempo determinato. La crisi non risparmia i giovani imprenditori: stando ai dati di InfoCamere, sono calati in un anno di 23mila unità, il 3% circa.

Il governo, però, vuole andare avanti sui tagli nel pubblico impiego e sulle nuove norme per i licenziamenti. Il premier Monti invita i suoi ministri a presentarsi, dopo la pausa estiva di due settimane –il governo è già convocato venerdì 24 agosto-, con le idee chiare sull’agenda economica dell’autunno, che prevede un piano di dimissione del patrimonio dello Stato per abbattere il debito con la vendita di palazzi, caserme e castelli, ma anche misure per stimolare l’innovazione e l’economia digitale e norme anti-burocrazia.

In un’intervista a la Repubblica, il ministro Grilli spiega che l’Italia potrà uscire dalla crisi puntando sulle proprie forze, senza l’aiuto della Bce e senza fare ricorso alla patrimoniale.

domenica 12 agosto 2012

Londra 2012: Usa o Cina? L’Europa delle medaglie è meglio

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 12/08/2012

A Londra 2012, come a Pechino 2008, gli Imperi delle Medaglie sono Usa e Cina. A Pechino, i cinesi per la prima volta la spuntarono come titoli, ma gli americani fecero meglio come numero si medaglie. A Londra, gli Usa l’hanno spuntata in entrambe le classifiche: avanti come ori 44 a 38 quando mancano poche gare; e avanti come medaglie 102 a 87.

Ma è proprio così? In realtà, l’Impero delle Medaglie davvero incontrastato è l’Unione europea: gli ori sono 85, le medaglie addirittura 289, roba da vittoria man bassa. Uno dice: “Bella forza, mettere insieme 27 Stati”. E che c’entra? Se parliamo di Stati, gli Usa ne hanno addirittura 50 e nessuno glielo contesta; e se prendiamo il numero degli abitanti, tutta l’Ue fa poco più d’un terzo della Cina e neppure una volta e mezzo gli Usa. E poi quella delle medaglie pro capite è un’altra storia: magari, ne parliamo domani a Giochi archiviati.

Comunque, se proprio 27 vi sembrano troppi, va bene, prendiamo solo l’Eurozona, la bistrattata area dei 17 Paesi dell’euro: le medaglie d’oro sono 40, meno degli Usa, ma più della Cina; e le medaglie d’ogni tipo sono oltre 160, che americani e cinesi se le sognano. Lo spread dei Giochi ci fa un baffo!

Quanto agli europei dell’Unione che, Gran Bretagna in testa, sono fuori dall’Euro, fanno addirittura meglio di tutti come titoli, ben 45, ma si fermano a 128 come medaglie d’ogni tipo: dietro l’Eurozona, però davanti a tutti gli altri, complice la messe di successi, eccezionale, è vero, rispetto al solito, dei britannici padron di casa.

Ascesa e Caduta degli Imperi delle Medaglie titolava giorni fa un’analisi più seriosa il Financial Times: un’ascesa è quella dei cinesi, una caduta è quella dei russi, finiti fuori dal podio delle medaglie per via, questa volta, degli exploit britannici. Per non parlare della Germania, che quando erano due ed era aperta la Fabbrica dei Campioni all’Est erano una sorta di Cina d’oggi.

Però, se andiamo a ricostruire l’Urss, vediamo che le 15 repubbliche oggi indipendenti mettono insieme 40 ori e 148 medaglie, roba da stare a pieno titolo fra i Grandi dello Sport. E i Brics, i Paesi emergenti che ci fanno tanta paura sui mercati internazionali? Beh, dentro ci sono Cina e Russia, di cui abbiamo già parlato. Ma gli altri nello sport sono solo Tigri di Carta: il Brasile rientra appena fra i primi 20 del medagliere, soprattutto grazie alla pallavolo; e il Sud Africa è intorno al 25 posto. Quanto all’India, senza manco un oro, bisogna cercarla intorno al 60.o posto: altro che Gigante; nel rapporto abitanti / medaglie, è la Lilliput dello sport.

Usa 2012: Romney sceglie Ryan come vice, un giovane 'falco'

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 12/08/2012

Scegliendolo, non avrà magari fatto un errore: questo si vedrà. Presentandolo, un errore l’ ha fatto di sicuro. Mitt Romney, candidato repubblicano alla Casa Bianca, ha oggi introdotto con un lapsus Paul Ryan, il suo vice: “Diamo il benvenuto al prossimo presidente degli Stati Uniti”, ha detto, annunciando la sua scelta a Norfolk in Virginia. Poi è scoppiato in una risata e ha ammesso la gaffe, che, però, ha un precedente illustre (e di buon auspicio): nel 2008, presentando a Springfield, nell’Illinois, il suo vice, Joe Biden, anche Barack Obama fece lo stesso lapsus. E, poi, vinse.

