Pubblicato da www.AffarInternazionali.it lo 07/12/2016 e, in altra versione, da la Voce e il Tempo
Dal giorno che Donald Trump ha conquistato la Casa
Bianca, pur avendo ottenuto oltre due milioni di voti popolari in meno di
Hillary Clinton, l’1,5% dei suffragi espressi, il tam-tam dei media batte lo
stesso annuncio: “Il presidente sarà diverso dal candidato”. Ora, a parte che
non si capisce come un uomo di 70 anni possa cambiare la sua indole da un
giorno all'altro, specie dopo essere stato premiato per i suoi atteggiamenti
aggressivi, sessisti, grossolani, è un fatto che tutte le scelte finora fatte inducono
a pensare esattamente l’opposto.
Prendiamo la composizione della squadra di governo, le
cui caselle Trump riempie più celermente di tutti i suoi predecessori, almeno a
partire da Ronald Reagan. Il magnate e showman snocciola nomine, che vanno
(quasi) tutte nello stesso senso: pare di stare in uno di quei film sul
razzismo dell’aristocrazia del denaro del Profondo Sud, l’Alabama di ‘A spasso
con Daisy’, o il Mississippi di ‘The Help’. Ma Steve Bannon, il
super-consigliere, megafono mediatico dei suprematisti bianchi, sarebbe a suo
agio nel Texas de ‘La Caccia’.
Le scelte cadono su ex generali e miliardari in
servizio permanente effettivo. Pochi invece i politici.
La
ricerca del segretario di Stato: ridda di nomi
Trump è ancora alla ricerca di un segretario di Stato
potabile, che gli dia credibilità internazionale e che accetti d’entrare nella
sua Amministrazione. Nelle quotazioni della stampa, i favoriti sono tre: Mitt
Romney, candidato repubblicano alla Casa Bianca nel 2012, mai in sintonia con
la campagna del magnate; Rudolph Giuliani, sindaco di New York l’11 Settembre
2001, il leader repubblicano più vicino a Trump; e David Petraeus, generale in
congedo ed ex direttore della Cia. Nessuno dei tre ha un profilo ideale: Romney
è l’anti-Trump per antonomasia fra i repubblicani; Giuliani è stato indebolito
da rivelazioni dei media su rapporti d’affari con Paesi terzi, che configurano
conflitti d’interesse; Petraeus uscì di scena nel 2012 per uno scandalo che ne
offuscò l’immagine (e l’affidabilità).
Così, la rosa dei nomi s’allarga. Il New York Times
rimette in pista l’ex ambasciatore degli Usa all’Onu John R. Bolton, un
diplomatico competente, ma rigido e scostante nell’approccio: e cita pure Jon
M. Huntsman, ex governatore dello Utah, ex ambasciatore in Cina e candidato nel
2012 alla nomination repubblicana; Joe Manchin III, un senatore democratico
della West Virginia; e, infine, Rex W. Timmerson il presidente e ceo di Exxon
Mobil. Il presidente eletto ha anche sondato il senatore del Tennessee Bob
Corker e il generale dei marines John Kelly – il figlio maggiore cadde in
Afghanistan nel 2010 -, nomi apparentemente deboli per quel ruolo.
L’eterogeneità delle ipotesi indica che la ricerca del
segretario di Stato è complessa: non è facile trovare un candidato preparato e
affidabile che accetti di lavorare al fianco di un presidente capace di creare,
in ogni momento, più o meno consapevolmente, un incidente diplomatico. Trump
rimette in discussione la distensione con Cuba, al momento stesso della morte
di Fidel Castro; intende ripristinare l’uso della tortura nella lotta contro il
terrorismo, nonostante le reticenze delle agenzie di sicurezza che ci sono già
passate; infiamma le relazioni con la Cina, rispondendo alla telefonata della
presidente di Taiwan Tsai Ing-wen (“Che male c’è?, mi ha chiamato lei”).
