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giovedì 9 agosto 2012

Crisi: euro, i cattivi maestri e chi teneva loro bordone


Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 09/08/2012

Non sono sempre stati i Paesi del Sud gli ultimi della classe dell’euro, gli ‘untori del contagio’, come sono oggi bollate Grecia, Italia e Spagna  Ci fu un tempo, nei primi anni della moneta unica, che a non stare ai patti, anzi al Patto di Stabilità, erano proprio quelli del Nord che ora non tollerano le debolezze altrui: i tedeschi, con i francesi a tenere loro bordone. Quella è una delle pagine nere della storia dell’euro, un decennio e poco più; dal punto di vista delle istituzioni, forse la più nera. Perché per fare fronte alla crisi, oggi, si tratta di prendere decisioni; mentre, allora, si trattava solo di applicare decisioni già prese, cioè di fare rispettare la legge. E, invece, i forti dell’epoca, che sono poi gli stessi di oggi, la fecero franca con una deroga ‘ad hoc’. E’ un episodio che Mario Monti ama ricordare, come premier, ma anche come professore d’economia ed ex commissario europeo.

C’è spazio per rinvangare quel momento, in questi giorni che la crisi dà qualche respiro, nonostante le notizie dell’economia reale, specie quella italiana, ma anche la tedesca e la francese, continuino a non essere incoraggianti: le agenzie di rating, ridotte al ruolo di cassandre, lanciano avvertimenti cui pochi ormai badano. Tra Madrid e Bruxelles, si discute se staccare la prima fetta dell’aiuto europeo di cento miliardi di euro per le banche spagnole, mentre i mercati scommettono che la Spagna dovrà sollecitare, per salvarsi, un intervento di dimensioni maggiori. Le banche più in difficoltà sono, oltre a Bankia, NovaGalicia, Catalunya Caixa e Banco de Valencia. Per ora, Madrid, non ha formalizzato la sua richiesta, che dovrebbe essere approvata dalla Commissione europea, dalla Banca centrale e dall’Eurogruppo. Si allungano, invece, i tempi di decisione per la Grecia: gli esperti della troika resteranno ad Atene tutto settembre, per presentare a ottobre un piano che eviti al Paese il fallimento e ne consenta la permanenza nell’euro.

La calma tesa di questi giorni sui mercati, con borse senza picchi e spread stabili, si contrappone, quasi, alle fibrillazioni politiche. Che evocano quelle del 2003, quando la Commissione europea, presieduta da Romano Prodi, con Monti alla concorrenza, denunciò Francia e Germania per avere sforato i limiti del deficit di bilancio imposti dal Patto di Stabilità. La procedura d’infrazione, però, non fece il suo corso, perché i ministri delle finanze la bloccarono; e l’Italia di Silvio Berlusconi e la Gran Bretagna di Tony Blair appoggiarono questa soluzione ‘buonista’ e ‘pilatesca’, per le serie infinite ‘la legge non è uguale per tutti’ e ‘il più forte ha sempre ragione’.

Monti ha evocato quell’episodio nell'intervista a Der Spiegel da poco pubblicata, quella forviera d’un sacco di polemiche; e lo aveva già fatto al termine del Quadrangolare a Roma del 22 giugno (Italia, Francia, Germania e Spagna), quando rammentò, a chi oggi rimprovera le cicale d’Europa, appunto Grecia, Italia, Spagna, che furono Berlino e Parigi a violare per primi il Patto di Stabilità, senza subirne le conseguenze. In occasione del Quadrangolare, Monti aveva anche ricordato la "complicità" del governo italiano nella deroga a favore di Francia e Germania.

Parigi e Berlino, pur avendo sforato per la terza volta il tetto del 3% nel rapporto tra deficit e Pil, non subirono la prevista procedura per deficit eccessivo. L'Eurogruppo, con i ministri delle Finanze degli allora 12 Paesi della zona euro, lo decise a maggioranza qualificata, al termine d’una riunione fiume burrascosa, con i voti contrari di Spagna –toh!, come cambia il mondo-, Austria, Finlandia e Olanda (Helsinki e l’Aja sono, pure oggi, vestali del rigore). La decisione venne poi ratificata dall'Ecofin, il Consiglio dei Ministri delle Finanze dei Paesi dell’Ue, che s’accontentò dell’impegno di Francia e Germania a mettere in ordine i conti entro il 2005.

Su quella decisione, i Grandi d’Europa, allora divisi sulla scena internazionale, furono unanimi. Eppure, Francia e Germania erano la Vecchia Europa, schierati contro l’invasione dell’Iraq; mentre Gran Bretagna e Italia facevano da spalla agli Stati Uniti di George Bush, insieme a quella Spagna che José Maria Aznar tenne però fuori dal pastrocchio sul Patto di Stabilità.

All’epoca, la palese forzatura del diritto comunitario non passò inosservata. Euronews, una tv non partigiana, titolava: “L'Europa si spacca sul Patto di Stabilità. Ed è crisi istituzionale: l’Esecutivo, da un lato, a difendere le regole e i parametri stabiliti; Eurogruppo ed Ecofin, dall'altro”. Aznar minacciò ripercussioni sui lavori per la ratifica della Costituzione europea, poi abortita.

"Il Consiglio - si legge nelle conclusioni dell'Ecofin - ha deciso di sospendere per ora le procedure", pronto, a riaprirle se Parigi e Berlino non avessero rispettato gli impegni assunti. Ovviamente, tutto morì lì: quella fu una sconfitta per la Commissione Prodi/Monti, ma soprattutto per l’Unione.

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