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martedì 31 maggio 2016

Usa 2016: Donald & Hillary, messaggio all'Europa 's'impegni di più'

Intervista raccolta da Angelo Sferrazza per 'le Fiamme d'Argento', rivista dell'Associazione Nazionale Carabinieri, numero di marzo/aprile 2016

“O per la prima volta una donna, esperta di politica come pochi al mondo per essere stata first lady, senatrice, segretaria di Stato e già candidata alla nomination. O di nuovo un uomo espressione d’un’America bianca ormai minoritaria, totalmente digiuno di politica non avendo mai ricoperto un ufficio pubblico. Questa è l’alternativa tra Hillary Clinton, democratica ‘doc’, e Donald Trump, repubblicano atipico”, verso le elezioni presidenziali Usa l’8 novembre.

E’ la sintesi di Giampiero Gramaglia, giornalista, già corrispondente da Washington, che racconta Usa 2016 sul suo blog www.gpnewsusa2016.eu e che è autore dell’ebook ‘Usa 2016, alla fine rimasero in due Hillary e Donald’. Lo abbiamo intervistato.

La stagione delle primarie si avvia a conclusione, verso le convention di luglio che sanciranno le nomination. I giochi sono fatti?

“Fra i democratici, la vittoria della Clinton è acquisita ed è già stata riconosciuta dal suo rivale Bernie Sanders, senatore del Vermont che si autodefinisce ‘socialista’ e che resta in corsa perché vuole spostare a sinistra la piattaforma del partito alla convention”.

“Fra i repubblicani, Trump è nettamente avanti, ma i rivali superstiti, il senatore del Texas Ted Cruz, ultra-conservatore, e il governatore dell’Ohio John Kasich, moderato, non mollano. Il magnate e showman, alfiere dell’anti-politica, divide i repubblicani, ma suscita anche consensi entusiastici: nessuno aveva mai avuto tanti voti alle primarie”.

La Clinton o Trump, che cosa cambierà per l’Europa?, e per l’Italia?


“Nella campagna americana, si parla poco d’Europa e per nulla d’Italia, salvo incursioni di Renzi pro-Hillary e di Salvini pro-Trump. Con la Clinton, cambierà poco e nulla, rispetto agli otto anni della presidenza Obama. Trump promette una politica estera muscolare, ma al contempo predica una sorta di neo-isolazionismo. Su un punto sono entrambi d’accordo: gli europei devono fare e pagare di più per la sicurezza comune”.

Usa 2016: Libertari, Gary Johnson ottiene nomination, Bill Weld è suo vice

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 31/05/2016 e poi rielaborato e pubblicato da Il Fatto Quotidiano lo 03/06/2016

L'ex governatore del New Mexico Gary Johnson è ufficialmente il candidato del Partito libertario per le elezioni presidenziali dell’8 Novembre negli Stati Uniti. Johnson è stato nominato nel corso della convention del partito a Orlando, in Florida. A fare ticket con lui è Bill Weld, ex governatore del Massachusetts, candidato vice.

Secondo alcuni sondaggi, il candidato libertario raccoglierebbe il 10% dei consensi, un risultato eccezionale rispetto al passato e determinato in gran parte dall'impopolarità di Hillary Clinton e Donald Trump. Si prevede che il ticket Johnson-Weld spenda in campagna elettorale un dollaro circa ogni 500 spesi ciascuno dai candidati dei due maggiori partiti.

In lizza per la nomination, c’erano pure Austin Petersen, imprenditore e attivista, e John McAfee, esperto di cyber-sicurezza. A un certo punto, pareva potesse scendere in campo pure Jesse Ventura, ex lottatore, ex governatore del Minnesota, ex commentatore politico, personaggio tanto estroso quanto improbabile: di lui, s’è però persa traccia.

Sulle schede elettorali per la presidenza degli Stati Uniti, nell’Election Day, tradizionalmente non ci sono solo i nomi dei candidati democratico e repubblicano: ci sono, non in tutti gli Stati, candidati di altri partiti minori. La presenza del candidato del Partito libertario è da tempo una costante.

Annunciando a gennaio la candidatura, Johnson, 63 anni, due volte governatore del New Mexico, che si definisce “un liberale classico”, aveva affermato di volere essere “la voce della ragione” tra democratici e repubblicani. Dopo la nomination, ha detto: “Sono un conservatore dal punto di vista del bilancio e sono un liberal dal punto di vista sociale … La farei finita con gli interventi militari che ci rendono meno sicuri nel Mondo”.

Nel 2012, il nome di Johnson era sulle schede in 48 dei 50 Stati e raccolse 1.275.971 suffragi, poco al di sotto dell’1%, lo 0,99%. Il Partito libertario non aveva mai fatto meglio come voti ottenuti e solo nel 1980 fece meglio in percentuale (Ed Clark ebbe l’1,1%). Ed era dal 2000 che un candidato terzo rispetto ai due maggiori non otteneva tanti suffragi: allora, c’era Ralph Nader e i suoi Verdi, la cui presenza fu letale per il candidato democratico Al Gore.

La nomination di Johnson era attesa: dal 2012, ha mantenuto attiva la sua organizzazione ‘Our America Initiative’, che chiede fra l’altro che nei dibattiti fra i candidati alla presidenza vi sia maggiore accesso per candidati altri che il democratico e il repubblicano. Attualmente, per essere presente in quei dibattiti, che si svolgono in genere tra settembre e ottobre, un candidato deve avere il 15% delle intenzioni di voto nei sondaggi.

Johnson ha radici repubblicane, che lui non rinnega. Negli Anni Novanta, ottenne, come repubblicano, due mandati da governatore del New Mexico, uno Stato tendenzialmente democratico, divenendo “il governatore Veto”, perché pose il veto su 750 leggi Statali, e battendosi con decenni di anticipo per la legalizzazione della marijuana (Johnson è stato anche presidente e amministratore delegato della Cannabis Sativa, che tratta prodotti derivati dalla marijuana).

Il suo percorso politico è in qualche misura inverso a quello di Ron Paul, senatore del Texas, che fu candidato libertario nel 1998 e nel 2008 prima di cercare di ottenere la nomination repubblicana – quest’anno, ci ha provato il figlio Rand, senatore del Kentucky -. Johnson, nel 2012, aveva inizialmente tentato di inserirsi nella corsa alla nomination repubblicana, senza successo.

Nel presentare a gennaio in interviste e in un video la sua candidatura, Johnson aveva polemizzato con Donald Trump, che fa presa sullo stesso elettorato cui lui si richiama, e ridicolizzato l’idea di un altro Clinton o Bush alla Casa Bianca. (fonti vv - gp)

lunedì 30 maggio 2016

Usa 2016: Obama aTrump, ignoranza non è virtù; Napolitano, Renzi, Mr B anti

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 30/05/2016

Matteo Renzi, che non fa mistero di sostenere Hillary Clinton nella corsa alla Casa Bianca, spera che il prossimo presidente degli Stati Uniti “sia una femmina”. E l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano giudica le posizioni di Donald Trump una "grave incognita". Su RaiTre, e poi su RaiNews, dice: “Chi lo sa che cosa farebbe una volta eletto. Ma davvero non voglio considerare questa ipotesi”; e aggiunge: "Naturalmente, siamo spettatori da lontano. Vedo che in qualche modo lo stesso Obama ha voluto farsi portatore di preoccupazioni che non riguardano solo il suo partito, ma vanno molto al di là di una normale competizione tra repubblicani e democratici. Esse nascono dal tipo di posizioni che Trump sta fortemente enfatizzando nella sua campagna, che veramente rappresentano un elemento di grave incognita se dovesse vincere le elezioni presidenziali".

E pure l’ex premier Silvio Berlusconi boccia il magnate dell’immobiliare che gli è spesso accostato come imprenditore in politica: su RaiDue, si dice “stupito che un Paese, che è la prima democrazia del Mondo, non sia stato in grado di mettere nella corsa alla Casa Bianca dei protagonisti migliori. Trump è un incrocio tra Grillo e Salvini".