Il 6 novembre, l’Election Day, sapremo se la storia si ripete. Per il momento, sappiamo che Romney ha messo termine a mesi d’indiscrezioni e di voci puntando sul deputato del Wisconsin: un giovane –ha 42 anni-, bello come un attore, conservatore, cattolico –e, come tale, contro l’aborto e le unioni dei gay-, vicino al Tea Party, alfiere del rigore di bilancio e autore di un progetto di bilancio draconiano bloccato in Congresso.

Scegliendo Ryan, che non è una sorpresa, perché il suo nome figurava da tempo fra i ‘papabili’, Romney ha consolidato le sue posizioni sul fronte conservatore: lui potrebbe ora cercare di spostare al centro la sua campagna, che fatica ad attrarre gli elettori indecisi e, soprattutto, gli indipendenti. Ryan, inoltre, viene dal Wisconsin, uno degli Stati in bilico decisivi per la Casa Bianca: i sondaggi danno il presidente davanti allo sfidante a livello nazionale, con margini però risicati, e indicano che Obama fa meglio di Romney in vari Stati chiave, come Ohio, Pennsylvania, Virginia, Florida e proprio Wisconsin. Portarglielo via, per Romney sarebbe essenziale.

Elementi di forza, dunque, il ticket Romney-Ryan li presenta. Ma gli manca pure qualcosa: l’esperienza internazionale; e l’elemento etnico, che induceva a pensare a un ispanico o a un nero; e, pure, quello ‘di genere’, che faceva pensare a una donna. Fra i ‘finalisti’, c’erano, e non a caso, una ispanica –la governatrice del New Mexico Susana Martinez-, una indiana d’America –la governatrice della South Carolina Nikki Halei- e una nera –l’ex segretario di Stato Condi Rice, che avrebbero coperto Romney su tre fronti-.

Ryan presta il fianco all’attacco subito venuto dalla Casa Bianca: Mitt aggiunge un posto a tavola per un amico dei paperoni d’America, cui vuole abbonare le tasse come fece George W. Bush. Volto asciutto, quasi scavato, fisico slanciato, sposato con tre figli, Ryan, dotato di carisma, anche se relativamente poco noto a livello nazionale, è giovane, ma non è politicamente di primo pelo: è già stato eletto sette volte alla Camera, dove ha quindi trascorso quasi 14 anni, e ne è divenuto l’anno scorso uno dei membri più influenti, assumendo la presidenza della commissione bilancio e portando avanti la sua ricetta anti-debito. Nel discorso con cui ha accettato la sua investitura, Ryan ha detto: “La disoccupazione elevata, i redditi in calo, il debito schiacciante non devono costituire la nuova regola” degli Stati Uniti.

A favore di Ryan, o di qualcuno come lui, s’era pronunciato Dick Cheney, vice e anima nera dell’Amministrazione Bush. Fuori dai giochi s’è, invece, mantenuto Chris Christie, il governatore del New Jersey: lui avrà un posto di rilievo alla Convention di Tampa ed è già in pista per il 2016.

Obama il problema del vice non ce l’ha: Joe Biden, già senatore di lungo corso del Delaware, è quasi perfetto in quel ruolo, dove non gli fa ombra e non fa neppure (troppi) danni. L’ipotesi Clinton resta una chiacchiera: senza Condi e Hillary, il gioco suggestivo delle coppie incrociate sfuma: Obama e la Clinton da una parte; Romney e la Rice dall’altra; il nero e la donna bianca contro il bianco e la donna nera.

sabato 11 agosto 2012

Usa 2012: la guerra di Twitter, Mitt compra seguaci e si fa gabbare

Scritto per Il Fatto Quotidiano dell'11/08/2012

Se v’è capitato qualche volta di sbavare dietro i 18 milioni di seguaci su twitter del presidente Usa Barack Obama, e se anche i ‘soltanto’ 800mila followers del suo sfidante Mitt Romney vi sembrano un miraggio, consolatevi con i risultati di una ricerca della società Digital Evaluations di Londra, secondo cui quei due barano di brutto: i loro seguaci sarebbero la metà o poco più… Certo, sono sempre un sacco; ma voi, i vostri, ve li siete conquistati a uno a uno, senza trucchi. O no?

