Scritto per La Voce della CRI e come appunti per interventi radiofonici il 22/11/2013
50 anni fa, il
22 novembre 1963, venne ucciso a Dallas il presidente Kennedy: l’evento è stato
rievocato da tutti i media, in questi
giorni. L’assassinio di John Fitzgerald
Kennedy, destinato a conservare un alone di mistero, sui moventi, gli autori,
le circostanze, segnò un’epoca: tutti lo sanno. Ma non tutti sanno che fu pure
un momento topico per l’etica giornalistica.
Al seguito del
presidente e della first lady Jacqueline
Bouvier, c’era –quel 22 novembre- un pool di tre giornalisti: uno dell’Associated
Press, la Ap, uno della United Press International, la Upi, all’epoca
antagonista della Ap, e un cronista della Npr, la radio pubblica Usa.
La sequenza
delle immagini, pur tremula, è ben fissa nella memoria: dopo gli spari, l’auto
presidenziale parte a tutta velocità, seguita dall’auto immediatamente dietro
del Secret Service, la polizia che assicura la protezione del presidente.
L’auto ancora dietro è quella del pool: a bordo, con il collega della radio,
Jack Bell, Ap, e Merriman Smith, Upi.
Smith è il
decano dei corrispondenti dalla Casa Bianca: segue il presidente per la Upi da
oltre vent’anni, sin dai tempi di Franklin Delano Roosevelt. Un giornalista da
cui guardarsi, grintoso, che quando s’accaparra una notizia lo fa in modo
deciso e senza troppi riguardi. E se c’è un collega che Smith non può
sopportare è proprio Bell, l’uomo della concorrenza (tra Upi e Ap è corsa a
dare per primi la notizia sul filo dei secondi). La loro inimicizia è solida: data dal 1948.
Sulla loro auto
nel corteo presidenziale, c’è un –rarissimo, per l’epoca- radio telefono: Smith
e Bell hanno un accordo che prevede l’alternanza delle chiamate. Il telefono in
quel momento tocca a Smith, che chiama subito la Upi per dettare la notizia: al
passaggio del presidente, sono stati uditi dei colpi che parevano di arma da
fuoco e l’auto di Kennedy s’è allontanata a tutta velocità. Smith non dà la
notizia che Kennedy è stato ferito e che c’è stato un attentato perché non sa
che cos’è successo. La stessa telefonata con informazioni analoghe la fa Bell.
I giornalisti
arrivano all’ospedale nel momento in cui il presidente è già stato soccorso: un
agente del Secret Service riferisce che Kennedy è stato raggiunto da colpi di
arma da fuoco ed è morto. Smith non si fida e trasmette alla Upi la notizia che
il presidente è stato ferito in modo grave, forse letale. Subito dopo, invece
di lasciare il telefono a Bell, lo sradica letteralmente dalla postazione in
cui è alloggiato. A quel punto, Bell, imprecando, si precipita fuori dall’auto
e cerca di dare a sua volta la stessa notizia, mentre Smith resta sul posto,
trova un’altra fonte, che gli conferma la morte di Kennedy, e riesce a
trasmettere un dispaccio che, nella sua sinteticità, è entrato nella storia del
giornalismo: “Kennedy è morto”.
La Upi lo
trasmette subito, facendolo precedere da 17 scampanellii, il numero massimo,
utilizzato fino ad allora solo per l’attacco di Pearl Harbor, il 7 dicembre
1941. Allora, le telescriventi erano molto rumorose e i giornalisti non le
volevano nella stanza in cui lavoravano: le tenevano in un locale accanto e,
perché sentissero quando arrivava una notizia importante, le agenzia la
facevano precedere da uno scampanellio.
Quel 22
novembre, fu un giorno triste per l’America e per l’Umanità. Ma fu un gran giorno
per la Upi, che annichilì la concorrenza. L’anno dopo, Smith vinse il Pulitzer,
il massimo premio per i giornalisti
americani; tre anni dopo, ricevette la medaglia della libertà, la massima
onorificenza civile degli Stati Uniti. Bell venne, invece, licenziato dalla Ap,
nonostante fosse un giornalista di lunga esperienza e di buon valore.
Quando
m’interrogo sull’etica del giornalismo, rievoco sempre il trionfo di Smith,
cattivo e scorretto, ma che dà per primo la notizia giusta e grossa. Anche se,
poi, la storia farà giustizia di quel torto: l’Ap è sopravvissuta a
quell’episodio ed è oggi la maggiore e la migliore agenzia di stampa mondiale,
mentre la Upi ha conosciuto un viale del tramonto tristissimo.
Certo, oggi il
mondo dell’informazione è ben diverso da quello di Smith e Bell: la
televisione, internet, i social media, le ‘rivoluzioni’ si sono succedute e
accelerate, tecnologiche e, a seguire,
professionali. E pure il Mondo è cambiato: multipolare e non più bipolare,
globale e non più nazionale, assai più multietnico e multiculturale.
Ma l’essenza
dell’etica del giornalismo, ridotta all’osso e semplificata al massimo, resta
quella di non raccontare frottole e di farlo nel modo più tempestivo, più
completo e più accurato possibile. Tutte regole che Smith osservò, in quella
successione di dispacci entrata nelle scuole di giornalismo: fu odioso e
umanamente abietto, ma fu un buon giornalista ...
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