Il leader leghista, non a caso, sta con lo showman: quando Trump ha avuto la sicurezza aritmetica della nomination repubblicana, Matteo Salvini ha gongolato su Facebook: "Ce l'ha fatta, alla faccia dei 'politicamente corretti anti-razzisti', dei servi di Wall Street, dei banchieri avvoltoi e dei giornalisti sinistri, go Donald go!".

Le perplessità e gli interrogativi italiani si riflettono a livello internazionale, se il capo di gabinetto del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, Martin Selmayr, ha twittato dal G7 in Giappone la scorsa settimana: "#G7 2017 con Trump, Le Pen, Boris Johnson, Beppe Grillo? Uno scenario orrendo, che dimostra come sia importante combattere il populismo".

E lo stesso presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha rivelato in quella sede che i leader del G7 sono "irritati" da alcune scelte preannunciate dal candidato repubblicano e dalla sua "ignoranza" di come il Mondo funzioni: "Non sanno se prendere sul serio alcune sue dichiarazioni", ha detto Obama, aggiungendo che ne sono comunque "irritati … perché molte delle proposte di Trump dimostrano ignoranza delle cose del Mondo e un atteggiamento sprezzante, al di là del suo interesse a fare notizia ed a finire su twitter".

Concetti su cui Obama è tornato in un’intervista a BuzzFeedNews: "E' meglio per il nostro Paese quando il candidato democratico e quello repubblicano sono entrambi qualificati", sottolineando come i repubblicani guardino a un candidato che “molti di loro non ritengono pronto a fare il presidente".

E di fronte a una platea di 12 mila laureati della Rutgers University in New Jersey, Obama presenta una visione del mondo antitetica a quella di Trump, senza mai citarlo, ma incalzandolo su alcuni suoi cavalli di battaglia elettorali. Il presidente dice che le sfide d’un mondo in rapido mutamento non si affrontano alzando muri: “Il punto è che per aiutare noi stessi dobbiamo aiutare gli altri, non alzare il ponte levatoio per tenere il mondo fuori". Poi l’affondo: "In politica e nella vita l'ignoranza non è una virtù. Non é fico non sapere di che cosa si sta parlando. Ciò non significa dire le cose come stanno: non è una sfida al politicamente corretto; semplicemente è non sapere di che cosa si sta parlando". (fonti vv – gp)

Usa 2016: Trump va forte, ma il suo stile 'stressa' campagna e finanziatori

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 30/05/2017

I sondaggi lo danno in spinta. Ma il New York Times, che proprio non gli è amico, racconta che la campagna presidenziale di Donald Trump è confusa e disorientata: lo stile di gestione tipico del magnate, che funziona negli show televisivi, creerebbe addirittura un senso di paranoia nello staff, il cui direttore politico Rick Wiley, assunto solo pochi mesi or sono, è appena stato allontanato, senza per altro essere immediatamente sostituito.

Le ricostruzioni dei media sulla separazione tra Trump e Wiley non sono univoche. C’è chi parla di disaccordi, mentre la versione ricorrente dei collaboratori del candidato repubblicano è che si trattava di un incarico a tempo determinato: "Rick Wiley era stato assunto a breve termine come consulente - si legge in una nota -. Lo ringraziamo per averci aiutato in questa transizione".

Il New York Times, che ha già vagliato a fondo il rapporto tra il magnate e le donne, ricostruisce le tensioni all'interno della macchina elettorale del candidato repubblicano, citando fonti secondo cui alcuni membri dello suo staff sospettano che ci siano microspie nei loro uffici.

E, fra i possibili finanziatori della campagna presidenziale, convivono esitazioni e incertezze: c’è chi s’interroga se contribuire e c’è chi intende farlo ma non sa come, perché mancano indicazioni ad esempio sui super Pac – i fondi che raccolgono le donazioni - da foraggiare.

Anche se ha pubblicamente assicurato che avrebbe adottato uno stile più presidenziale, Trump - afferma il New York Times - continua a mostrare i limiti del suo stile di manager e di candidato. Un’altra difficoltà viene dalla sua stessa personalità imprevedibile: un punto di forza nei comizi, ma un handicap organizzativo. Le tensioni emergono anche dalla difficoltà coprire incarichi chiave nella campagna, quali il direttore della comunicazione, perché Trump vuole essere capo e portavoce di se stesso.

Affermazioni in fondo confermate dalla stessa dura reazione di Trump all’articolo del giornale: “Il New York Times sta fallendo: ha scritto una storia sul mio stile di gestione della campagna e sul fatto che non ho molte persone nel mio staff. Ne ho 73. Hillary ne ha 800 e la sto battendo”, ha scritto su Twitter. E ancora: “Non credete ai media che citano fonti interne alla mia campagna … Le uniche affermazioni che contano sono le mie”. E della stampa critica dice: “E’ bugiarda”.

Secondo i critici interni, il magnate dimentica che le primarie sono finite e che l'attenzione deve essere ora tutta sul voto di novembre. Di qui, il ripetersi di incidenti di percorso e il persistere di toni conflittuali nei comizi: contro il giudice che indaga a San Diego sulla sua Università, ‘colpevole’ di essere di origine messicana; e, più in generale, contro quanti lo contestano. Giorni fa, commentando gli incidenti fuori da un suo meeting ad Albuquerque, New Mexico, ha scritto: “I contestatori erano delinquenti che sventolavano la bandiera messicana … criminali!”.

Con l’effetto che, intorno a lui, cresce il consenso del ‘popolo di Trump’, ma anche l’ostilità d’interi gruppi etnici, oltre che di intellettuali, ‘liberal’ e moderati. Ancora ieri, il magnate, prendendosela con Hillary che “non può essere presidente” perché “vuole abolire” l’emendamento della Costituzione che tutela il diritto ad avere armi, ha pure attaccato il marito Bill, l’ex presidente, perché fu l’artefice dell’area di libero scambio con Canada e Messico (Nafta), “il peggiore accordo mai firmato”, rilanciando la sua idea di muro più alto sul confine.

Trump, invece, solidarizza strumentalmente con il rivale dell’ex first lady Bernie Sanders, ma solo perché pensa – o spera - che molti sostenitori del senatore ‘socialista’ finiranno col votare per lui, perché “i democratici lo stanno trattando molto male” e “il sistema sta manovrando contro di lui”. (fonti vv - gp)

domenica 29 maggio 2016

Usa 2016: Sanders, l'orsachiotto di Donald e l'incubo di Hillary

Pubblicato da AffarInternazionali.it il 28/05/2016

Donald Trump, ormai il candidato repubblicano alla Casa Bianca, lo tratta come un orsacchiotto, o – come cantava Patty Pravo negli Anni Sessanta -, come una bambola, che la “fai girar” e poi “la butti giù”. Ma la decisione del senatore Bernie Sanders di restare in corsa contro Hillary Clinton, nonostante non abbia speranze di ottenere la nomination democratica, si rivela sempre più dannosa per l’ex first lady: da una parte, le impedisce di concentrare l’attenzione - e le spese – sul magnate dell’immobiliare suo avversario l’8 Novembre; e, dall'altra, ne evidenzia debolezze e fragilità.

Trump ha ormai raggiunto quota 1237 delegati, cioè la maggioranza assoluta di quelli in palio, e ha la garanzia aritmetica della nomination repubblicana. Alla Clinton, ne mancano un centinaio: li conquisterà il 7 giugno, quando si vota in California e in una manciata di altri Stati. Rischia, però, d’arrivare alla meta con un’immagine offuscata dalle troppe sconfitte.

Trump ci scherza: "Rischiamo di correre contro il folle Bernie! E' un pazzo, ma a noi piace la gente un po’ pazza", dice in un comizio ad Anaheim in California, prima di aggiungere: “Ma io voglio correre contro Hillary”. Lo showman prima è incline ad accettare l’idea d’un dibattito con Sanders, purché ne vengano “10/15 milioni da versare in beneficenza contro le malattie delle donne” – detto a Bismarck, nel North Dakota -; poi, lo esclude per iscritto perché "sarebbe inappropriato dibattere con un candidato che finirà secondo nelle primarie".