La società britannica specializzata nella valutazione dei numeri reali sui social networks, ha fatto un'analisi su un campione casuale di 90 mila followers sia per Obama che per Romney, giungendo alla conclusione che circa il 29,9% di quelli del presidente e il 21,9% di quelli dello sfidante sono molto probabilmente fasulli, cioè sono stati creati da computer robot. A questi, bisogna poi aggiungere i profili la cui natura è incerta, rispettivamente il 13,5% e il 14,7%, e i profili non visibili perché potetti, rispettivamente l'11,6% e il 13,6 per Romney.

I risultati di Digital Evalutations si innescano su una polemica sollevata da un’azienda di sicurezza americana, la Barracuda Labs, che ha denunciato il fiorire di un mercato nero di finti followers ed ha accusato il repubblicano Romney di esserne cliente: il candidato conservatore alla Casa Bianca  potrebbe avere comprato un sesto dei suoi contatti. Una testimonianza in più dell’attenzione che c’è, in questa campagna Usa 2012, per i social media, del cui uso Obama e il suo staff sono stati pionieri nel 2008.

Per Digital Evaluations, i seguaci sicuramente umani su Twitter di Obama e di Romney sono meno della metà di quelli dichiarati: poco più del 45 % per il presidente e poco meno del 50% per lo sfidante. L’analisi britannica non dice, però, nulla sull’eventuale acquisto di followers da parte d’Obama e di Romney per gonfiare le proprie liste. Ma vendere seguaci è ormai diventata un’attività economica: i siti web che offrono questo servizio sarebbero centinaia e la concorrenza tiene bassi i prezzi. Sono persino nati mercatini virtuali come Seoclerks.com, dove un giornalista di Panorama ha recentemente riferito d’essere aggiudicato 22.600 followers per soli 11 dollari, meno di 9 euro. Se le tariffe sono quelle, con mille euro Romney è a un ‘cinguettio’.

I prezzi riferiti da Barracuda Labs sono meno stracciati: 18 dollari (14 euro cira) ogni mille contatti. Ufficialmente, la pratica e' proibita, ma questo non pare avere fermato Romney, che, il 21 luglio, in un solo giorno, ha aggiunto al suo account 117 mila seguaci, un balzo del 17% sul totale: "Abbiamo scoperto -spiega Jason Ding, autore della ricerca- che il 25% dei nuovi seguaci aveva meno di tre settimane, che il 23% non ha mai postato un tweet e che il 10% è stato poi sospeso da Twitter". Insomma, Romney non solo bara, ma si fa pure gabbare.

giovedì 9 agosto 2012

Crisi: mercati estivi e statici, indicatori invernali e negativi

Scritto per EurActiv lo 09/08/2012

I mercati hanno ritmi estivi: le Borse sono statiche, Milano chiude quasi invariata, lo spread non va su, ma neppure troppo giù e si ferma a 439. Questi giorni d’agosto paiono quasi sancire il distacco tra i giochi della finanza e l’economia reale, mentre, in Italia, c’è chi attribuisce al premier Monti l’intenzione di accelerare lo svolgimento dei compiti a casa per abbattere il debito pubblico puntando da settembre sulla vendita di immobili e di partecipazioni dello Stato, cercando di evitare il ricorso allo scudo anti-spread.

Tutto intorno, istituzioni internazionali e nazionali certificano una situazione preoccupante, in Italia e in Europa. La Bce, nel bollettino mensile, denuncia la crescita del rischio di insolvenza delle aziende italiane. La Banca centrale europea ribadisce di essere pronta a intervenire dopo che i governi dell’eurozona avranno attivato lo scudo anti-spread e riafferma l’irreversibilità dell’euro nonostante la gradualità e la lentezza della ripresa –le stime di crescita vengono tagliate- e l’aumento della disoccupazione: gli spread –dice la Bce- sono inaccettabili e i governi devono affrontare i nodi della crisi.

Anche l’Ocse registra un peggioramento della crescita dei Paesi avanzati a giugno: il superindice dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico si colloca a quota 100,3, in lievissimo calo (-0,05%), con una flessione più accentuata per Italia (-2,55%).

In Italia, l’Abi riconosce che la qualità del credito peggiora, anche se afferma che le banche restano solide. BankItalia corrobora l’analisi della Bce dichiarando che in un anno le sofferenze delle imprese sono aumentate del 17%, a 75 miliardi. Mentre la Cgia di Mestre, che pubblica suoi dati, situa a maggio le insolvenze a 84 miliardi, con un aumento annuo di 10 miliardi, mentre, nello stesso periodo, l’erogazione di prestiti è scesa del 2%, pari a 20,25 miliardi in meno.

