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martedì 29 giugno 2010

G8/G20: formule sbagliate di governance mondiale, W Onu ed Fmi

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/06/2010

Prima eravamo in pochi, a decidere i destini del Mondo. Adesso siamo forse in troppi. E né prima né dopo si riesce a combinare granchè: Vertici conclusi al minimo comune denominatore, con tutti a dire che “è stato un successo” solo perché nessuno ci ha perso qualcosa. La storia dei G8 e dei loro predecessori e succedanei, i G5, G7, G13 o G14, fino all’attuale G20, senza volere contare gli estemporanei G4 e G2, è densa di proclami declaratori senza grande sostanza.

La governance mondiale è inadeguata, nella forma e nella sostanza; e la crisi dell’economia globale non facilita la ricerca di schemi e di contenuti: acuisce l’urgenza e riduce le disponibilità a soluzioni di compromesso. Così, in Canada il G20 fallisce il test d’affidabilità più importante: Usa, Ue, Cina vi arrivano con accenti diversi e ne ripartono senza avere smussato le loro posizioni. Farla o meno, la riunione, era lo stesso.

A un certo punto, negli Anni Novanta, anche i leaders si accorsero che i loro incontri, nati per fare un po’ di “chiacchiere intorno al caminetto” e conoscersi meglio, per stabilire rapporti d’amicizia e un clima di reciproca fiducia, erano divenute un circo mediatico. Decisero di cambiare: basta ‘mega Vertici’ con i ministri degli esteri e delle finanze, ma riunioni separate (e i Summit riservati ai soli capi di Stato o di governo). Risultato, il circo mediatico s’è un po’ ridimensionato, ma, lato concretezza, poco è mutato.

Anzi, il G7 divenuto G8 con l’ingresso della Russia ha progressivamente perso quel ruolo (magari ingiusto e ingiustificato) di areopago del Mondo che aveva assunto al tramonto del bipolarismo, dopo essere stato per due giri di presidenze rotanti ‘camera di compensazione’ e anche ‘pensatoio’ delle strategie dell’Occidente. Organismo informale senza istituzioni e senza poteri decisionali veri e propri, vedeva anno dopo anno erodersi prestigio e autorità.

Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, la crisi economica, violenta e globale, imprevista dal G8 e non governata dai suoi rituali, accelerò la riflessione sugli strumenti della governance mondiale: i Grandi erano troppo pochi per decidere i destini dell’umanità (rappresentano circa un quinto degli abitanti del Pianeta); il G20, invece, riunisce i tre quarti degli abitanti del Pianeta e mette insieme ricchi ed emergenti, tutti i continenti, quasi tutti i credo politici, economici, religiosi. Ma quel che s’è guadagnato in ampiezza e rappresentatività s’è perso in coesione e capacità di convergenza.

Risultato, Toronto e la sua modestia: peggio di Pittsburgh l’autunno scorso. C’è una spiegazione: se la crisi morde, se i leader avvertono l’urgenza di decisioni, allora il Vertice può produrre accordi (o rotture). Ma se la crisi è passata, se i leader annusano lo scampato pericolo, ecco scattare il riflesso dell’acquiescenza dell’uno alle ragioni dell’altro: non farsi male reciprocamente e tirare avanti ciascuno per la sua strada.

La stampa internazionale è unanime nei giudizi negativi, mettendo in risalto che le uniche priorità condivise sono stata la riduzione dei deficit e la ripresa (ParisMatch va oltre i leader con un titolo sessantottino: “Fate la crescita, non la guerra”). Le Monde s’interroga se il G20 può davvero essere una risposta alle carenze della governance mondiale, mentre FT segnala le “proteste contro G8”, che “ha perso il suo lustro”, non da parte dei black block –ci sono state anche quelle-, ma dei vip della politica e dell’economia. El Pais vede in Toronto “una conferma della crisi della leadership mondiale”. E Irwin Steltzer sul WSJ commenta “I laeder mostrano solo debolezza”. Il NYT osserva che a vincere sono state le banche “che evitano nuovi regolamenti globali”.

Rispetto al G20, il G8 che l’ha preceduto ha fatto migliore figura, almeno sui temi politici, nucleare, Iran, Corea del Nord. Contrariamente a quella italiana 2009, la presidenza 2010 canadese dei Grandi ha praticato una sorta di respirazione bocca a bocca alla formula agonizzante: rivitalizzare il G8 è nell’interesse non solo del Canada, ma pure dell’Italia e del Giappone, i Paesi che perdono di più, in termini di prestigio e visibilità, con l’annacquamento del Gruppo nel G20. I lavori in corso sui forum della governance mondiale, in quest’anno di transizione e di ridisegno, possono ancora lasciare ai Grandi un ruolo almeno politico, visto che hanno mentalità omogenee e sono attrezzati per l’azione internazionale? Il flop di Toronto spariglia i giochi. Ma per la governance mondiale, politica ed economica, le risposte ovvie sono Onu ed Fmi: ci sono, sono universali, hanno poteri; devono solo usarli.

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