E’ un falò l’insurrezione dei conservatori moderati, tradizionali e ‘per bene’, contro la candidatura alla Casa Bianca di Donald Trump: prende fuoco subito e cresce in intensità nel giro d’una giornata. I ‘meglio nomi’ del partito – amano ricordare – “che fu di Abraham Lincoln” prendono le distanze dal magnate dell’immobiliare, che non ne rispetta né i modi né i valori.
Il coro è
talmente largo da fare pensare che il presidente del comitato nazionale
repubblicano, Reince Priebus, uno che di per sé non conta nulla, si sia spinto
troppo in là e troppo presto quando ha riconosciuto nello showman “il candidato
in pectore” e ha chiesto l’unità del partito dietro di lui.
In un’esplicita
dichiarazione alla Cnn, Paul Ryan, lo speaker della Camera, il ‘numero tre’ dell’ordinamento
costituzionale negli Stati Uniti – se il presidente e il suo vice sono
impossibilitati, assume lui il potere -, dice di non sostenere “a questo
stadio” la candidatura di Trump.
La frase di Ryan
è il culmine d’una serie di prese di distanza autorevoli: gli ex presidenti
George H. e George W. Bush, padre e figlio, fanno sapere che non andranno alla
convention repubblicano (e non ci sarà neppure Jeb, figlio e fratello degli ex
presidenti, rivale di Trump per la nomination). Mitt Romney, il candidato alla Casa
Bianca nel 2012, non “ha in programma” di essere a Cleveland a luglio. E il
candidato nel 2008 John McCain dice che la candidatura Trump potrebbe
coincidere con la fine della sua carriera politica (è senatore dell’Arizona e
sta facendo campagna per il rinnovo del mandato, ma il suo elettorato ispanico
è ostile al tycoon che vuole costruire un muro tra Usa e Messico).
Alla Cnn, Ryan
dice: "No, al momento non posso sostenere Trump … Deve fare di più per
unificare il partito … I conservatori vogliono sapere se condivide i nostri
valori". Ryan spera “di potere sostenere il candidato repubblicano”, ma “non
siamo ancora a quel punto".
Ryan, che fu
candidato alla vice-presidenza nel 2012 con Mitt Romney, è stato da più parti
indicato come l’asso nella manica del partito da giocare in una ‘convention
aperta’, dove, cioè, nessuno arrivi con la maggioranza dei delegati. Ma lui ha
sempre rifiutato questo ruolo.
Trump non ci
mette molto a ribattere: "E io non sono pronto a sostenere" l'agenda
dello speaker. Tra i due, le scintille non sono mancate in questa campagna e –
avanti così - altre ce ne saranno.
Ma, fra i
repubblicani, c’è pure chi salta sul carro del vincitore, che, a sua volta, non
chiude la porta all’ipotesi di scegliersi come vice Ted Cruz, il senatore del
Texas che è stato il rivale più agguerrito nelle primarie. Rick Perry, ex
governatore del Texas, altro aspirante alla nomination, ritiratosi prima che si
cominciasse a votare, si propone come vice; e Chris Christie, governatore del
New Jersey, anch’egli aspirante alla nomination, ma ritiratosi presto, e già
passato dalla parte di Trump, si offre come paciere tra il partito e il
magnate. (gp)
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