Sono forse pure queste le ragioni per cui Goldman Sachs taglia del 92% la propria esposizione sul debito italiano: da marzo a giugno l’investimento è calato a 191 milioni di dollari da 2,5 miliardi.

Crisi: euro, i cattivi maestri e chi teneva loro bordone


Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 09/08/2012

Non sono sempre stati i Paesi del Sud gli ultimi della classe dell’euro, gli ‘untori del contagio’, come sono oggi bollate Grecia, Italia e Spagna  Ci fu un tempo, nei primi anni della moneta unica, che a non stare ai patti, anzi al Patto di Stabilità, erano proprio quelli del Nord che ora non tollerano le debolezze altrui: i tedeschi, con i francesi a tenere loro bordone. Quella è una delle pagine nere della storia dell’euro, un decennio e poco più; dal punto di vista delle istituzioni, forse la più nera. Perché per fare fronte alla crisi, oggi, si tratta di prendere decisioni; mentre, allora, si trattava solo di applicare decisioni già prese, cioè di fare rispettare la legge. E, invece, i forti dell’epoca, che sono poi gli stessi di oggi, la fecero franca con una deroga ‘ad hoc’. E’ un episodio che Mario Monti ama ricordare, come premier, ma anche come professore d’economia ed ex commissario europeo.

C’è spazio per rinvangare quel momento, in questi giorni che la crisi dà qualche respiro, nonostante le notizie dell’economia reale, specie quella italiana, ma anche la tedesca e la francese, continuino a non essere incoraggianti: le agenzie di rating, ridotte al ruolo di cassandre, lanciano avvertimenti cui pochi ormai badano. Tra Madrid e Bruxelles, si discute se staccare la prima fetta dell’aiuto europeo di cento miliardi di euro per le banche spagnole, mentre i mercati scommettono che la Spagna dovrà sollecitare, per salvarsi, un intervento di dimensioni maggiori. Le banche più in difficoltà sono, oltre a Bankia, NovaGalicia, Catalunya Caixa e Banco de Valencia. Per ora, Madrid, non ha formalizzato la sua richiesta, che dovrebbe essere approvata dalla Commissione europea, dalla Banca centrale e dall’Eurogruppo. Si allungano, invece, i tempi di decisione per la Grecia: gli esperti della troika resteranno ad Atene tutto settembre, per presentare a ottobre un piano che eviti al Paese il fallimento e ne consenta la permanenza nell’euro.

La calma tesa di questi giorni sui mercati, con borse senza picchi e spread stabili, si contrappone, quasi, alle fibrillazioni politiche. Che evocano quelle del 2003, quando la Commissione europea, presieduta da Romano Prodi, con Monti alla concorrenza, denunciò Francia e Germania per avere sforato i limiti del deficit di bilancio imposti dal Patto di Stabilità. La procedura d’infrazione, però, non fece il suo corso, perché i ministri delle finanze la bloccarono; e l’Italia di Silvio Berlusconi e la Gran Bretagna di Tony Blair appoggiarono questa soluzione ‘buonista’ e ‘pilatesca’, per le serie infinite ‘la legge non è uguale per tutti’ e ‘il più forte ha sempre ragione’.

Monti ha evocato quell’episodio nell'intervista a Der Spiegel da poco pubblicata, quella forviera d’un sacco di polemiche; e lo aveva già fatto al termine del Quadrangolare a Roma del 22 giugno (Italia, Francia, Germania e Spagna), quando rammentò, a chi oggi rimprovera le cicale d’Europa, appunto Grecia, Italia, Spagna, che furono Berlino e Parigi a violare per primi il Patto di Stabilità, senza subirne le conseguenze. In occasione del Quadrangolare, Monti aveva anche ricordato la "complicità" del governo italiano nella deroga a favore di Francia e Germania.

Parigi e Berlino, pur avendo sforato per la terza volta il tetto del 3% nel rapporto tra deficit e Pil, non subirono la prevista procedura per deficit eccessivo. L'Eurogruppo, con i ministri delle Finanze degli allora 12 Paesi della zona euro, lo decise a maggioranza qualificata, al termine d’una riunione fiume burrascosa, con i voti contrari di Spagna –toh!, come cambia il mondo-, Austria, Finlandia e Olanda (Helsinki e l’Aja sono, pure oggi, vestali del rigore). La decisione venne poi ratificata dall'Ecofin, il Consiglio dei Ministri delle Finanze dei Paesi dell’Ue, che s’accontentò dell’impegno di Francia e Germania a mettere in ordine i conti entro il 2005.

