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martedì 2 agosto 2011

Usa: debito, l'epilogo che t'aspetti, accordo con freddezza

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 02/08/2011

E' andata a finire com'era scritto che andasse a finire: un epilogo scontato e persino banale, al di là delle drammatizzazioni politiche e mediatiche. Con un compromesso che scontenta un po' tutti e che, dopo una fiammata iniziale, non soddisfa neppure i mercati, l'America di Obama evita la farsa d'una bancarotta 'per legge'.

L'intesa fra democratici e repubblicani consente di sfondare di 2.100 miliardi di dollari il tetto del debito fissato dal Congresso - una convenzione politica, dunque, non un imperativo economico - a fronte di tagli per 2.500 miliardi di dollari alle spese pubbliche.

Barack Obama ammette: "Non è l'accordo che volevo, ma almeno evitiamo il default, cioè il blocco di servizi nell'impossibilità di pagarli. Il presidente rinuncia, però, a imporre nuove tasse e soprattutto a esigere dai ricchi d'America l'onere della solidarietà.

Ma anche i repubblicani, all'opposizione, ma maggioritari alla Camera, non fanno bottino pieno: l'intesa prevede che i tagli siano concordati in modo bipartisan entro novembre, ma sgombera di ostacoli l'orizzonte delle presidenziali 2012. Obama non ne esce, cioè, ostaggio dei suoi avversari.

Il presidente, però, se strizza l'occhio agli elettori di centro, scontenta e un po' sconcerta la sua base più solida, la sinistra democratica. Dall'altra parte, a contestare l'accordo, sono quelli del Tea Party, l'ala populista dell'opposizione, che volevano tagli più profondi alla spesa pubblica.

Pari e patta, dunque? No, vantaggio a Obama: in questa partita, che era solo politica, per nulla economica, i repubblicani, che non hanno un candidato alla Casa Bianca, perdono la possibilità di azzoppare il presidente nell’imminenza delle elezioni. L’esito del confronto suona, quindi, quasi un via libera alla conferma del primo presidente nero degli Stati Uniti. Tra Obama e il secondo mandato, l’unico ostacolo è, oggi, una ricaduta nella recessione.

Come da copione, lo sblocco della trattativa, che andava avanti da settimane, dalla partita a golf tra Obama e il leader dei repubblicani John Boehner, è arrivato quando mancava pochissimo al termine ultimo del 2 agosto. Dopo un sabato drammatico, in cui erano saltati prima il piano Boehner, poi quello del capo dei democratici al Senato Harry Reid, affondati anche dal voto di franchi tiratori dei due schieramenti, l’intesa matura domenica e ottiene l’avallo del Congresso lunedì. L’annuncio dello sventato pericolo di default amministrativo viene dallo stesso presidente, che, a più riprese, nelle ultime settimane, si era rivolto ai cittadini americani perché sollecitassero i loro rappresentanti a raggiungere un compromesso e aveva ripetutamente invitato alla Casa Bianca i leader repubblicani e democratici per spingerli a un accordo bipartisan. Il discorso del presidente era chiaro: con il voto di protesta delle elezioni di midterm del novembre scorso, i cittadini hanno chiesto un governo migliore, ma non l’assenza di un governo, come sarebbe risultato, invece, da un blocco puro e semplice della spesa pubblica.

Il compromesso americano non mette del tutto gli Stati Uniti al riparo dagli strali delle agenzie di rating, che potrebbero, nei prossimi giorni, penalizzare lo stesso il debito americano. Ma la pace di Washington dovrebbe avere qualche riflesso positivo in un’Europa alle prese con la debolezza di alcuni paesi della zona euro, a partire dalla Grecia, per arrivare all’Italia della continua fibrillazione politica e alla Spagna delle prossime elezioni anticipate.

Lo psicodramma del debito, una pantomima americana che praticamente tutti i presidenti, da Ronald Reagan in poi, hanno vissuto, conferma l’andamento ad alti e bassi del mandato di Barack Obama, che passa da successi di politica interna – la riforma della sanità – o internazionale – l’eliminazione di Osama Bin Laden – a incidenti di percorso che ne compromettono la popolarità. Il nodo resta, però, l’uscita dalla crisi dell’economia americana, non solo in termini di crescita, ma anche in termini di occupazione. Su questo dato, o almeno sulla percezione economica che gli elettori avranno, si giocano le presidenziali 2012. Il compromesso sul debito dà alla Casa Bianca un anno di libertà di manovra, senza esporla al rischio di un nuovo e logorante negoziato con l’opposizione repubblicana. Solo per questo, Obama può andare in ferie più sereno.

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