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mercoledì 11 agosto 2010

La strana amicizia tra Berlusconi e Gheddafi: fatti e illazioni

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 11/08/2010

Se tra Berlusconi e i finiani sarà guerra aperta, neppure la politica estera sarà terra franca, in barba alle tradizioni dei Paesi più maturi, che la vogliono terreno d’azione il più possibile bipartisan fra maggioranza e opposizione. Sotto tiro, potrebbero finire , in particolare, le amicizie chiacchierate e sovente incomprensibili, ma sempre sbandierate, di Mr B con alcuni dei leader più impresentabili di questa nostra Terra, il dittatore libico Muammar Gheddafi, l’oligarca russo Vladimir Putin, il despota bielorusso Alexander Lukashenko.

Le illazioni che filtrano sulla stampa da ambienti vicini a Fare Futuro si concentrano, soprattutto, sul rapporto privilegiato tra il presidente del Consiglio italiano e il colonnello libico: nessun politico occidentale di spicco ha compiuto tante missioni in Libia come Silvio Berlusconi. Ma fonti ufficiali e diplomatiche insistono: “Quel rapporto tutela l’interesse nazionale”.

Quali siano “i fatti suoi” che Briguglio evoca, affari o altro, non è affatto chiaro. Certo è che il rapporto tra Italia e Libia, da quando Berlusconi è a Palazzo Chigi, è solidissimo e intensissimo: Roma difende ad oltranza l’efficacia dell’accordo con Tripoli per bloccare i ‘viaggi della disperazione’, fa scudo alla Libia dalle accuse che l’Onu e organizzazioni umanitarie le muovono per le violazioni dei diritti dell’uomo; e si schiera con la Libia nei contenziosi internazionali, come quello con la Svizzera scoppiato a metà febbraio (Gheddafi giunse a chiedere ai musulmani di condurre una jihad contro la Confederazione).

A tenere bordone al presidente del Consiglio nel garantire l’eccellenza delle relazioni con la Libia, sono due ministri. Sul fronte internazionale, quello degli esteri Franco Frattini, attivissimo, nella vertenza con la Svizzera, a cercare la mediazione e pronto a sostenere che “un’esasperazione della situazione" era stata evitata grazie ad un "intervento personale” del premier italiano, che, il 21 febbraio, telefonò all’amico Gheddafi. Sul fronte dell’emigrazione, quello dell’interno Roberto Maroni, che Il 10 febbraio a Gaeta consegnò tre guardacoste alle autorità libiche: le unità navali sono impiegate nel pattugliamento congiunto per il contrasto all’immigrazione clandestina. Maroni continua a sostenere, cifre alla mano, che l’accordo con la Libia ha drasticamente ridotto il flusso migratorio, non importa a prezzo di quali violazioni dei diritti umani, anche se le cronache degli ultimi giorni indicano una ripresa degli sbarchi.

Gheddafi, quando arriva a Roma in visita, ha diritto a trattamenti di assoluto privilegio, che sia in visita bilaterale ufficiale, come nel giugno 2009, o che sia qui per il Vertice della Fao, come nel novembre scorso. Il colonnello può piantare la tenda a Villa Pamphili, fare aspettare per ore la terza carica dello Stato (che, guarda caso, è il presidente della Camera Gianfranco Fini, che rinunciò all’incontro) e fare proselitismo islamico di fronte a centinaia di giovani donne, cui si presentò ovviamente scorta dalle sue vistose guardaspalle..

Il dittatore, dal canto suo, non nega favori diplomaticamente vistosi all’amico Silvio, quando lo riceve in Libia. Il 27 marzo, Berlusconi partecipò, unico leader occidentale invitato da Gheddafi, al 22° vertice della Lega araba –c’erano pure il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon e il premier turco Recep Tayyip Erdoğan-. E il 13 giugno Mr B torna sotto la tenda del colonnello: ottiene il rilascio di tre pescherecci italiani, sequestrati pochi giorni prima, e partecipa al suggello dell’intesa fra Libia e Svizzera. Il premier libico al Baghdadi Ali al Mahmudi dice che il ruolo del presidente del Consiglio italiano è stato “determinante” per risolvere il contenzioso e ringrazia l'Italia, mentre Svizzera e Ue ringraziano Spagna e Germania.

Episodi che mostrano un’intensità di rapporti impermeabile ai comportamenti di Gheddafi e, recentemente, pure alla sorte di centinaia di eritrei maltrattati e malmenati nel centro di detenzione dov’erano finiti dopo essere stati intercettati in mare e respinti. A spiegarli, basta l’interesse nazionale? Fra i finiani, e non solo, qualcuno pensa, o sa, che non è così.

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