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venerdì 29 ottobre 2010

Corruzione: non c'è del marcio in Danimarca; in Italia sì

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/10/2010

Per una volta, non c’è del marcio in Danimarca, con buona pace di Amleto e di Shakespeare, che mette la battuta in obba a Marcello, Atto I, scena V. Anzi, è esattamente il contrario: non c’è posto al mondo dove la corruzione attecchisce di meno che in Danimarca, pari merito con Nuova Zelanda e, oihbò, Singapore, città Stato dove pure la cicca per terra è reato. Lo dice la classifica dell’indice di percezione della corruzione calcolato da Transparency International, l’ente che da 15 anni misura le sensazioni di manager, imprenditori e analisti politici, basandosi soprattutto su notizie dei media e sondaggi indipendenti.

Dietro i tre Paesi sul podio, Finlandia e Svezia e poi il Canada. E l’Italia? Sta a metà classifica, 67.a su 178, con un balzo indietro di quattro posti rispetto al 2009, giusto dietro il Rwanda –possibile?- e davanti alla Georgia –beh, almeno questo!-, quart’ultima fra i 27 dell’Ue –dopo, solo Romania, Bulgaria e Grecia. In coda, ultimissimi, Birmania, Afghanistan e Somalia. Se 10 è il voto massimo, tre quarti dei Paesi ‘misurati’ non vanno sopra il 5.

I criteri e il calcolo dell’indice possono anche essere contestati, ma fare spallucce è difficile. Che l’Italia (3,9) non sia un Paese virtuoso, dal punto di vista della corruzione, ci sorprende poco. L’ultimo anno –nota Transparency International- è stato segnato dal riemergere di episodi sospetti, a tutti i livelli di governo e trasversali a tutti gli schieramenti politici”. E se un metro di giudizio è il clamore che ne fa la stampa, non stupisce neppure che il Rwanda stia davanti all’Italia, dove, almeno, i giornali strillano quando qualcuno è preso con la bustarella in mano.

Fra i 36 Paesi industrializzati che hanno firmato la convenzione anti-corruzione dell’Ocse, che proibisce, in particolare, di ‘foraggiare’ funzionari stranieri, una ventina, fra cui Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, tutti tra il 20.o e il 25.o posto, fanno come i gamberi. La Russia viaggia verso il fondo della classifica la Cina, che pure manda a morte i corrotti, non è messa bene.

Ma che cos’è che rende così virtuosa la Danimarca (9,3), la più vicina a noi dei Paesi in vetta? Uno può metterla sull’etnico-filosofico-religioso: quelli sono scandinavi, per quanto del Sud, gente tetra, che per divertirsi al massimo si ubriaca –tutti e cinque i Paesi Nordici stanno fra i primi 11-; e poi che cosa vuoi aspettarti da un popolo che ha prodotto, come massime glorie culturali, due ‘mattoni’ come il filosofo Soeren Kierkegaard e il regista Carl Theodor Dreyer; e poi, peggio ancora, sono protestanti, luterani, hanno la fissa che il paradiso bisogna guadagnarselo in terra e, magari, poi scopri che non serve a nulla perché c’è la predestinazione.

Tutto (quasi) vero, detto un po’ frettolosamente. Ma non è mica solo questo. In Danimarca, organizzazioni pubbliche e private sottoscrivono iniziative contro la corruzione e tutti prendono molto sul serio la Convenzione contro la corruzione delle Nazioni Unite e quella dell’Ocse. Perché non è che al Mondo manchino leggi contro la corruzione: il fatto è che pochi le fanno rispettare. Invece, la Danimarca ha una forte tradizione di trasparenza negli scambi e negli investimenti e ha norme efficaci di solito ben applicate. Inoltre, le autorità di Copenaghen hanno creato e incoraggiato un sistema giudiziario forte e indipendente, che tutela la priorità e vigila sulla correttezza delle pratiche commerciali e imprenditoriali.

C’è, visitabile su internet, tutto in inglese, un ‘portale degli affari’ contro la corruzione, che certifica le buone pratiche, ad esempio, dell’Agenzia per lo sviluppo Danida, dell’Agenzia per il credito all’export, dell’ente per il commercio, del fondo per l’industrializzazione del Terzo Mondo. La Confindustria danese pubblica un manuale anti-corruzione per i suoi membri, ma chiunque lo può ordinare sul web, se serve una guida per guadagnare posizioni l’anno prossimo.

Mariano A. Davies, un uomo d’affari danese, spiega: “La nostra mentalità è largamente permeata dalla tradizione culturale scandinava, la ‘legge di Jante’: modestia, precisione, senso di uguaglianza e di responsabilità danno la misura del modo di vivere dei danesi, che hanno ben presente quello che debbono, e non debbono, fare. Pochi di noi sono davvero ricchi e pochissimi davvero poveri”. C’è del marcio altrove, ma non in Danimarca.

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