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sabato 27 agosto 2011

Libia: lo strappo tra Mr B e Gheddafi diventa un'epopea

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/08/2011

Ora che la guerra è vinta, anche se non è ancora finita, apprendiamo che il dittatore libico Muammar Gheddafi voleva “trasformare Lampedusa in un inferno” e spingeva i barconi dell’immigrazione clandestina verso l’isola avamposto dell’Italia e dell’Europa nel Mediterraneo. Parola rispettivamente del ministro degli esteri Franco Frattini e dell’ambasciatore di Libia a Roma Abdulhafed Gaddur, ormai acquisito alla causa ribelle.

In un’intervista a l’Avvenire, Frattini definisce “terribile” lo strappo tra Silvio Berlusconi e Gheddafi: il premier considerava il dittatore “un amico e l'ha poi visto uccidere donne e bambini": “amarezza”, “sdegno”, “l'amicizia si è trasformata in rabbia". I racconti caricati accentuano l’epopea italiana di questo conflitto, per aiutare a dimenticare l’imbarazzo della relazione (troppo) stretta con il regime libico.

Il match del dopo guerra tra Francia e Italia su chi sarà l’interlocutore privilegiato della nuova Libia prosegue a colpi di mosse diplomatiche, anche se i ministri Frattini e Ignazio La Russa (difesa) negano che vi sia “una gara coloniale” tra Parigi e Roma. La Francia annuncia di volere riaprire presto l’ambasciata a Tripoli, adesso che il governo di transizione vi s’è installato (e Frattini replica: “Siamo pronti pure noi”); e il presidente francese Nicolas Sarkozy progetta col premier britannico David Cameron progetta una missione a Tripoli (per Mr B, stavolta, non pare esserci posto).

Progetti tutti fluidi e incerti. La situazione in Libia non è sicura: il trasferimento del Cnt da Bengasi a Tripoli avviene con prudenza; il presidente Mustapha Abdel Jalil si sposterà solo quando non vi saranno rischi. Nella capitale, e alla Sirte, la caccia a Gheddafi continua. E va avanti, in parallelo, la caccia al tesoro: quello del colonnello, se c’è, nascosto da qualche parte nei palazzi del potere, ma soprattutto quello degli aiuti internazionali.

Mahmoud Jibril, il premier del Cnt, conferma a Istanbul, dove si riunisce il Gruppo di Contatto sulla Libia, che la sopravvivenza del Paese dipende, al momento, dallo sblocco dei beni libici congelati dalle organizzazioni internazionali e dai singoli Stati. Giovedì, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu aveva già sbloccato 1,5 miliardi di dollari per finanziare aiuti d’urgenza alla ricostruzione del Paese –un’opera la cui durata è stimata in dieci anni-. E sempre giovedì l’Italia aveva promesso l’anticipo di 350 milioni di euro sullo sblocco dei beni per fare fronte alle esigenze più immediate, come il pagamento degli stipendi –c’è chi non lo riceve da mesi- e il ripristino dei servizi di base.

Ma, anche sul fronte economico, la coesione del Cnt lascia a desiderare. Mentre Jibril fa la questua, Jalil nega che vi sia un’emergenza, dice che in Libia non manca nulla e spende parole a favore “dei Paesi che ci hanno più aiutato, cioè, Francia e Gran Bretagna tra gli europei”. All’Italia, presta più attenzione Gheddafi, che, in un messaggio audio, afferma: “La Libia non è né della Francia né dell’Italia”.

Al meeting di Rimini, Frattini ostenta fiducia: “L’Italia è e sarà il primo partner economico libico”. E bolla come “roba da colonizzatori” le affermazioni del finanziere Tarak Ben Ammar, che prevede una “grande competizione” tra le società petrolifere Eni –italiana- e Total –francese- su gas e petrolio libici.

Si solleva un velo sul ruolo della Nato di appoggio ai ribelli, andato ben oltre il mandato dell’Onu. Frattini assicura che la missione continuerà “finchè sarà necessario” -33 le missioni aeree italiane compiute nell’ultima settimana-, mentre il ministro dell’interno Roberto Maroni vuole riprendere i negoziati sull’immigrazione. C’è la convinzione che il Trattato di Amicizia italo-libicodel 2008, attualmente sospeso, tornerà presto in vigore.

Preoccupazioni per il futuro trapelano da Hillary Clinton che invita gli insorti a mostrare “fermezza verso gli estremisti”. E il sottosegretario alla difesa Guido Crosetto, controcorrente, non esclude una presenza temporanea di forze Nato sul terreno.

L’Unione africana, spesso un passo indietro rispetto alla realtà, afferma, da Addis Abeba, che il Cnt non è ancora un potere “legittimo” perché i combattimenti proseguono: il presidente sud-africano Jacob Zuma invita a formare “un governo di transizione che coinvolga tutte le parti in causa”. Invece, piovono da varie capitali i riconoscimenti del nuovo governo.

Le organizzazioni umanitarie sono all’opera per alleviare le sofferenze delle popolazioni. L’Oim sta organizzando l’evacuazione di immigrati da Tripoli verso Bengasi, mentre Amnesty International invita lealisti e ribelli a cessare torture e maltrattamenti.

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