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giovedì 3 marzo 2011

Libia/ Gheddafi, se Silvio resta posso restare anch'io

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 03/03/2011

Muammar Gheddafi nè si dimette, nè abdica. Anzi, a parole è più che mai lui, l’uomo forte d’un regime sfaldatosi in due settimane, ma che s’abbarbica al potere. «Berlusconi dice che io non controllo la Libia ? Io gli rispondo che la famiglia Gheddafi è la Libia». Una citazione (conscia?) de «l’Etat c’est moi» di Luigi XIV, il Re Sole, contenuta nel discorso fiume ai delegati dell’Assemblea popolare libica, in occasione del 34.o anniversario della proclamazione della Jamahiriya, la repubblica delle masse.

L’Italia, l’ex potenza coloniale, nella lotta contro la quale la Libia ha costruito la sua debole identità nazionale, torna spesso nel discorso di Gheddafi : in Libia, dice, « dopo una manifestazione tutte le società petrolifere si sono ritirate », mentre in Italia « ci sono state manifestazioni in trenta città per chiedere le dimissioni di Berlusconi, ma nessuna società petrolifera se n’è andata » (e neppure Berlusconi s’è dimesso).

Il ministro degli esteri italiano Franco Frattini commenta che « la retorica anti-italiana » del Colonnello « è un segno di debolezza » : « Cercare qualcuno contro cui puntare il dito è un segno di debolezza » , mentre Gheddafi dovrebbe piuttosto ricordare che « l’Italia ha manifestato amicizia profonda verso il popolo libibo, verso cui l’Italia ha voluto affermare un sentimento di vicinanza e considerazione ». Il dittatore di Tripoli la legge cosi’ : « Abbiamo costretto l’Italia » a scusarsi per il colonialismo e a pagare i danni, « L’Italia mi ha baciato la mano e l’Occidente se ne sente insultato ».

Quella del Colonnello è una controffensiva mediatica, oltre che militare : circondato da suoi fedelissimi, il padrone della Libia nega di avere un ruolo politico da 40 anni, perchè « il potere è del popolo », e afferma di guadagnare 465 dinari, neppure 275 euro, al mese, e di non possedere beni e capitali, perchè « la mia ricchezza è il popolo libico ».

La scenografia di questo discorso è molto più riuscita di quello, spettrale, pronunciato, poco dopo l’inizio dell’insurrezione, là dove gli aerei statunitensi lo bombardarono nell’aprile 1986. I toni sono minacciosi, per il proprio popolo e per gli interessi stranieri in Libia : « il regime è pronto a sostituire con imprese cinesi e indiane le compagnie andatesene, nonostante « i campi petroliferi e i terminal siano sicuri » : eppure, la produzione di petrolio « è ai livelli più bassi », a causa della fuga dei lavoratori stranieri dettata dalla paura.

Per i libici in rivolta, Gheddafi agita la carota. Amnistia per tutti coloro che consegneranno le armi e torneranno alle loro case, ma anche il ritornello ormai logoro di una sommossa a guida di al Qaida : « l’organizzazione terroristica è entrata nelle prigioni , ha reclutato criminali e li ha armati » ; e ancora « Un ex detenuto di Guantanamo s’è autoproclamato emiro di Derna », un porto nell’Est del Paese, « e ha cominciato a giustiziare ogni giorno gruppi di persone ».

Il bastone è per i presunti nemici esterni. “Ci saranno migliaia di morti se ci sarà un intervento militare degli Usa o della Nato in Libia. « Vogliono farci tornare schiavi, come eravmo sotto gli italiani ? Non lo accetteremo mai, entreremo in una guerra sanguinosa » e « combatteremo per la Libia fino all’ultimo uomo e donna ».

Ma c’è pure una sorta di apertura all’Onu, cui il Colonnello chiede di inviare una commissione d’inchiesta in Libia per provare le stragi di civili attribuite al suo regime. « In America, in Francia, ovunque la gente che attaccasse depositi militari per rubarne le armi verrebbe colpita ». Le a suo dire false affermazioni su quanto avvenuto in Libia sarebbero « un complotto per prendersi il nostro petrolio e la nostra terra ».

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