Di qui in avanti, estratti di posti già pubblicati su http://www.gpnewsusa2016.eu/ e http://formiche.net/sezione/usa2016/


America Latina: Operazione Condor, bollo giustizia su torture, sequestri, omicidi

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/05/2016

Un’organizzazione malavitosa su scala internazionale: a costituirla non erano ‘signori della droga’ o boss mafiosi, ma capi di Stato abusivi e generali a tutte stelle. L’Operazione Condor, nome da film, per quella che poteva apparire una realtà romanzesca, è stata finalmente sanzionata con una raffica di condanne da un tribunale argentino per la prima volta.

Il generale Reynaldo Bignone, capo della Giunta militare nel 1982-‘83, l’ultimo dittatore argentino, e 14 altri alti ufficiali sono stati condannati a pene detentive: 25 anni a tra generali, fra cui uruguayano Manuel Cordero Piacentini, per delitti contro i diritti umani e l'uccisione di oppositori. A Bignone, che sta già scontando condanne, fra l’altro per avere sottratto figli a prigionieri politici, s’è visto infliggere 20 anni: il dittatore, 88 anni, finirà in prigione i suoi giorni.

Un processo definito "storico" dai media argentini: per la prima volta un tribunale s’è pronunciato su crimini commessi nell'ambito della "associazione illecita transnazionale" costituita per condurre l’Operazione Condor: tra gli Anni 70 e 80, i regimi militari sudamericani coalizzati l’organizzarono per eliminare gli oppositori nei Paesi del Cono Sud dell'America Latina, Argentina, Cile, Paraguay, Uruguay, ma anche in Brasile e Bolivia. Storie di rapimenti, torture, sparizioni di militanti e attivisti – oltre un centinaio - che avevano cercato rifugio in Paesi vicini e pure negli Stati Uniti o in Europa.

I ‘soci’ di Condor hanno nome sinistri: i generali Videla e Bignone in Argentina, Augusto Pinochet in Cile, il generale Alfredo Stroessner in Paraguay, il generale Ugo Banzer in Bolivia, dittatori talora rimasti al potere decenni. Dopo la guerra delle Falkland, un vento di democrazia spazzò progressivamente via le tirannie latino-americane e, con esse, l’Operazione.

Dagli archivi della storia, nelle carte del processo, escono storie di orrore, come la scena dell’officina Automotores Orletti di Buenos Aires, dove il generale Cordero torturò prigionieri che erano stati catturati grazie alla collaborazione tra i servizi segreti argentini e uruguaiani.

Le indagini sull’Operazione Condor vennero lanciate negli Anni 90, ma, all’inzio, in Argentina, un’amnistia, poi revocata, teneva al sicuro molti responsabili. Fra gli elementi che confermano l’esistenza della cospirazione, un cablo dell’Fbi spedito nel 1976, che descrive in dettaglio come funzionava l’organizzazione, avviata nel 1975 per iniziativa del cileno Pinochet. Emissari di Condor uccisero a Washington l’ex ambasciatore cileno Orlando Letelier e il suo assistente Ronni Moffit e colpirono anche oppositori esiliati in Europa, come a Roma Bernardo Leighton, gravemente ferito in un agguato a Roma nel 1976 materialmente condotto dall’estrema destra.

Inizialmente, gli obiettivi della repressione transnazionale organizzata dai servizi segreti erano movimenti d’opposizione militante, come i Montoneros in Argentina. Ma poi finirono sotto tiro oppositori politici d’ogni sorta, studenti, professori, giornalisti, intellettuali, sindacalisti, padri e madri che avevano l’unica colpa di cercare i loro figli scomparsi. Un orrore su cui per decenni Washington e l’Europa chiusero gli occhi.

Usa 2016: Trump contestato si fa beffe di leader, rivali, intellettuali

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 28/05/2016

Ancora incidenti, a un comizio di Donald Trump: questa volta, accade a San Diego, California, dove sono state arrestate decine di persone. Migliaia di sostenitori e avversari dell’ormai certo candidato repubblicano alla Casa Bianca si sono scontrati all'esterno del centro congresso, dov’era in programma un comizio del magnate.

Il discorso dello showman, in vista delle primarie nello Stato il 7 giugno, è stato interrotto, mentre fuori c’erano scontri tra sostenitori e oppositori, nonostante le forze dell'ordine avessero stabilito zone separate per ciascun gruppo. Dopo l'evento, la polizia ha chiesto che la folla si disperdesse ed ha ordinato l'evacuazione della zona, ma molti sono rimasti sul posto: di qui, almeno 35 fermi.

Le contestazioni così come le preoccupazioni dei leader del Mondo non preoccupano Trump, che se la ride del twitter del capo gabinetto del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker: Martin Selmayr, dal Giappone, dov’era riunito il Vertice del G7, aveva cinguettato "#G7 2017 con Trump, Le Pen, Boris Johnson, Beppe Grillo? Uno scenario orrendo che dimostra come sia così importante combattere il populismo".

Oltre che dei Grandi, Trump si fa beffe dei rivali, come il senatore del Vermont Bernie Sanders. Scherzando, dice in un comizio ad Anaheim in California: "Rischiamo di correre contro il folle Bernie! E' un pazzo, ma a noi piace la gente un po’ pazza"; poi aggiunge: “Ma io voglio correre contro Hillary”.

Lo showman, che prima era incline ad accettare l’idea d’un dibattito con Sanders, purché ne vengano “10/15 milioni da versare in beneficienza contro le malattie delle donne” – detto a Bismarck, nel North Dakota -, ora lo esclude per iscritto perché "sarebbe inappropriato dibattere con un candidato che finirà secondo nelle primarie”.

Quanto ai contestatori, Trump riserva loro un comportamento sprezzante. Quando un manifestante l’ha interrotto ad Anaheim, ha detto: "Portatelo via, ma non fategli del male, anche se è una persona cattiva”, precisando ironicamente: “Lo dico per le telecamere".

Se non lo toccano néle diffidenze dei leader del Mondo né gli attacchi dei contestatori, le critiche degli intellettuali lo lasciano indifferente. Eppure, gli scrittori americani si mobilitano lo stesso contro la candidatura di Trump alla presidenza. Oltre 450 autori famosi, compresi 10 premi Pulitzer, firmano una lettera aperta contro il magnate, poi divenuta una petizione online. Tra i firmatari, ci sono Stephen King, Ha Jin, Rita Dove, Amy Tan e Junot Diaz.

Il testo recita: "Poiché come scrittori siamo particolarmente consapevoli dei molti modi in cui si può abusare del linguaggio in nome del potere … poiché riteniamo che ogni democrazia debba essere fondata sul pluralismo ... perché la storia delle dittature è la storia di manipolazioni e divisioni, di demagogia e menzogne … per tutte queste ragioni ci opponiamo, per una questione di coscienza, inequivocabilmente, alla candidatura di Donald J. Trump alla presidenza degli Stati Uniti". (fonti vv - gp)

sabato 28 maggio 2016

Obama a Hiroshima parla da Nobel, predica un mondo senza atomica

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/05/2016 3 ripreso da www.GpNewsUsa2016,eu

E’ un uomo più anziano della sua età, più pieno di pensieri che d’energia, quello che si china e “piange la morte di uomini, donne, bambini”, decine di migliaia d’innocenti in un colpo solo, “là dove il Mondo cambiò per sempre”. Barack Obama è il primo presidente degli Stati Uniti a recarsi in pellegrinaggio a Hiroshima, la città su cui, il 6 agosto 1945, 71 anni or sono, gli americani sganciarono la prima – e finora penultima – bomba atomica della storia.

