Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 16/05/2016
Fermenti
nei due maggiori partiti Usa, nonostante la scelta dei candidati alla Casa
Bianca appaia ormai fatta: più forti fra i repubblicani, più sottili fra i
democratici, dove aumentano le pressioni perché Bernie Sanders, il rivale di
Hillary Clinton, si ritiri dalla corsa, dando così la possibilità all’ex first
lady e a tutto il partito di concentrare forze e attenzione contro il rivale
conservatore. Intorno al senatore del Vermont c’è, però, generale rispetto e
diffusa simpatia: la sua figura non mina l’unità sostanziale del fronte
progressista.
Nulla al
confronto delle manovre di cui ancora si parla fra i repubblicani per bloccare
la candidatura del magnate dell’immobiliare, che, dal canto suo, già agisce da
candidato alla Casa Bianca e, qualche volta, da presidente: prepara la scelta
del suo ‘vice’; compila liste di proscrizione di quanti non vorrà più vedersi
intorno una volta eletto; annuncia il licenziamento della presidente della Fed Janet
Yellen; stila una short list di possibili giudici della Corte Suprema, come se
dovesse designare lui il successore di Antonin Scalia; e redige programmi di
politica estera.
Se il
presidente del comitato nazionale del partito repubblicano Reince Priebus s’è ormai
arreso all’evidenza della vittoria di Trump nelle primarie e dice che il
candidato ‘in pectore’ sta sforzandosi di agire “in modo più presidenziale”,
c’è chi non si dà per vinto e cerca ancora alternative, mentre la tregua tra lo
showman e lo speaker della Camera Paul Ryan non s’è ancora tradotta in un endorsement
formale.
Il
Washington Post riferisce, citando fonti interne al partito repubblicano, che
alcuni esponenti conservatori moderati, esasperati da Trump e capeggiati da
Mitt Romney, il candidato nel 2012, stanno guardandosi intorno alla ricerca di
opzioni credibili: i loro sforzi si sarebbero intensificati dopo il 4 maggio,
cioè dopo che Trump è rimasto solo in corsa per la nomination, essendosi
ritirati Ted Cruz e John Kasich, i suoi ultimi rivali superstiti. C’è, infatti,
la consapevolezza che gli sforzi devono eventualmente concretizzarsi prima che il
magnate raggiunga la soglia dei delegati necessaria per garantirsi la
nomination.
Fra i nomi
su cui si punterebbe, secondo il giornale, che, come il New York Times, non è
certo ben disposto verso Trump, vi sono il senatore del Nebraska Ben Sasse, un
conservatore tra i più critici verso lo showman, e lo stesso governatore dell'Ohio
John Kasich, che ha sospeso la sua campagna, ma che, fra i moderati, è stato il
più tenace anti-Trump. Personaggi di questo calibro appaiono, però, lontani
dalla popolarità e dalla riconoscibilità nazionali necessarie per contrastare
il lanciatissimo e mediaticamente fortissimo magnate.
Il cui
cammino, però, è lastricato di polemiche e contraddizioni: il suo rapporto con
le donne, dopo la pubblicazione dell’inchiesta del New York Times; il rifiuto
di rendere pubblica la dichiarazione dei redditi; il polverone intorno all’abitudine,
che avrebbe avuto in passato, di chiamare giornalisti come se fosse il suo
portavoce, raccontando di se stesso cose positive; la decisione di sollecitare
fondi per la sua campagna dopo avere sempre detto che se la sarebbe pagato da
solo.
Su ogni fronte aperto, Trump si difende, com’è sua abitudine, attaccando. Ma, a tratti, c’è l’impressione che subisca un assedio: all’interno del partito, non da parte dei democratici. (fonti vv – gp)
Su ogni fronte aperto, Trump si difende, com’è sua abitudine, attaccando. Ma, a tratti, c’è l’impressione che subisca un assedio: all’interno del partito, non da parte dei democratici. (fonti vv – gp)
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