Scritto per AffarInternazionali e pubblicato il 27/12/2016
L’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump il 20
gennaio e la serie scadenzata di voti politici in molti grandi Paesi europei,
forse Italia compresa, mettono sul 2017 una sorta d’ipoteca populista; e proprio
l’avanzata dell’anti-politica dall'Ue agli Usa ravviva gli interrogativi sull’asserita
generale ‘crisi strutturale’ della democrazia rappresentativa in tutto l’Occidente.
Il sì alla Brexit nel referendum britannico del 23
giugno e l’affermazione di Trump l’8 novembre, due risultati appena attenuati
dalla vittoria in Austria - nelle presidenziali del 4 dicembre -dell’europeista
verde Alexander van der Bellen, lasciano temere successi dei movimenti
populisti e nazionalisti, xenofobi e anti-Islam, euro-scettici ed anti-euro,
nella raffica di elezioni nell'Unione dei prossimi nove mesi.
Se le prime date in neretto sull'agenda 2017 sono
americane – il 9 gennaio, l’avallo del Congresso alla vittoria di Trump nelle
presidenziali, nonostante la sua rivale Hillary Clinton abbia ottenuto oltre
due milioni di voti popolari più di lui, e il 20 gennaio l’insediamento del
nuovo presidente -, gli altri giorni da appuntare sono soprattutto europei.
Va però ricordato che le crisi del Mondo, di cui Papa
Francesco ha fatto un’agghiacciante sintesi, benedicendo l’umanità a Natale,
restano aperte, senza una data di scadenza: Siria e Iraq, Yemen e Afghanistan,
le ricorrenti tensioni mediorientali tra israeliani e palestinesi, la Libia e l’arco
dell’integralismo a sud del Sahara, la Corea del Nord; e, ovunque e sempre,
l’Idra dalle cento teste della minaccia terroristica. Tutte ombre con cui
dovremo convivere ancora nel Nuovo Anno.
La
carrellata di elezioni nell’Ue
La carrellata d’appuntamenti elettorali è eccezionale:
il 2017 dell’Ue appare un percorso a ostacoli. A gennaio, il 22 e 29, ci sono
le primarie della sinistra francese in vista delle elezioni presidenziali; il
15 marzo, si vota in Olanda; il 26 marzo nella Saar in Germania; il 23 aprile,
c’è il primo turno delle presidenziali francesi; il 7 maggio, il ballottaggio
francese e si vota nello Schleswig-Holstein ancora in Germania; il 14 maggio,
si vota nella Renania del Nord – Westfalia, sempre in Germania; e, infine, il
24 settembre ci sono le politiche tedesche.
A questi appuntamenti, potrebbero ancora aggiungersi
le politiche italiane. E restano da definire tempi d’avvio e ritmi del
negoziato sulla Brexit, che, a oltre sei mesi dal referendum britannico, rimane
un’incognita: una spada di Damocle sul capo dell’Unione e della Gran Bretagna.
Di come “costruire l’Europa federale nell'era dei
populismi” si discute a Bruxelles e nelle capitali dei 28. Le famiglie politiche
tradizionali europee cercano soprattutto di stornare l’insidia populista e,
talora, avvertono la tentazione di rincorrere gli antagonisti sul loro terreno.
Dal dibattito fra europeisti, invece, emerge che chi
ancora ci crede deve unire le energie per salvare e rilanciare il progetto
d’integrazione, che, nato oltre settant'anni or sono nelle tenebre più profonde
della Seconda Guerra Mondiale, celebrerà a Roma il 25 marzo 2017 il 60°
anniversario della firma dei Trattati istitutivi delle tre iniziali Comunità
europee, la economica (Cee), quella del carbone e dell’acciaio (Ceca) e quella
dell’energia atomica (Euratom).
L’attuale processo ha perso slancio politico e ha pure
perso l’appoggio dei cittadini, che, prostrati dalla crisi del 2008 e delusi
dalle risposte dell’Ue, rimproverano all’Unione di non rappresentare, come
sperato, un frangiflutti della globalizzazione e di non gestire il flusso dei
migranti, garantendo la sicurezza.
Un modo, forse l’unico, per riscattare e fare
ripartire l’integrazione è di rinnovarla, dando maggiore legittimità
democratica all'azione politica europea e innestandovi una concreta prospettiva
federale, nella convinzione che il vero ‘sovranismo’ non è la restituzione di
sovranità ai singoli Stati, progressivamente irrilevanti, ma il conferimento di
maggiore sovranità all’Unione europea, che può avere voce in capitolo nei
consessi e nei processi internazionali.
La trasparenza e la democratizzazione sono una
priorità della Commissione europea: il presidente Jean-Claude Juncker persegue,
a tal fine, “una speciale partnership con il Parlamento europeo” e
“un’accresciuta trasparenza” quando si tratta di contatti con gli stakeholders
e i lobbisti.
I
viottoli della speranza
C’è poco da sperare che i leader dei Grandi
dell’Unione abbiano colpi d’ala europei in un contesto di sfide nazionali
incerte e aperte com'è quello del 2017. Tanto più che le presidenze di turno
del Consiglio dell’Ue sono sulla carta deboli: Malta nel primo semestre e
l’Estonia nel secondo, due piccoli Paesi, entrambi esordienti nel ruolo.
