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venerdì 28 dicembre 2012

Usa: fiscal cliff, Obama e gli americani sull'orlo del baratro

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/12/2013

Washington – Gli Stati Uniti hanno 96 ore per evitare di cadere nel ‘fiscal cliff’, il baratro fiscale.
C’è la convinzione che l’Amministrazione democratica e l’opposizione repubblicana, in extremis,
troveranno un’intesa, perché nessuno ha interesse a precipitare di nuovo il Paese nella recessione.
Ma questa fine 2012 è carica di tensioni politiche, economiche, finanziarie come poche altre volte
nella storia americana.

Ieri sera, il presidente Barack Obama, di ritorno a Washington, dopo una vacanza di Natale breve
alle Hawaii, ha inviato al Congresso un nuovo piano per sbloccare il negoziato sul contenzioso che
tocca bilancio, fisco, deficit e debito: l’obiettivo è evitare all’Unione una cura d’austerità forzata
dall’inizio di gennaio, con più tasse per tutti e minori servizi sociali.

Al suo arrivo alla Casa Bianca, poco prima di mezzogiorno, Obama ha trovato la stessa situazione
che aveva lasciato alla sua partenza cinque giorni or sono: i negoziati con il leader dei repubblicani
alla Camera John Boehner sono a un punto morto. Ma le linee di comunicazione restano aperte –ed
è buon segno-: prima di lasciare le Hawaii, Obama ha telefonato a Boehner.

In attesa delle mosse del presidente, i politici si rimpallano le responsabilità. Boehner ha congedato
i deputati, alle ultime battute del loro mandato –il nuovo Congresso, uscito dall’Election Day del 6
novembre, si riunirà il 7 gennaio-, avvertendoli, però, di tenersi pronti a tornare a Washington con
un preavviso di 48 ore.

Lo speaker della Camera, dove i repubblicani sono in maggioranza, sostiene che tocca al Senato,
controllato dai democratici, fare la prossima mossa, pronunciandosi su una serie di misure già
approvate dai deputati. Ma il capogruppo dei democratici al senato Harry Reid non la vede così:
addossa a Boehner la responsabilità dello stallo e constata che “stiamo per finire nell’abisso e la
Camera non è neppure riunita”.

Il presidente, forte della sua rielezione e dei picchi di popolarità nei sondaggi, giudica “squilibrate”
le posizioni dei repubblicani, che non vogliono chiedere maggiori sforzi ai contribuenti più ricchi e
puntano ad attaccare il deficit soprattutto riducendo le spese. Ma Obama è conscio della necessità di
riequilibrare i conti pubblici, dopo quattro esercizi di crisi consecutivi in cui il deficit ha superato i
mille miliardi di dollari, cioè il 10% del bilancio. Il presidente vuole, però, farlo facendo pagare più
tasse a tutti i contribuenti con un reddito superiore ai 250mila dollari, accettando, nel contempo, di
rinnovare gli sgravi concessi dal suo predecessore George W. Bush al 98% dei contribuenti.

Se non ci sarà l’intesa, le imposte di tutti gli americani aumenteranno bruscamente dal 1.o gennaio:
in media, 2.200 dollari l’anno in più per ogni nucleo familiare, secondo i calcoli della Casa Bianca.
E, contemporaneamente, scatteranno drastici tagli della spesa pubblica, in particolare nel settore
della difesa, come democratici e repubblicani avevano già concordato nel 2011. E’ una prospettiva
che pesa, in queste ore, sul morale dei cittadini: il tasso di fiducia è diminuito per il secondo mese
consecutivo; e quando il morale è basso manca l’ottimismo che è un motore di ripresa e crescita.

E, come se non bastasse, il litigio sul disavanzo di bilancio s’intreccia con quello sull’ammontare
del debito, che, proprio lunedì 31 dicembre, raggiungerà il tetto massimo concordato tra Camera e
Senato. Il segretario al Tesoro Timothy Geithner, che non resterà con Obama nel secondo mandato,
ha già annunciato “misure eccezionali” da attuare “al più presto” per evitare rotture nei pagamenti:
insomma, quel ‘default’ che pareva un incubo greco è pure una minaccia americana. La situazione
non è inedita: s’era già presentata un anno fa. E, certo, il modo per uscirne c’è: aumentare il tetto
del debito, che è una pura convenzione politica. Ma, prima, bisogna che il contenzioso sul tasse e deficit s’appiani.

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