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domenica 28 agosto 2011

Usa: Katrina peggio di Irene, Obama meglio di Bush

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/08/2011

Se George W. Bush e la destinata a divenire famigerata Fema, la sicurezza civile degli Stati Uniti, avessero preso all’arrivo di Katrina solo una frazione delle precauzioni che Barack Obama e il sindaco di New York Mike Bloomberg stanno prendendo per Irene ci sarebbero sicuramente stati centinaia di morti e un sacco di danni in meno, anche se New Orleans sarebbe uscita comunque semi-distrutta dal passaggio dell’uragano.

Nell’agosto 2005, Katrina, che fece quasi 2000 vittime e provocò devastazioni senza pari negli Usa dal 1928, superiori agli 80 miliardi di dollari, raggiunse l’intensità massima: oscillava tra forza 4 e forza 5 quando prese alle spalle New Orleans e fece tracimare le sue dighe inadeguate, battendo poi Mississippi e Alabama. Irene, che pure è mostruosamente vasto, è ormai sceso a forza 1, appena sopra una tempesta tropicale, con venti che neppure raggiungono più i 140 km l’ora: è la forza che aveva Isabel nel settembre 2003 quando arrivò su Washington, lasciando senza luce molti quartieri della capitale federale per una settimana.

Dunque, Obama, Bloomberg e tutti quanti stanno esagerando?, il gioco delle precauzioni non vale la candela dei rischi? Questo è un Paese, anzi in un Mondo, in cui la politica è schizofrenica ed è appena giunta a rimproverare al presidente di giocare a golf in vacanza mentre un terremoto faceva tremare la costa sbagliata degli Stati Uniti, quella Est, dove non te lo aspetti, come se Obama o altri i terremoti potesse prevederli. Senza contare che, per il sisma, né a Washington né a New York né altrove, non è successo assolutamente nulla, in termini di vittime e di danni: se una cosa del genere accadeva in Cile, o in Cina, manco mai avremmo saputo che c’era stato.

Perché gli uragani, come i terremoti, devono scegliere bene, se vogliono avere impatto mediatico. Gli uragani, ad esempio, contano se arrivano sugli Stati Uniti, mentre se si limitano a devastare Cuba e Haiti, o il Messico, contano solo nella misura in cui scomodano turisti occidentali. E i tifoni che stanno nel Pacifico non se li fila proprio nessuno, a parte gli allarmi per le centrali nucleari giapponesi. Gli uragani, se si scaricano sulla Florida o sull’arco di costa nord-americana dal Texas all’Alabama, o meglio ancora sulla Costa Est, hanno il successo assicurato: non c’è neppure bisogno che facciano vittime e danni come Katrina, basta che li minaccino. E subito diventano star dell’informazione.

Così, Obama e Bloomberg prendono il rischio di ‘iper-reagire’, piuttosto che quello di minimizzare. E, questa volta, le precauzioni sono davvero eccezionali: le simulazioni, a dispetto del calo d’intensità di Irene, dicono che New York potrebbe subite un’andata di due o tre metri. Il sindaco ha ordinato l’evacuazione di tutte le zone costiere e Obama, prima di lasciare l’isola delle vacanze dei ricchi e famosi, Martha’s Vineyard, dove andavano sempre i Kennedy, ha raccomandato ai suoi concittadini di attenersi alle indicazioni delle autorità.

I newyorchesi lo stanno facendo: le stazioni di servizio della Grande Mela sono a secco di benzina, tale è stato lo zelo dell’evacuazione. Gli ospedali a rischio sono stati svuotati (7000 i pazienti ‘sfollati’) e i tassisti di New York sfoderano un inconsueto senso civico: corse a tariffa fissa, per chi cerca riparo dall’uragano (250 mila hanno lasciato le loro case).

Ieri mattina, il sindaco Bloomberg ha fatto le ultime raccomandazioni, mentre già scrosci di pioggia annunciano Irene: sarà una notte pericolosa, mettetevi al riparo. Ma hotel e ristoranti con vista sull’uragano e ai piani alti di edifici robusti annunciano ‘serate Titanic’, musica, cocktail Irene e cena con show.

Questo è definito dagli esperti, tanto per mettersi al sicuro, se mai non ci azzeccassero, un uragano anomalo, più grosso che potente, ma anche relativamente imprevedibile. Il presidente ha già firmato lo stato di emergenza per alcuni Stati, fra cui quello di New York: un modo per sbloccare fondi d’urgenza, se necessario.

Fra le misure, il blocco, probabilmente per 48 ore, dei trasporti aerei da e per la East Coast –anche l’Alitalia tiene a terra i velivoli per New York e Boston-, oltre che stop più brevi alla metropolitana, ai ponti che collegano Manhattan alla terraferma, ai trasporti terrestri-. Fortuna che è un week-end di fine estate e non una concitata settimana lavorativa.

Lungo il percorso d’Irene che risale la costa dalla Carolina del Nord, abituata a sfuriate della natura, con le sottili spiagge a rischio delle Outer Banks, e cronache raccontano già di centinaia di migliaia di utenti senza energia elettrica –ma saranno milioni a conti fatti, in un Paese dove la maggior parte dei cavi sono ancora aerei e un palo che cade manda in tilt la rete-. Anche il calendario dello sport subisce i contraccolpi dell’uragano: sarà un week-end senza baseball per milioni di americani e anche gli US Open di tennis che dovrebbero cominciare lunedì potrebbero partire con l’handicap.

Intanto, tutti con il fiato sospeso: la mattina di domenica nella Grande Mela sarà da Day After?, o da scampato pericolo?

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