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domenica 27 marzo 2011

Libia: ribelli di nuovo avanti; Obama, evitato bagno sangue

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/03/2011

I raid della coalizione su Tripoli e sulle truppe di Gheddafi hanno invertito, in otto giorni, l’oscillazione del pendolo libico: gli insorti riconquistano Ajdabiya, località strategica verso Bengasi, i lealisti si ritirano da Brega. La copertura aerea assicurata dagli alleati, pur passata sotto il comando della Nato e ormai affidata al generale canadese Charles Bouchard, continua ad andare ben al di là della lettera del mandato del Consiglio di Sicurezza dell’Onu: così, grazie ad essa, i ribelli riprendono l’offensiva, dopo avere ripiegato per due settimane.

Guerra e politica, sangue e diplomazia continuano a intrecciarsi. Il Colonnello dittatore si dice pronto ad attuare la via al dialogo prospettata dall’Unione africana, un’organizzazione debole e, in genere, incapace di realizzare i propri progetti. Francia e Gran Bretagna mettono a punto la loro proposta, in vista della riunione del gruppo di contatto, martedì, a Londra, e cercano di coinvolgervi la Germania, rimasta fuori dalla coalizione.

Criticato in patria dai falchi e dalle colombe, il presidente statunitense Barack Obama dice, nel discorso del sabato alla radio, che la missione alleata è stata un successo: ha evitato –spiega- un bagno di sangue, un massacro di civili e una catastrofe umanitaria. Una settimana di azioni hanno consentito agli insorti di riguadagnare terreno, o almeno di non perderne più, fermando di fatto l’avanzata verso Est dei lealisti, annientandone la difesa anti-aerea e l’artiglieria pesante, inchiodandone al suolo gli aerei militari ancora in grado di alzarsi (pena, com’è avvenuto, l’essere abbattuti).

Ma il quadro diplomatico è complicato le diplomazie europee sono divise. Obama è al bivio: da una parte, ha fretta di tirarsi fuori da un conflitto che non è americano; dall’altra, è probabilmente consapevole che, affidata alla Nato e agli europei, la crisi rischia di protrarsi. Secondo il Washington Post, gli Usa stanno già studiando come fare arrivare armi agli insorti: se l’obiettivo, non dichiarato dall’Onu, è indurre Gheddafi ad andarsene, o costringerlo a farlo, le azione aereee attuali, seppure invasive, possono non essere sufficienti.

Più che a Tripoli, che, nello scacchiere mediorientale ha un peso relativo, gli Stati Uniti guardano, in queste ore, a Damasco: la protesta contro Assad infiamma la Siria e la reazione del regime insanguina il Paese, quello sì cruciale, come lo era l’Egitto, nei fragili equilibri della pace tra arabi e israeliani. Il segretario alla difesa americano Robert Gates ha già chiesto ai militari siriani di tenersi da parti, mentre, in Egitto, aveva sollecitato il coinvolgimento dell’esercito ‘amico’ egiziano. E il domino non accenna ad arrestarsi: ha investito lo Yemen, alleato pur infido nella guerra al terrorismo, e sfiora la Giordania, il più ‘americano’ degli Stati mediorientali.

Mentre cambia la geografia politica della Riva Sud del Mediterraneo, l’Italia si guarda l’ombelico e si preoccupa soprattutto dell’arrivo d’immigrati dal Nord Africa. I ministri Frattini e Maroni prevedono di ‘indennizzare’ con 1500 euro chi accetta d’essere rimpatriato. Ma Umberto Bossi non ci sta: “Ogni bomba che cade là, la gente scappa e viene qui", dice. Ma pagare gli immigrati per farli tornare indietro, “io non lo farei”.

Parlano tutti, tace solo il premier Berlusconi. Imbarazzato? Macchè. Frattini spiega che non ha nulla da dire perché le cose vanno per il verso giusto con il comando Nato. E, con la Francia, è magnanimo: "Non siamo adirati. Parigi voleva soluzioni che non condividevamo. Ha prevalso la nostra ipotesi".

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