Una visita contrita e mesta, ma senza scuse: gli Stati Uniti non avvertono la colpa di quell'atto, che, ai loro occhi, e non solo, risparmiò più vite umane di quante ne portò via; soprattutto, risparmiò migliaia, o decine di migliaia, di soldati americani. Tre generazioni dopo, il clima è ancora lo stesso di Manhattan, la serie tv ispirata al progetto dell’atomica: scienziati e militari lavorano con fervore quasi religioso a un ordigno che decida in fretta le sorti della guerra, ossessionati dalle perdite che, giorno dopo giorno, s’accumulano.

Breve, la visita di Obama a Hiroshima, al Memoriale della Pace, uno di quei luoghi dove s’avverte la precarietà e la fragilità dell’umanità intera, è intensa. Soprattutto quando il presidente, alto, distinto, vestito di scuro, abbraccia un signore anziano, con un abito grigio, che gli poggia la testa sul petto: Shigeaki Mori è un superstite e sembra quasi provarne ritegno.

Hiroshima è una tappa del doppio percorso che il presidente Obama sta facendo in questa lunga fine del suo doppio mandato alla Casa Bianca: da una parte, un viaggio nella riconciliazione con nemici di decenni, l’Iran prima, Cuba poi; e dall'altra, un viaggio nella memoria con i nemici d’un tempo più lontano, in Vietnam e ora in Giappone.

Ed è pure – osserva l’ambasciatore Carlo Trezza, un esperto di disarmo – un momento importante del cammino verso la riduzione delle armi nucleari: “L'obiettivo di giungere a un mondo senza atomiche costituì una priorità della campagna elettorale e trovò forti sostegni politici sia negli Usa che nel resto del mondo”. Ma poi la brutta piega della sicurezza internazionale e il peggioramento delle relazioni con la Russia hanno frenato il progetto.

E l’anno scorso non si realizzò l’idea di fare convergere a Hiroshima o Nagasaki i massimi leader politici e spirituali mondiali, nel 70° anniversario: un pellegrinaggio ora compiuto da Obama, solo, appena dopo essersi lasciato alle spalle i riti stanchi e ormai triti del Vertice G7. I leader dei Grandi del Mondo hanno espresso le loro preoccupazioni e fatto buoni propositi per la crescita economica ancora incerta da consolidare e per la sicurezza internazionale da rafforzare, promettendo impegno e cooperazione sui due fronti. E sono emersi timori per la futura governance globale: fonti europee considerano "un incubo" la prospettiva di un G7 nel 2017 “con Trump, la Le Pen e Grillo”.

A Hiroshima, il presidente americano è stato accolto dal premier giapponese, Shinzo Abe, portatore di germi di nazionalismo che creano disagio in Asia, e ha deposto una corona. Poi, ha parlato, come sa parlare lui quand'è ispirato: un discorso teso, emozionante, a tratti drammatico: l’uomo che ebbe il Nobel per la Pace e che ora sta cercando di meritarselo, il presidente che viene dal Pacifico e che qui è più a casa che sull'Atlantico, ha ricordato che quel giorno “la morte arrivò dall'alto", quando "la figura di un fungo prese forma levandosi verso questo cielo: immaginiamo di sentire il terrore dei bambini, di ascoltare un pianto silenzioso … le voci dei caduti ci parlano".

Da ieri a oggi: "La memoria del 6 agosto non svanirà mai … Quel ricordo ci permette d’immaginare quello che potrebbe accadere, ci spinge a cambiare". La speranza è che Hiroshima e Nagasaki non siano nella storia gli albori della guerra atomica, ma "l'inizio del nostro risveglio morale". Obama chiede "un mondo senza armi nucleari: dobbiamo modificare il nostro modo di pensare la guerra" e "raccontare ai nostri figli una storia diversa". Sul registro degli ospiti, scrive: “Un Mondo senza atomica”.

L'AirForceOne del presidente era atterrato in una base militare americana alla periferia della città. Obama, che era stato qui preceduto il mese scorso dal segretario di Stato John Kerry, aveva già fatto sapere che non avrebbe chiesto scusa, ma che avrebbe ricordato tutte le vittime della Seconda Guerra mondiale. Al suo arrivo, ha tenuto a celebrare la solidità oggi dell'alleanza tra Usa e Giappone: "Una delle più forti al mondo", testimonianza di come un Paese, un tempo acerrimo nemico, può diventare strettissimo alleato.

venerdì 27 maggio 2016

Usa 2016: Trump, “ho i delegati e la nomination”; Obama, leader G7 inquieti

Scritto per www.GoNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 27/05/2016

Nel giorno in cui fra i Grandi del Mondo riuniti in Giappone serpeggia l’inquietudine al pensiero che lui possa diventare presidente degli Stati Uniti, Donald Trump annuncia di avere la certezza della nomination repubblicana, avendo toccato la soglia dei 1.237 delegati, la maggioranza assoluta di quelli disponibili.

In meno di 12 mesi – scese in campo a giugno del 2015 - e senza esperienza politica, il magnate dell’immobiliare ha spazzato via 16 rivali e s’è assicurato, nonostante resistenze e opposizioni, l'investitura del partito per la corsa alla Casa Bianca: fra due mesi, la convention di Cleveland non potrà che formalizzarne la designazione.

La showman s’è fatto beffa dell'establishment repubblicano, che ha cercato di ostacolarne la scalata, senza però trovargli un valido antagonista: mai nessun aspirante repubblicano aveva avuto tanti voti nelle primarie: "Sono davvero onorato: dovevamo arrivare a luglio ... ed eccoci qua a guardare Hillary, che non riesce a chiudere una partita che doveva essere facile", ha detto Trump dichiarando vittoria durante un comizio a Bismarck, in North Dakota.

Hillary Clinton, battistrada per la nomination democratica, non riesce, infatti a scrollarsi di dosso Bernie Sanders, il suo rivale, e deve battersi per evitare una sconfitta in California il 7 giugno, che sarebbe pesante soprattutto come impatto soprattutto simbolico.

Trump ha raggiunto e superato quota 1.237 con l'appoggio di decine di delegati ‘unpledged’ - cioè svincolati rispetto ai risultati delle primarie – e ha così scongiurato definitivamente il fantasma d’una convention aperta a Cleveland a fine luglio. Restano 303 delegati repubblicani da assegnare nelle primarie del 7 giugno in 5 Stati.

Sempre da Bismarck, Trump ha risposto al presidente Barack Obama che dal G7 aveva sottolineato la preoccupazione dei Grandi del Mondo per l’eventualità di ritrovarselo alla Casa Bianca. "E' un bene" che i leader del mondo siano preoccupati", ha detto, osservando: "E’ inusuale che Obama parli di me durante una conferenza stampa. Ma va bene così". Lo showman giudica "orribile" l’operato dell’attuale inquilino della Casa Bianca che avrebbe consentito a molti Paesi di profittare degli Usa.

Il presidente ha indicato che i 'colleghi' del G7 sono "irritati" da alcune scelte annunciate da Trump e dalla sua "ignoranza" su come il mondo funzioni: "Non sanno se prendere sul serio alcune sue dichiarazioni"; e sono "irritati per una buona ragione, perché molte delle sue proposte dimostrano ignoranza delle cose del mondo e un atteggiamento sprezzante, oltre al suo interesse a fare notizia ed a finire su twitter".

Il magante ha poi rivelato che il suo vice presidente "sarà probabilmente" una donna o un esponente delle minoranze – “guarderemo alla competenza” e di essere pronto a dibattere "con Bernie", se gli danno 10 o 15 milioni di dollari da destinare alla beneficenza. Ma è con Hillary che "voglio correre", ha affermato, aggiungendo che l’emailgate metterà in evidenza un comportamento "probabilmente illegale" dell’ex segretario di Stato.

Alla gente del North Dakota ha poi promesso di costruire l'oleodotto Keystone XL se sarà eletto – Obama è invece contrario -: "Decisamente lo farei ... riservando una parte dei profitti agli Usa. E' così che renderemo il nostro Paese di nuovo ricco".