La
sicurezza in mano ai militari: il nodo dell’Iran
Il segretario alla Difesa è James N. Mattis, 66 anni,
generale in congedo che comandò una divisione dei Marines a Baghdad durante l’invasione
dell’Iraq nel 2003: avido lettore di storia militare, ha nomignoli come ‘il
monaco guerriero’, per il suo carattere ascetico – non è mai stato sposato -,
oppure ‘cane pazzo’. Ai suoi soldati, impone di studiare usi e costumi delle
terre dove sono mandati in missione.
Mattis guarda con preoccupazione all’Iran, ma non è
favorevole a stracciare l’accordo nucleare definito con Teheran. In merito, John
Brennan, direttore della Cia uscente, ha lanciato un monito alla futura
Amministrazione: denunciare l’intesa sarebbe “disastroso” e potrebbe aprire una
corsa agli armamenti in Medio Oriente. Ma il successore di Brennan sarà Mike Pompeo,
59 anni, deputato del Kansas, origini italiane, un Tea Party vicino al
vice-presidente Mike Pence: per lui, la priorità è l’abolizione dell’accordo
con l’Iran, perché fatto “con lo Stato principale sostenitore del terrorismo al
Mondo”.
Il consigliere per la Sicurezza nazionale sarà il
generale Michael T. Flynn, 57 anni, un democratico uscito dall’Amministrazione
Obama ed entrato nelle fila repubblicane in campagna elettorale. Come
ambasciatrice all’Onu, altra figura importante della politica estera e di
sicurezza, Trump ha scelto Nikki Haley, 44 anni, governatrice della South
Carolina, origini indiane, che non lo aveva sostenuto nella campagna. Mentre il
capo dello staff alla Casa Bianca sarà un repubblicano ‘doc’, fra i pochi ad
essergli stato vicino: Reince Priebus, 44 anni.
Tesoro,
Giustizia e altre nomine
Alcune delle nomine finora fatte vanno esattamente in senso
opposto alle promesse più improbabili del Trump candidato, a dimostrazione che
la coerenza non è una caratteristica del presidente eletto: s’era presentato
come l’incubo di Wall Street e della finanza protetta da Hillary Clinton e
sceglie due finanzieri miliardari, Steven Mnuchin e Wilbur L. Ross, al Tesoro e
al Commercio. Mnuchin, 54 anni, ha gestito gli aspetti finanziari della
campagna presidenziale, ha legami con
Hollywood e con Wall Street, ma non ha esperienza di gestione della cosa
pubblica. Ross, 79 anni, fa l’investitore ed entra in squadra, come molti altri,
perché è un grande finanziatore del partito repubblicano – suo vice è Todd
Ricketts, 46 anni, proprietario dei Chicago Cubs che hanno appena vinto il
campionato di baseball e figlio del fondatore di Ameritrade: nessuno di questi
appare in sintonia con i minatori degli Appalachi e il metallurgici della
Pennsylvania che hanno consegnato a Trump la Casa Bianca con i loro voti.
Il senatore dell’Alabama Jeff Sessions, 69 anni, sarà
segretario alla Giustizia: è favorevole all’espulsione degli immigrati irregolari
ed è contrario all’aborto ed ai matrimoni fra omosessuali. Nel suo cv, venature
razziste, costategli il posto di giudice federale, e una battuta sul Ku Klux
Klan: “Mi piacevano, ma poi ho saputo che fumano marijuana”.
Trump ha pure nominato uno dei suoi rivali per la
nomination repubblicana, Ben Carson, 65 anni, neurochirurgo nero, all’Edilizia
pubblica – va già bene che un creazionista come lui non sia finito altrove -;
Tom Price, 62 anni, deputato della Georgia, fra i critici più radicali
dell’Obamacare, andrà alla Sanità; Elaine Chao, 63 anni, origini asiatiche, già
ministro con George W. Bush, ai Trasporti; e Betsy DeVos, 58 anni, altra
miliardaria, donatrice repubblicana, all’Istruzione - vuole dare i soldi dei
contribuenti alle famiglie perché possano mandare i loro figli alle scuole
private -.
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