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martedì 6 dicembre 2011

Crisi: Monti, Merkozy sdogana manovra, avanti con euro

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 06/12/2011

I Signori dell’Euro e le istituzioni europee sdoganano la manovra di Mario Monti e del suo governo: bene così, avanti tutta a barra dritta. Il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel, che si vedono a Parigi, promuovono a buoni voti la manovra italiana. Il vice-presidente della Commissione di Bruxelles Olli Rehn, l’angelo custode dell’economia italiana, benedice le misure per la riduzione del deficit, ma non è del tutto appagato: “La credibilità dell’Italia esce rafforzata” dalle decisioni del governo, “ma bisogna fare di più per la crescita”.

I mercati non aspettano la benedizione della politica: fin dal mattino, le borse di tutta l’Europa vanno su; e Milano ne è maglia rosa, con alla chiusura listini in recupero di quasi il 3%. Lo spread scende sotto la soglia di 400 a quota 375. E il duo Merkozy separa il grano italiano e spagnolo dal loglio greco: “La Grecia è un caso particolare” nell’eurozona, perché “non si possono paragonare economie grandi come le italiana e spagnola alla greca”.

La “settimana cruciale” per l’euro e per l’Europa –l’espressione è ricorrente- inizia quasi in fanfara, non ci fossero le lacrime di Elsa Fornero a ricordarci che l’Ue sta distribuendo sacrifici, non dividendi. “Il futuro della moneta unica –dice Monti in Parlamento- dipende anche da noi: abbattiamo il debito o c’è l’abisso” per l’Italia, che il WSJ fino a ieri considerava “la più grande singola minaccia alla sopravvivenza dell’euro”: “senza la manovra crolliamo”.

Ma adesso che ha fatto la sua parte, l’Italia vuole avere un ruolo, accanto a Germania e Francia, nella governance europea. E arriva pure la Spagna, a reclamare un posto al tavolo dei Grandi dell’Unione: il nuovo premier Mariano Rajoy vedrà il duo Merkozy al congresso del Partito popolare europeo a Marsiglia, prima del Vertice europeo giovedì e venerdì a Bruxelles. Monti ha già superato il rito di riammissione fra i Grandi, a Strasburgo, il 24 novembre.

E’ quello l’appuntamento senza appello: o i leader dell’Ue prendono decisioni che testimoniano la volontà di salvare l’euro, e con esso il processo d’integrazione; oppure, si aprono scenari apocalittici e imprevedibili. A Parigi, la Merkel e Sarkozy trovano l’intesa su una riforma del Trattato di Lisbona da attuare “a tappe forzate”, che rafforzi il coordinamento fra le economie dei Paesi dell’euro: vogliono introdurre sanzioni automatiche, in caso di violazione delle regole sul deficit –ma l’Ue non potrà “annullare” i bilanci statali-, e chiedono d’inserire l’obiettivo del pareggio di bilancio nelle Costituzioni dei singoli Stati; e dicono di nuovo no agli eurobonds, che Berlino, in particolare, non vuole nell’attuale situazione.

Non c’è ancora chiarezza sul ruolo della Banca centrale europea: tutti la vogliono “indipendente” e dichiarano fiducia nell’azione dell’istituto presieduto da Mario Draghi; ma alcuni auspicano che la Bce compia un massiccio intervento sul mercato dei titoli pubblici, così da fermare l’esodo dei capitali privati e da ribaltare l’andamento dei costi d’indebitamento saliti a livelli rovinosi.

Germania e Francia puntano a una modifica del Trattato approvata da tutti i 27, senza creare un club ristretto di Paesi. Ma non escludono neppure un nuovo Trattato, ipotizzando, se non c’è l’accordo a 27, un’intesa a 17, cioè fra i Paesi dell’euro. Resta dunque aperta la porta a un’Europa a geometria variabile, o a due velocità: formule che, fino agli Anni Ottanta, facevano insorgere i puristi dell’integrazione, ma che hanno già trovato applicazioni di successo, dal Trattato di Schengen all’euro, senza contare la politica spaziale e vari esperimenti di cooperazione militare. Ora il Trattato di Lisbona istituzionalizza la possibilità, definendo le modalità delle cosiddette cooperazioni rinforzate.

L’Italia che ha fatto i compiti a casa intende, ora, “partecipare al dibattito sulla revisione” del Trattato –l’affermazione è di Monti-, anche se non mette ancora le carte in tavola. Si parte “dalla considerazione e dal rispetto” che la Merkel e Sarkozy hanno sempre avuto per l’Italia –parola del professore-, anche se “nella gestione dei rapporti possono esserci stati alti e bassi”. Il calendario ideale di Berlino e Parigi prevede che il nuovo Trattato sia pronto a marzo, cioè prima delle elezioni presidenziali francese: la salvezza dell’euro e quella del secondo mandato di Sarkozy s’intrecciano.

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