In precedenza, Trump aveva avuto una conversazione telefonica “molto produttiva" con lo speaker della Camera Paul Ryan, che ha però smentito di nuovo di essere pronto a sostenerlo formalmente con un endorsement per la corsa alla Casa Bianca. Ryan insiste sulla necessità di "una reale unità" del partito: "Voglio un'unificazione reale, questa è la mia principale preoccupazione".

Lo showman ha intanto incassato l’appoggio di un ex candidato alla nomination repubblicana, l’ex senatore Rick Santorum, convinto dalla lista da lui pubblicata di possibili sostituti di Antonin Scalia alla Corte Suprema. Dopo aver abbandonato la corsa in febbraio ed aver appoggiato Marco Rubio, Santorum ha ora detto alla Fox che ''la cosa più importante è preservare la Costituzione'', ammonendo che una Corte suprema ‘liberal’ “la distruggerà''. (AGI - gp)

giovedì 26 maggio 2016

Usa 2016: Trump fa bingo, Sanders danneggia Hillary restando in corsa

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 26/05/2016

Mentre Donald Trump s’appresta ad annunciare d’avere ormai raggiunto quota 1237 delegati, cioè la maggioranza assoluta di quelli in palio, con la garanzia aritmetica della nomination repubblicana, la decisione del senatore del Vermont Bernie Sanders di restare in corsa contro Hillary Clinton, nonostante non abbia più speranze di ottenere la nomination democratica, si rivela sempre più dannosa per l’ex first lady: da una parte, le impedisce di concentrare l’attenzione e le spese contro Trump; dall’altra, ne evidenzia le debolezza.

L’aggressività di Sanders, più popolare della sua rivale fra i giovani, le donne, i bianchi, condiziona Hillary, che deve condurre una campagna strabica, preoccupata di rintuzzare gli attacchi da destra e populisti di Trump, l’ ‘arcinemico’,  ma anche quelli da sinistra e liberal del ‘compagno di squadra’.
Così, mentre Trump appare sulla cresta dell’onda e trasforma in voti dell’anti-politica anche le gaffe e le volgarità, la Clinton è ora sulla difensiva nei confronti di Sanders anche in California, dove, fino a qualche tempo fa, aveva un vantaggio nettissimo. Secondo un sondaggio del Public Policy Institute, l’ex first lady è avanti di appena due punti, 46% a 44%, tra i probabili elettori democratici, in vista delle primarie del 7 giugno.

In realtà, a Hillary basta aggiudicarsi meno della metà dei delegati del Golden State per raggiungere a sua volta la certezza aritmetica della nomination democratica, ma è chiaro che un’altra sconfitta, nello Stato più popoloso dell’Unione, minerebbe ulteriormente la sua credibilità e la sua solidità.

Sanders, del resto, non dà tregua, nonostante il partito non nasconda il nervosismo (ma il senatore, che si autodefinisce ‘socialista’, agisce da indipendente). Parlando a San Bernardino, in California, s’è presentato come l’uomo giusto per battere Donald Trump, che – ha detto – “non diventerà presidente”. Il senatore sta girando la California in lungo e in largo e sostiene: "Abbiamo l'energia e l'entusiasmo per vincere”.

In un’intervista alla Ap, Sanders, che ha sfidato Hillary a un ennesimo dibattito, che l’ex first lady non ha accettato, prevede che la convention democratica di Filadelfia a fine luglio possa diventare un “caos”, perché "la democrazia non è sempre cordiale, tranquilla e gentile": "La democrazia è caos. Ogni giorno, la mia vita è caos -‘mess’, in inglese-. Se volete che tutto sia tranquillo e ordinato, che le cose procedano senza un dibattito vigoroso, questa non è democrazia".

Il senatore ha condannato i disordini e la violenza dei suoi sostenitori alla convention del Nevada, ma ha aggiunto che la sua campagna accoglie i nuovi arrivati, gente che partecipa per la prima volta a riunioni politiche. Il partito democratico, ha ammonito, deve scegliere se diventare più inclusivo o mantenere lo status quo: "Se prenderanno la decisione giusta e apriranno le porte a lavoratori e giovani e creeranno il genere di dinamismo di cui ha bisogno il partito, ci sarà caos".

A imbarazzare (un po’) Hillary, c’è anche la notizia che il governatore democratico della Virginia Terry McAuliffe, un ‘clintoniano di ferro’, è indagato per la sospetta violazione delle leggi federali sul finanziamento delle campagne elettorali. L'indagine, fatta da Fbi e Dipartimento della Giustizia, riguarda l’elezione a governatore di McAuliffe, ma al vaglio degli investigatori c'è anche, secondo la Cnn, il periodo in cui il politico era nella Clinton Global Initiative, legata alla Fondazione Clinton creata dall'ex presidente Bill Clinton e dall'ex first lady. (fonti vv – gp)

Usa 2016: Donald e Hillary, un mercoledì di guai per il fisco e le email

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 26/05/2016

Per Donald Trump e Hillary Clinton, il 25 maggio è stato un mercoledì nero: entrambi sono stati perseguitati da fantasmi del loro passato – ma c’è da scommetterci che accadrà ancora sovente, prima dell’Election Day -: un quotidiano britannico ha denunciato una manovra del magnate dell’immobiliare per sottrarre al fisco 50 milioni di dollari; e il rapporto dell’ispettore indipendente del Dipartimento di Stato Usa, inviato al Senato, afferma che l’ex first lady violò le regole, usando un account di posta elettronica privato, quand'era segretario di Stato.

Più nuove le accuse a Trump, anche se la reticenza dello showman a rendere pubbliche le denunce dei redditi alimenta da tempo dubbi sui suoi rapporti con il fisco. Un ‘mostro di Lochness’ ricorrente quelle alla Clinton, su cui indaga pure l’Fbi.

L’inchiesta del Daily Telegraph – Secondo il Daily Telegraph, che ha lavorato sui trascorsi fiscali del candidato repubblicano per tre mesi, Trump fece nel 2007 un investimento ‘truccato’ da prestito per sottrarre al fisco circa 50 milioni di dollari: la prova sarebbe un documento firmato dal magnate e rintracciato dal giornale.

La vicenda è emersa da un’azione legale degli ex dipendenti della Bayrock Group, società partner del gruppo Trump. La Bayrock fece con l’islandese FL Group l'accordo finito sotto accusa. ''Non posso ancora dire se Trump abbia una responsabilità legale – afferma Frederick Oberlander, legale di uno degli ex dipendenti -. Ma come cittadino americano mi preoccupa l'idea di un presidente che può essere stato così negligente o avere forse volontariamente eluso'' la legge.

Nonostante il magnate abbia apposto la sua firma sulle due versioni dell’accordo, investimento e prestito, e nonostante i dubbi sulle irregolarità segnalate dai consulenti legali, altri esperti consultati dal Telegraph ritengono improbabile che il fisco possa provare la responsabilità di Trump.

L'aspirante presidente è già nel mirino dei critici perché non pubblica la dichiarazione dei redditi, che sarebbe sotto verifica, e perché afferma di possedere un patrimonio di 10 miliardi di dollari doppio di quello stimato dai media.

Il rapporto dell’ispettore -  Il rapporto dell’ispettore indipendente del Dipartimento di Stato rileva non solo il fatto già noto che la Clinton da segretario di Stato usava un account privato di email, ma anche vuoti nelle informazioni sull'incarico svolto dall'ex first lady al Dipartimento di Stato.

Tutto ciò costituisce una violazione di policy e procedure in vigore al Dipartimento di Stato. Ma responsabilità simili - si sottolinea nel rapporto - riguarderebbero almeno quattro predecessori di Hillary al Dipartimento di Stato, fra cui il generale Colin Powell, che avrebbe sempre usato la sua email privata – da allora, però, le misure di sicurezza anti-hackers sono divenute più stringenti -.