Su quella decisione, i Grandi d’Europa, allora divisi sulla scena internazionale, furono unanimi. Eppure, Francia e Germania erano la Vecchia Europa, schierati contro l’invasione dell’Iraq; mentre Gran Bretagna e Italia facevano da spalla agli Stati Uniti di George Bush, insieme a quella Spagna che José Maria Aznar tenne però fuori dal pastrocchio sul Patto di Stabilità.

All’epoca, la palese forzatura del diritto comunitario non passò inosservata. Euronews, una tv non partigiana, titolava: “L'Europa si spacca sul Patto di Stabilità. Ed è crisi istituzionale: l’Esecutivo, da un lato, a difendere le regole e i parametri stabiliti; Eurogruppo ed Ecofin, dall'altro”. Aznar minacciò ripercussioni sui lavori per la ratifica della Costituzione europea, poi abortita.

"Il Consiglio - si legge nelle conclusioni dell'Ecofin - ha deciso di sospendere per ora le procedure", pronto, a riaprirle se Parigi e Berlino non avessero rispettato gli impegni assunti. Ovviamente, tutto morì lì: quella fu una sconfitta per la Commissione Prodi/Monti, ma soprattutto per l’Unione.

mercoledì 8 agosto 2012

Crisi: euro, quando Berlino e Parigi violavano il Patto

Scritto per EurActiv lo 07/08/2012

E’ una delle pagine nere della storia breve della moneta unica: dal punto di vista istituzionale, forse la più nera. Perché per fare fronte alla crisi, oggi, si tratta di prendere decisioni; mentre, allora, si trattava solo di applicare decisioni già prese, cioè di fare rispettare la legge. E, invece, i forti dell’epoca, che sono poi gli stessi di oggi, la fecero franca con una norma ‘ad hoc’. E’ un episodio che Mario Monti ama ricordare, come premier, ma anche, e forse più, come professore ed ex commissario europeo.

I fatti risalgono al 2003, quando la Commissione europea, presieduta da Romano Prodi, con Monti alla concorrenza, denunciò Francia e Germania per avere sforato i limiti del deficit di bilancio imposti dal Patto di Stabilità. Ma la procedura d’infrazione non giunse mai alla conclusione, perché i ministri delle finanze la bloccarono. L’Italia di Silvio Berlusconi e la Gran Bretagna di Tony Blair appoggiarono questa soluzione ‘buonista’ e ‘pilatesca’, per le serie infinite ‘la legge non è uguale per tutti’ e ‘il più forte ha sempre ragione’.

Monti ha evocato questo episodio nell'intervista a Der Spiegel appena pubblicata e anche al termine del Quadrangolare a Roma del 22 giugno (Italia, Francia, Germania e Spagna), quando rammentò, a chi oggi rimprovera le cicale d’Europa, Grecia, Spagna, Italia, che furono Berlino e Parigi a violare per primi il Patto di Stabilità, senza subirne le conseguenze. In occasione del Quadrangolare, Monti aveva anche ricordato la "complicità" del governo italiano nella deroga al Patto di Stabilità a favore di Francia e Germania.

All’epoca, la palese forzatura del diritto comunitario non passò certamente inosservata. Euronews, una tv non partigiana, raccontava: “L'Europa si spacca sul Patto di Stabilità. Ed è crisi istituzionale. La Commissione, da un lato, in difesa delle regole e dei parametri stabiliti. Eurogruppo ed Ecofin, dall'altro, a sospendere la procedura per deficit eccessivo nei confronti di Francia e Germania”. Così, gli Stati membri medio-piccoli e virtuosi, che avevano rispettato il Patto, come Austria, Finlandia, Olanda e –toh!, come cambia il mondo- Spagna, si sentirono traditi; mentre Francia e Germania dall'altro, con l'aggiunta dell'Italia e l'appoggio esterno della Gran Bretagna, ottenevamno l’esenzione dalle sanzioni previste. I due perni dell'Unione europea erano, allora, in difficoltà economica evidente. E il premier spagnolo José Maria Aznar prometteva che il caso avrebbe avuto ripercussioni anche sui lavori per la ratifica della Costituzione europea, poi abortita.

Su quella decisione, i Grandi d’Europa, allora divisi sulla scena politica internazionale, furono unanimi. Eppure, Francia e Germania erano la Vecchia Europa, schierati contro l’invasione dell’Iraq; mentre Gran Bretagna e Italia facevano da spalla agli Stati Uniti di George Bush, insieme a quella Spagna fuori dal ‘pastrocchio’ sul Patto di Stabilità.