Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/11/2013 e pubblicato sul blog
E’ finita come
tutti sapevano da giorni, e forse da sempre, che sarebbe finita: l’Ucraina e
l’Armenia non firmano l’accordo di associazione con l’Ue. Su Kiev e Erevan, i
niet di Mosca pesano più delle lusinghe, neppur troppo insistite, di Bruxelles.
Invece, la Georgia, dimezzata nella propria sovranità dalla guerra del 2008, e
la Moldavia firmano.
Ma il pesce
grosso del Vertice a Vilnius tra l’Ue e i suoi vicini dell’Europa orientale era
l’Ucraina, gigante economicamente fragile per i suoi bisogni energetici e
democraticamente incerto, che dopo lo smembramento dell’Urss nel 1991 oscilla
come un pendolo tra l’Ue e la Russia.
Così, quello
che, nelle parole di un alto diplomatico ucraino a Roma, doveva essere il
giorno più importante per l’Ucraina dall’Indipendenza, resta una tacca in più
nella teoria dei giorni della soggezione a Mosca. E il presidente della
Commissione di Bruxelles Manuel Barroso sceglie l’occasione sbagliata per
annunciare la fine in Europa “della sovranità limitata”.
Certo, le porte
non sono chiuse: l’accordo si può ancora firmare, magari nei prossimi mesi, o
chi sa quando, ma solo dopo essersi seduti al tavolo in tre, Ue, Ucraina e
Russia, a valutare pro e contro. E il presidente ucraino Yanukovich, più amico
di Putin che di Barroso, pone condizioni: “Vogliamo firmare, ma con un
pacchetto d’aiuti”.
Che il Vertice
di Vilnius non sarebbe stato un successo, lo si era capito senza ombra di
dubbio una settimana fa. E la visita in Italia del presidente russo Putin aveva
solo portato conferme in tal senso: la Russia è di nuovo il grande orso della
politica internazionale e cerca di tenersi stretto il barattolo di miele di
quei brandelli d’Impero sovietico che ancora le restano attaccati, se non altro
perché dipendono dalle sue forniture di gas e petrolio.
Eppure l’Ue per
blandire Ucraina aveva calcolato un po’ generosamente in punti di pil i vantaggi
dell’accordo. Non è bastato. Il balletto di richieste e rifiuti sulla sorte
della Tymoshenko, che sconta in carcere una condanna dai contorni politici, è
diventato una foglia di fico ‘double face’, la difesa dei diritti dell’uomo
contro la difesa della sovranità.
I Grandi dell’Ue
erano giunti a Ue già rassegnati: la Merkel, che ci tiene, e Hollande e
Cameron, cui in fondo non importa molto. Il premier italiano Enrico Letta
sarebbe quello più preoccupato, se non ci fossero le beghe interne a turbarlo
molto di più: adesso, c’è il rischio che il triangolo irregolare delle
relazioni Bruxelles–Kiev–Mosca complichi la presidenza italiana del Consiglio
dei Ministri dell’Ue, dal 1.o luglio 2014, se la Grecia non riuscirà, ammesso
che ci provi, a mettere insieme prima i cocci di Vilnius.
Per il momento,
il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy dà appuntamento a gennaio,
quando ci sarà l’incontro Ue-Russia: anche per l’Unione la vita e dura senza il
gas della Gazprom, anche se "l'Ue continuerà a dire che l'influenza della
Russia contrasta col diritto internazionale".
Letta è
circospetto. Parla di un Vertice in chiaroscuro e snocciola considerazioni
ovvie e corrette: l’Ucraina "deve avere la possibilità di scegliere";
l'Ue "non vuole minimamente forzare la mano”, ma neppure la Russia deve
farlo; la contrapposizione tra Bruxelles e Mosca “non aiuta nessuno”; bisogna
evitare “l’errore storico” di tenere fuori dall’Ue una fetta d’Europa; la
battuta d’arresto “è figlia dei sospetti” della Russia. Ma i Baltici, che Mosca
e pure Kiev le conoscono bene e non le amano, dicono che le pressioni di Mosca
sono una scusa: Kiev segue l’istinto e fiuta un affare più grande.