La campagna della Clinton evidenzia nei suoi commenti proprio questo aspetto: Brian Fallon, portavoce, dice che il rapporto dell'ispettore "documenta come i comportamenti sulle email di Hillary siano stati coerenti con quelli di altri segretari di Stato e funzionari di alto livello". (fonti vv - gp)

mercoledì 25 maggio 2016

Egyptair: come per il volo sul Sinai e per Regeni, l'Egitto fa melina

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 25/05/2016

Se aspettiamo che la verità sul disastro del volo MS840 ce la raccontino gli egiziani, allora l’attesa sarà lunga. Devono ancora ammettere che il charter russo con 224 persone a bordo caduto sul Sinai il 31 ottobre 2015, poco dopo il decollo per San Pietroburgo, sia esploso per un attentato, nonostante le rivendicazioni del sedicente Stato islamico e le ricostruzioni russe. E devono ancora dirci chi e perché ha sequestrato e ucciso Giulio Regeni, il ricercatore italiano di 28 anni scomparso il 25 gennaio e ritrovato morto, dopo essere stato torturato, il 3 febbraio.

Sul caso dell’aereo di linea della Egyptair scomparso in volo tra Parigi e il Cairo la notte tra il 18 e il 19 maggio, una settimana fa, gli inquirenti egiziani alzano, per ora, un polverone d’informazioni precipitose e contraddittorie, proprio come hanno fatto – e per Regeni continuano a fare – negli altri due casi. Confusione da incompetenza?, o tattica di disinformazione? Probabilmente, un po’ l’una e un po’ l’altra. Per sapere qualcosa di certo, dobbiamo sperare nei satelliti americani e nel recupero delle scatole nere dell’Airbus A320 inabissatosi nel Mediterraneo con 66 persone.

Ieri, è stato un susseguirsi di indiscrezioni e smentite. Dopo che già nei giorni scorsi era stato annunciato il ritrovamento delle scatole nere – poi smentito – ed erano state diffuse ricostruzioni approssimative delle comunicazioni tra il pilota e i controllori di volo e delle ultime presunte fasi del volo.

Al centro delle voci di ieri, i risultati delle autopsie sui primi resti umani recuperati: prima, fonti mediche anonime hanno sostenuto che le condizioni in cui sono stati trovati i frammenti dei corpi suggerivano che l'aereo fosse esploso; poi, un portavoce del ministero della Giustizia ha escluso che siano state trovato tracce di esplosivo nei tessuti umani; infine il capo del team di medici legali, Isham Hisham Abdel Hamid, ha smentito che ci sia stata un'esplosione a bordo: "Tutto quanto è stato pubblicato è completamente falso".

E’ evidente il tentativo dell’Egitto di non avallare, per quanto possibile, la pista dell’attentato, mancando, tra l’altro, qualsiasi rivendicazione, forse per cercare di salvaguardare quel che resta dell’industria del turismo nel Paese, dove, dopo la tragedia del Sinai, e per il clima d’insicurezza innescato dalla repressione indiscriminata del regime di al-Sisi, il flusso di visitatori s’è già ridotto dell’80%.

Secondo un comunicato della commissione d’inchiesta, 18 "gruppi di rottami" sono giunti al Cairo per essere esaminati. La squadra di inquirenti egiziana, "cui partecipano inquirenti francesi", "dà la priorità al ripescaggio dei corpi delle vittime e alla localizzazione delle due scatole nere": "Navi da guerra egiziane e anche un sottomarino battono la zona con unità francesi": nelle ricerche, è attiva l'Aviazione egiziana, con "aerei francesi e greci". L’attenzione è puntata sul tratto di mare tra l'isola di Karpathos, greca, e le coste settentrionali egiziane.

Il pool di tecnici ed esperti studia le informazioni sul funzionamento dell'aereo, la manutenzione, “le ore di volo e l'addestramento dei membri dell'equipaggio". A uno "studio minuzioso" vengono pure sottoposte le schermate dei radar, "la meteorologia, l'assistenza prestata all'aereo all'aeroporto di decollo, come tutte le informazioni in possesso dei paesi sui quali è passato il velivolo".

A parlare di esplosione ieri è stato uno dei medici legali del team investigativo, che ha esaminato decine di reperti umani: ha detto che tutti gli 80 frammenti umani custoditi in 23 sacchetti e finora esaminati sono piccoli e che "non c'é neppure una parte di corpo intera, tipo un braccio o una testa, al massimo il palmo d’una mano".

Di qui, la deduzione dell’esplosione. Anche se esperti fanno rilevare che, in questi casi, la disintegrazione dell’aereo può avvenire in volo per una deflagrazione o all’impatto con l’acqua, secondo l’angolo di caduta.

Da ieri sono al Cairo alcuni familiari delle vittime: il loro Dna dovrà consentire d’identificare i resti e di restituirli alle famiglie per l’inumazione.

Usa 2016: Trump vince Stato di Washington, contestato in New Mexico

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 25/05/2016

Ormai senza avversari, Donald Trump vince le primarie repubblicane nello Stato di Washington, all’estremo Nord-Ovest dell’Unione, con oltre i tre quarti dei voti espressi. Anche se conquisterà tutti i 44 delegati in palio, Trump resterà di una ventina al di sotto della soglia dei 1237 necessari per ottenere la garanzia aritmetica della nomination: sarò cosa fatta il 7 giugno, quando ci saranno le primarie in California e in una manciata di altri Stati.

Fra i democratici, vince Hillary Clinton con il 54% dei suffragi, ma è un successo solo politico, che le può essere utile ad allentare la pressione del suo rivale Bernie Sanders, perché non ci sono delegati in palio: quelli dello Stato di Washington sono stati assegnati con le assemblee di partito svoltesi a marzo, dove il senatore del Vermont era andato meglio dell’ex first lady incamerandone 74 contro 27.

Mentre si votava nel Nord-Ovest, Trump è stato al centro di tensioni e proteste a un suo comizio ad Albuquerque, nel New Mexico: un gruppo di manifestanti ha sfondato i cordoni di polizia all'esterno, costringendo gli agenti in tenuta anti-sommossa a intervenire per bloccare loro l'accesso. I contestatori esponevano striscioni con le scritte ‘Trump è un fascista’ e 'Ne abbiamo abbastanza’ e hanno bruciato t-shirt con lo sloga di Trump ‘Make America Great Again’: sono volati sassi, sarebbero stati usati lacrimogeni e gas urticanti – ma la polizia nega -, ci sono stati alcuni arresti. Nessuna conferma delle voci di spari all’esterno del comizio, circolate sui social.

All’interno, il magnate è stato ripetutamente interrotto durante il suo intervento dagli oppositori, che hanno gridato e mostrato cartelli di protesta. Trump, com’è suo solito, li ha derisi, trattandoli da bambini, mentre i suoi sostenitori cantavano “costruiremo il muro”, quello che lo showman vuole erigere al confine col Messico. Alla fine, Trump ha potuto lasciare senza problemi la sede del comizio, raggiungendo Los Angeles.

Anche Hillary Clinton ha avuto una sua dose di contestazioni, durante un comizio all’Università di California di Riverside: cinque donne che protestavano sono state allontanate dal servizio di sicurezza.

Clinton/Sanders, distensione e scintille - Nel duello tra la Clinton e Sanders, si registrano segnali contraddittori: i due hanno concordato col partito una nuova ripartizione dei membri della commissione che deve scrivere la piattaforma per la convention di luglio. L'ex first lady ne ha scelti sei, il senatore cinque, fra cui un attivista per i diritti dei palestinesi. La distribuzione è stata fatta sulla base dei voti popolari ottenuti dai due candidati nelle primarie. Altri quattro membri sono stati nominati da Debbie Wasserman Schultz, la presidente del comitato nazionale del partito, che nei giorni scorsi era stata accusata da Sanders di favorire Hillary. In base alle regole, la presidente avrebbe avuto diritto di nominare tutti i 15 membri.

