Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 30/05/2017
I sondaggi lo danno in spinta. Ma il New York Times,
che proprio non gli è amico, racconta che la campagna presidenziale di Donald
Trump è confusa e disorientata: lo stile di gestione tipico del magnate, che
funziona negli show televisivi, creerebbe addirittura un senso di paranoia
nello staff, il cui direttore politico Rick Wiley, assunto solo pochi mesi or
sono, è appena stato allontanato, senza per altro essere immediatamente
sostituito.
Le ricostruzioni dei media sulla separazione tra Trump
e Wiley non sono univoche. C’è chi parla di disaccordi, mentre la versione
ricorrente dei collaboratori del candidato repubblicano è che si trattava di un
incarico a tempo determinato: "Rick Wiley era stato assunto a breve
termine come consulente - si legge in una nota -. Lo ringraziamo per averci aiutato
in questa transizione".
Il New York Times, che ha già vagliato a fondo il
rapporto tra il magnate e le donne, ricostruisce le tensioni all'interno della
macchina elettorale del candidato repubblicano, citando fonti secondo cui
alcuni membri dello suo staff sospettano che ci siano microspie nei loro
uffici.
E, fra i possibili finanziatori della campagna
presidenziale, convivono esitazioni e incertezze: c’è chi s’interroga se
contribuire e c’è chi intende farlo ma non sa come, perché mancano indicazioni
ad esempio sui super Pac – i fondi che raccolgono le donazioni - da foraggiare.
Anche se ha pubblicamente assicurato che avrebbe
adottato uno stile più presidenziale, Trump - afferma il New York Times -
continua a mostrare i limiti del suo stile di manager e di candidato. Un’altra
difficoltà viene dalla sua stessa personalità imprevedibile: un punto di forza
nei comizi, ma un handicap organizzativo. Le tensioni emergono anche dalla
difficoltà coprire incarichi chiave nella campagna, quali il direttore della
comunicazione, perché Trump vuole essere capo e portavoce di se stesso.
Affermazioni in fondo confermate dalla stessa dura
reazione di Trump all’articolo del giornale: “Il New York Times sta fallendo:
ha scritto una storia sul mio stile di gestione della campagna e sul fatto che
non ho molte persone nel mio staff. Ne ho 73. Hillary ne ha 800 e la sto
battendo”, ha scritto su Twitter. E ancora: “Non credete ai media che citano
fonti interne alla mia campagna … Le uniche affermazioni che contano sono le
mie”. E della stampa critica dice: “E’ bugiarda”.
Secondo i critici interni, il magnate dimentica che le
primarie sono finite e che l'attenzione deve essere ora tutta sul voto di
novembre. Di qui, il ripetersi di incidenti di percorso e il persistere di toni
conflittuali nei comizi: contro il giudice che indaga a San Diego sulla sua
Università, ‘colpevole’ di essere di origine messicana; e, più in generale,
contro quanti lo contestano. Giorni fa, commentando gli incidenti fuori da un
suo meeting ad Albuquerque, New Mexico, ha scritto: “I contestatori erano
delinquenti che sventolavano la bandiera messicana … criminali!”.
Con l’effetto che, intorno a lui, cresce il consenso
del ‘popolo di Trump’, ma anche l’ostilità d’interi gruppi etnici, oltre che di
intellettuali, ‘liberal’ e moderati. Ancora ieri, il magnate, prendendosela con
Hillary che “non può essere presidente” perché “vuole abolire” l’emendamento
della Costituzione che tutela il diritto ad avere armi, ha pure attaccato il
marito Bill, l’ex presidente, perché fu l’artefice dell’area di libero scambio
con Canada e Messico (Nafta), “il peggiore accordo mai firmato”, rilanciando la
sua idea di muro più alto sul confine.
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