Eppure, sarebbe l’ora d’aprire viottoli di speranza e ambizione
tra le rovine di un’Unione sbriciolata nei suoi valori fondamentali - lo Stato
di diritto e la solidarietà - e marginale nelle crisi mondiali, anche
sull’uscio di casa, come la vicenda siriana dimostra.
Bisogna ridare ai cittadini il senso d’utilità di un
progetto e l’orgoglio di appartenervi. E bisogna rispondere alle domande dei
cittadini con azioni federali: gestire il flusso dei migranti e la riforma del
diritto d’asilo che diventi europeo; concedere ai migranti che ne hanno diritto
la cittadinanza europea piuttosto che quelle nazionali; e, ancora, affidare il
controllo delle frontiere esterne all’Unione, neutralizzando le reciproche
diffidenze; accelerare la promozione e la creazione d’una difesa europea,
sfruttando come opportunità le sfide lanciate da Trump ancor prima
d’insediarsi.
Infine, dare all’Europa una voce unica e forte nei
consessi internazionali, dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu al Fondo monetario
internazionale, dal G8 al G20. E migliorare la conoscenza di quanto esiste,
estendendo la pratica dell’Erasmus a licei e realtà professionali – un ‘Erasmus
dei giornalisti’ contribuirebbe, ad esempio, a un’informazione senza frontiere
e senza pregiudizi -.
L’Italia in prima fila sulla scena internazionale
Il Governo italiano del dopo Referendum e del dopo Renzi ha l’agenda zeppa di questioni politiche, a partire dalla legge elettorale, e di problemi economico-finanziari, a partire dalle angustie di MPS. Ma il premier Gentiloni e i suoi ministri dovranno subito confrontarsi con scadenze internazionali che fanno dell’Italia una protagonista del 2017.
Con Bruxelles, Roma deve affrontare il negoziato sulla legge finanziaria, senza potersi aspettare, nella fase attuale, e dopo una stagione di pugni sul tavolo e toni guasconi, particolare bonomia, nonostante che la trattativa sia affidata a un ministro, Pier Carlo Padoan, che gode di credito presso i suoi interlocutori e la cui competenza è riconosciuta.
Il fronte europeo è, però, solo uno di quelli che vedranno l’Italia impegnata: il 2017 è molto denso di responsabilità internazionali. Dal 1° gennaio, l’Italia assume la presidenza del G7, che culminerà il 26 e 27 maggio nel Vertice di Taormina – dove almeno quattro leader saranno esordienti -, senza contare le riunioni settoriali nel nostro Paese; e sempre dal 1° gennaio l’Italia ritorna nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu sia pure solo per un anno, avendo spartito il biennio con l’Olanda; e, ancora, deve preparare le celebrazioni a Roma il 25 Marzo per il 60o anniversario della Cee.
Alla guida del G7, l’Italia dovrà coordinarsi con la presidenza di turno tedesca del G20 –il Vertice sarà ad Amburgo il 7 e 8 luglio -. Nel 2018, poi, l’Italia avrà la presidenza dell’Osce, raccogliendo l’impegnativa eredità di Germania e Austria.
L’attuale delicata situazione politica e la prospettiva di elezioni anticipate potrebbero anche indurre il governo Gentiloni a fare cabotaggio in acque internazionali; ma la densità delle responsabilità lo sconsiglia. Anche se la designazione agli Esteri d’un ministro senza né esperienza né vocazione internazionale come Angelino Alfano non garantisce la conoscenza dei dossier necessaria per agire in tempi brevi.
Il Governo italiano del dopo Referendum e del dopo Renzi ha l’agenda zeppa di questioni politiche, a partire dalla legge elettorale, e di problemi economico-finanziari, a partire dalle angustie di MPS. Ma il premier Gentiloni e i suoi ministri dovranno subito confrontarsi con scadenze internazionali che fanno dell’Italia una protagonista del 2017.
Con Bruxelles, Roma deve affrontare il negoziato sulla legge finanziaria, senza potersi aspettare, nella fase attuale, e dopo una stagione di pugni sul tavolo e toni guasconi, particolare bonomia, nonostante che la trattativa sia affidata a un ministro, Pier Carlo Padoan, che gode di credito presso i suoi interlocutori e la cui competenza è riconosciuta.
Il fronte europeo è, però, solo uno di quelli che vedranno l’Italia impegnata: il 2017 è molto denso di responsabilità internazionali. Dal 1° gennaio, l’Italia assume la presidenza del G7, che culminerà il 26 e 27 maggio nel Vertice di Taormina – dove almeno quattro leader saranno esordienti -, senza contare le riunioni settoriali nel nostro Paese; e sempre dal 1° gennaio l’Italia ritorna nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu sia pure solo per un anno, avendo spartito il biennio con l’Olanda; e, ancora, deve preparare le celebrazioni a Roma il 25 Marzo per il 60o anniversario della Cee.
Alla guida del G7, l’Italia dovrà coordinarsi con la presidenza di turno tedesca del G20 –il Vertice sarà ad Amburgo il 7 e 8 luglio -. Nel 2018, poi, l’Italia avrà la presidenza dell’Osce, raccogliendo l’impegnativa eredità di Germania e Austria.
L’attuale delicata situazione politica e la prospettiva di elezioni anticipate potrebbero anche indurre il governo Gentiloni a fare cabotaggio in acque internazionali; ma la densità delle responsabilità lo sconsiglia. Anche se la designazione agli Esteri d’un ministro senza né esperienza né vocazione internazionale come Angelino Alfano non garantisce la conoscenza dei dossier necessaria per agire in tempi brevi.
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