Se questo appare un atto di distensione, c’è invece tensione fra i due rivali per il no della Clinton alla richiesta di Sanders di un dibattito in tv, sulla Fox, prima delle primarie in California: l’ex first lady ha spiegato di volersi concentrare su Trump, che sarà suo avversario l’8 Novembre nell’Election Day; quasi per ripicca, il senatore (“deluso”, ma non “sorpreso” dal no al dibattito) ha allora chiesto la riconta dei voti nel Kentucky, dove, la scorsa settimana, Hillary vinse le primarie d’un soffio. (fonti vv – gp)

martedì 24 maggio 2016

Usa 2016: Trump, mancanza d'esperienza preoccupa americani

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 24/05/2016

Donald Trump è sulla cresta dell’onda, ma sei elettori americani su 10 (il 61%) sono preoccupati per la mancanza di esperienza del magnate dell’immobiliare a livello militare e di governo; ed oltre il 40% giudica negativamente il fatto che lo showman sarebbe il primo presidente della storia che non ha fatto il servizio militare – come Bill Clinton e Barack Obama - e non ha neppure svolto alcun incarico pubblico.

Son alcuni dati dell’ultimo sondaggio WSJ/Nbc, in questa stagione in cui i rilevamenti sono volatili e spesso contraddittori. Solo il 5% degli intervistati è entusiasta del curriculum di Trump e della sua storia professionale. Hillary Clinton raccoglie giudizi migliori per la gestione della politica estera e la sua capacità di fare il ‘comandante in capo’. Trump è invece considerato più capace per condurre l'economia e i rapporti con Wall Street.

Contro il battistrada repubblicano, scende in campo anche l'ex presidente e Nobel per la Pace Jimmy Carter: denuncia una rinascita del razzismo negli Usa, sostiene il presidente Barack Obama e accusa Trump di dare voce alla nuova ondata razzista. Carter, 91 anni, spiega che l'elezione di Obama ha suscitato una forte reazione da parte della destra ostile a un nero alla Casa Bianca e accusa Trump di violare i diritti umani quando parla degli immigrati messicani come criminali e quando vuole vietare l'ingresso negli Usa ai musulmani. (fonti vv – gp)

35 anni di dichiarazioni delle tasse ‘segrete’ - L'ultima dichiarazione dei redditi di Donald Trump di dominio pubblico, prima di quella 2016, risale a 35 anni or sono: il magnate pagò zero di tasse. Un rapporto del 1981 dell'autorità del New Jersey che sovrintende al gioco d'azzardo rivela che l’imprenditore di Manhattan utilizzò per almeno due volte a fine Anni Settanta un artificio fiscale che consentiva ai costruttori di riportare un reddito negativo. Lo scrive il NYT.

La vicenda è remota, ma rischia di imbarazzare il candidato ‘in pectore’ repubblicano, che spesso attacca i manager per l'uso di scappatoie per evitare di pagare le tasse. Tanto più che lo showman non intende rendere pubblica la sua dichiarazione dei redditi finché non si concluderà l'accertamento in corso, alimentando i sospetti di elusione o irregolarità e finché non sarà obbligato a farlo. Nel contempo, il magnate conferma che il suo patrimonio vale "molto più di 10 miliardi di dollari", smentendo le stime al ribasso della stampa. (ANSA)

Un delegato poco raccomandabile - Un delegato di Trump del Maryland è stato incriminato: è accusato di trasporto illegale d’esplosivi, possesso illegale di mitragliatrice e pornografia infantile. Secondo fonti di stampa, Caleb Andrew Bailey, 30 anni, di Waldorf, subito dopo l’incriminazione è stato cancellato dalla lista dei delegati e – dice una fonte del partito - “immediatamente sostituito". Bailey rischia fino a 50 anni di carcere. (ANSA)

Pace fatta con Megyn Kelly - Trump ha fatto pace con la giornalista di Fox News Megyn Kelly, con la quale ebbe uno scontro con strascichi nel primo dibattito tv fra i candidati repubblicani, da lei moderato nello scorso agosto. L'allora outsider protesto, in modo volgare e allusivo, per le domande della giornalista ritenute faziose. La Fox, rete conservatrice di Rupert Murdoch, si schierò in difesa della Kelly. Ora, i due si sono incontrati per un'intervista e hanno seppellito l'ascia di guerra. Anzi, Trump, secondo alcuni media, ha quasi flirtato con la giornalista. (ANSA)

lunedì 23 maggio 2016

Usa 2016: sondaggi, nella media Trump per la prima volta davanti a Hillary

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 23/05/2016

Per la prima volta, il candidato repubblicano ‘in pectore’ alla Casa Bianca Donald Trump supera, nella media dei sondaggi, la battistrada nella corsa alla nomination democratica Hillary Clinton: secondo RealClearPolitics, il magnate dell’immobiliare è ora davanti all’ex first lady con il 43,4% delle intenzioni di voto contro il 43,2%. Il divario di 0,2 punti percentuali è statisticamente irrilevante, considerato il margine d’errore dei rilevamenti, ma finora solo alcuni singoli sondaggi avevano dato Trump in vantaggio su Hillary.

Il week-end è stato denso di indicazioni elettorali. Per WP/Abc, i due probabili avversari sono visti sfavorevolmente ciascuno dal 60% dei potenziali elettori, mentre per WSJ/Nbc l’ex first lady batte il magnate di tre punti, ma il senatore Bernie Sanders, che ancora le contesta la nomination, lo batte di ben 15 punti.

In un’intervista alla Nbc, la Clinton è stata molto conciliante con Sanders, riconoscendogli il diritto di continuare la sua corsa, ma insistendo sulla necessità di concentrare l’attenzione su Trump, che “non è un candidato normale” e che “pone pericoli” agli Stati Uniti. In un’intervista alla Cnn, l’ex first lady ha ripetuto che il magnate "non è qualificato" per la Casa Bianca: "Quando si corre per la presidenza degli Stati Uniti, il mondo guarda e ascolta … Quando di dice che si vogliono bandire tutti i musulmani, si mandano messaggi al mondo musulmano, ai terroristi … Trump viene usato come un reclutatore che convince persone a unirsi alla causa del terrorismo".

Considerazioni analoghe sono venute da Jeff Bezos, proprietario di Amazon e del Washington Post, già nel mirino degli attacchi di Trump: "Non si comporta in modo appropriato per un candidato alla presidenza". Ma nonostante le critiche dei democratici e le riserve all’interno del suo stesso partito, lo showman, che continua a godere di una eccezionale copertura mediatica, continua a conquistare consensi. E attacca il presidente Barack Obama perché “gioca a golf tutto il giorno”, mentre a lui tocca fare la fila negli aeroporti che sono “un totale disastro” dal punto di vista della sicurezza perché manca personale.

Il NYT scrive che Trump deve raccogliere almeno un miliardo di dollari per la campagna d’autunno dopo le convention di fine luglio e osserva, dopo avere contattato 50 potenziali donatori, che molti manifestano “un senso di disprezzo e di sfiducia verso il candidato” senza precedenti. Una dozzina d’intervistati non intendono né dare né raccogliere soldi per Trump – e uno ha chiaramente detto che voterà Hillary -; solo nove si sono chiaramente pronunciati per il magnate; tutti gli altri non si sono sbilanciati.

Un passo verso Trump lo ha invece fatto il premier britannico David Cameron, che ammette alla Itv di poterlo incontrare, se diventerà il candidato repubblicano, pur confermando di ritenerne “molto pericolosi” i commenti sui musulmani. (fonti vv - gp)

domenica 22 maggio 2016

Europa: trent’anni fa moriva Altiero Spinelli, l’idea resta viva, l’Unione rantola

Scritto per Media Duemila.it il 20/05/2016 e, in versione diversa, per il blog de Il Fatto Quotidiano il 22/05/2016

Trent’anni fa, il 23 maggio 1986, moriva Altiero Spinelli, uno dei padri dell’integrazione europea. In questi giorni, federalisti ed europeisti lo ricordano e lo commemorano con una serie d’iniziative, a Ventotene, l’isola dove fu confinato dal regime fascista e concepì il suo Manifesto, a Roma e Milano e in una ventina d’Atenei italiani, a Bruxelles e altrove in Europa.

Appuntamenti che non sono peana all’Unione, ma sono l’occasione per discutere, in chiave critica, il difficile momento dell’integrazione e rileggere la distanza tra la visione dei padri dell’Europa e l’interpretazione e l’attuazione che ne danno i leader odierni. E i giovani – lo vedremo – condannano le Istituzioni dell’Ue. Tra difficoltà economiche e flussi dei migranti, l’Unione rantola alla ricerca d’un respiro ideale che gli egoismi nazionali soffocano.

Proprio lunedì 23, almeno venti sedi universitarie italiane e scuole ed enti culturali in tutto il Paese hanno organizzato la lettura in contemporanea di brani politici e letterari di Spinelli. Docenti, studenti e pubblico presente potranno seguire una video intervista di Guy Verhofstadt, europarlamentare ed ex premier belga, animatore dello Spinelli Group di Bruxelles, che conferma l'importanza e l'attualità europee del messaggio spinelliano.

L'evento è organizzato e coordinato dalla rete 'L'Università per l'Europa, Verso l'Unione politica', creata dal professor Francesco Gui, e da Movimento Federalista Europeo e Gioventù Federalista Europea, con l'ausilio del Consiglio Italiano per il Movimento Europeo, dell'Istituto Affari Internazionali e dell'Associazione Universitaria Studi Europei.

Le sedi universitarie coinvolte sono La Sapienza Università di Roma, dove ci saranno il rettore, professor Eugenio Gaudio, e l’ex presidente del Consiglio italiano, oggi giudice costituzionale, Giuliano Amato, e le Università di Torino, Genova, Milano, Pavia, Padova, Udine, Pisa, Bari – sede di Taranto -, della Calabria, della Tuscia e dell'Insubria.

Nel fine settimana, federalisti ed europeisti si ritrovano a Ventotene per due giorni di dibattiti, incontri, flash mob, visite all’ex carcere di Santo Stefano e al cimitero comunale dov’è sepolto Spinelli. L’intera manifestazione va sotto il titolo “’La via da percorrere non è né facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà’, l’Unione europea trent’anni dopo Altiero Spinelli”.

Nello stesso clima di ricordo, ma pure di proposta, s’è svolto in settimana a Roma e s’è poi ripetuto a Lecce un ‘Processo all’Europa’ indetto dal Consiglio italiano del Movimento europeo e imbastito a partire da capi d’accusa formulati dagli studenti dei licei Tacito di Roma ed Alberti di Minturno sui temi della risposta europea al fenomeno migratorio e alla minaccia terroristica e della mancanza d’attenzione alla solidarietà: a fare da pm, gli studenti, mentre la difesa era affidata a personalità dalla lunga esperienza politica europea.

Al termine del dibattimento, la giuria popolare, composta da studenti e presieduta da Ugo Ferruta, giudice di pace e vice-presidente del Movimento europeo internazionale, ha condannato all’unanimità Consiglio europeo e Commissione europea (e pure, riconoscendole delle attenuanti, l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune). Il Parlamento europeo è stato invece assolto.

A trent’anni dalla morte di Spinelli, e a quasi 60 dalla firma a Roma il 25 marzo 1957 dei Trattati delle Comunità europee, il messaggio resta forte, l’attuazione ha perso slancio e convinzione, l’obiettivo s’è scolorito. E il referendum britannico del 23 giugno sulla Brexit esprimerà un verdetto ben più pesante di quello degli studenti romani e leccesi.

Usa 2016: Hillary & Bernie, rivali per nomination, alleati contro Trump

Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 22/05/2016

Storie d’amore e d’odio – ma i due termini sono entrambi eccessivi – tra Hillary e Bernie, rivali, ma non troppo, per la nomination democratica alla Casa Bianca. L’ex first lady ha la vittoria in pugno, ma il senatore del Vermont, con i suoi successi in molti Stati, ne appanna l’immagine e ne scalfisce la credibilità come anti-Trump nell’Election Day, l’8 Novembre.

Per questo, molti esponenti del partito democratico preferirebbero che Sanders si facesse da parte e altri ipotizzano un ticket fra i due, col senatore candidato vice-presidente. Ipotesi di cui la Clinton, per il momento, non intende parlare, come ha detto in un’intervista alla Cnn rilasciata a Chicago, sua città natale.

Si sa che la campagna di Hillary sta vagliando la scelta del vice, senza escludere una donna – però, improbabile -, o un ispanico, o altri. Di Bernie, l’ex fist lady dice: "Quello che ci unisce é che siamo entrambi contro Donald Trump"; e ostenta sicurezza sul fatto che sarà lei la candidata democratica ("E' una cosa fatta", perché il suo vantaggio in termini di delegati è "insormontabile”).

Sanders, inoltre, sarebbe a corto di fondi per la sua campagna elettorale: finora, ha speso circa 207 milioni di dollari, contro i 182 della Clinton. All'inizio di maggio il senatore non aveva in cassa neppure sei milioni di dollari, mentre l’ex first lady ne aveva 30, secondo la commissione elettorale federale. Ad aprile, i due avevano raccolto più o meno la stessa somma, oltre 25 milioni di dollari. Ma poi Bernie ha speso quasi 39 milioni di dollari, 15 più di Hillary: ora, la scarsità di mezzi potrebbe condizionare la sua campagna nelle primarie restanti.

Il senatore che si definisce socialista non ha però rallentato, finora, i suoi sforzi: sabato 21 maggio, era alla frontiera tra San Diego e Tijuana, in Messico, e s’è impegnato per una riforma dell’immigrazione che favorisca la riunificazione delle famiglie. Sanders ha visitato il Parco dell'Amicizia che si estende tra le due città, accompagnato da Maria Puga, vedova d’un immigrante, Anastasio Hernandez, morto sei anni fa perché picchiato selvaggiamente dagli agenti di frontiera.

"Gli Usa devono varare una riforma dell’immigrazione – ha detto il senatore -: abbiamo 11 milioni di persone che sono senza documenti e che credo meritino un cammino verso la cittadinanza: non sono a favore delle politiche di deportazione". Un messaggio chiaramente polemico con Trump ed i suoi propositi di muri e deportazioni.

Sanders, che si autodefinisce ‘socialista’, continua a propugnare posizioni di sinistra: "E' assurdo che la paga media di un amministratore delegato sia 335 volte quella media d’un lavoratore. Questo grottesco divario deve finire"; ha detto; e ancora "Gli insegnanti stanno facendo il lavoro più importante in America. Meritano rispetto e un salario migliore". (fonti vv – gp)

Video anti-Clinton diventa virale, "13 minuti di bugie" - "Tredici minuti di bugie" e retromarce, dai matrimoni gay allo scandalo delle email alla riforma sanitaria. Si sta trasformando in un incubo per Hillary Clinton un video montato ad hoc con molte sue dichiarazioni contraddittorie. Rilanciato dal Washington Post, il filmato è stato visualizzato da svariati milioni di persone e ha avuto decine di migliaia di commenti, spesso al vetriolo.

Il video si apre con il tema dei matrimoni gay e con le ultime dichiarazioni dell’ex first lady, che sostiene di essere stata "sempre coerente". Subito dopo, c’è uno spezzone di un'intervista del 2002 in cui, alla domanda "Dovrebbe lo Stato di New York riconoscere i matrimoni gay?", la Clinton risponde con un secco "no". Due anni dopo, in Senato, la Clinton insiste sul fatto che il matrimonio è un "legame tra un uomo e una donna". Ma, nel 2013, l'ex segretario di Stato in uno spot elettorale annuncia di "sostenere i matrimoni tra gay e lesbiche".

Per i successivi 10 minuti, il filmato, montato da Michael Armstrong, mette a confronto dichiarazioni della Clinton in interviste tv e radio e in conferenze stampa, compresa la deposizione sull’ ‘emailgate’ di fronte a una commissione del Senato. Obiettivo del video è dimostrare l'inaffidabilità dell'ex first lady che mentirebbe per ottenere voti. "L'unica cosa in cui è coerente è nel ripetere di essere coerente", recita un commento. (AGI – gp)