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mercoledì 30 marzo 2011

Libia: un Gruppo di Contatto per pilotare il 'dopo Gheddafi'

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/03/2011

Il Vertice di Londra sulla Libia partorisce il topolino di un ‘gruppo di contatto’ che dovrà pilotare politicamente gli sviluppi della crisi e tratteggiare il ‘dopo-Gheddafi’, mentre la Nato s’appresta, finalmente, ad assumere la guida delle operazioni militari, a partire dalle 0600 gmt di domani (le 7 del mattino in Italia).

Al Vertice, presenti una quarantina di Paesi e di organizzazioni internazionali, ma assenti la Russia e l’Unione africana, il segretario di Stato americano Hillary Clinton chiarisce che la missione andrà avanti fino a quando Gheddafi non avrà completamente soddisfatto le condizioni dell’Onu, ‘cessate-il-fuoco’ immediato e corridoi umanitari.

A margine della riunione, i rappresentanti degli insorti hanno incontri e intrecciano contatti: se e quando vinceranno, promettono elezioni e democrazia. Il ministro degli esteri francese Alain Juppé è pronto a discutere con loro di aiuti militari, anche se le risoluzioni dell’Onu non ne prevedono.

Washington e Parigi mandano emissari a Bengasi: vi aprono o vi stanno per aprire ambasciate. E c’è chi pensa di offrire al Colonnello una via d’uscita, magari un’ipotesi d’esilio: il ministro degli esteri britannico William Hague lo conferma indirettamente: “Noi non ci stiamo pensando, altri –e fra questi vi sarebbe l’Italia- lo stanno facendo”. Il responsabile degli esteri del Consiglio nazionale di transizione Mahmoud Jibril chiede, però, che i crimini commessi non restino “impuniti”.

L’ultimatum politico della comunità internazionale al regime libico arriva proprio nel giorno in cui, sul terreno, le truppe del dittatore fermano, nonostante i raid aerei, l’avanzata dei ribelli verso Est e verso Sirte e Tripoli. Gheddafi manda un messaggio dei suoi all’Occidente: “Siete come Hitler, state conducendo un’offensiva barbara, un’operazione di sterminio”. E chiede che la crisi libica sia gestita dall’Unione africana, che a Londra non ci va. Ma, se finora, o almeno fino all’intervento militare internazionale, il tempo giocava a suo favore, adesso il tempo che passa pare piuttosto scandire il conto alla rovescia del regime.

Anche se gli Stati Uniti, e non solo loro, hanno fretta: “Agire era nostro dovere –dice agli americani il presidente Barack Obama-, ma la Libia non sarà un nuovo Iraq”. E’ la stessa linea tenuta all’Onu dal presidente italiano Giorgio Napolitano: “L’intervento in Libia è legittimo: non potevamo certo stare a guardare, dovevamo sostenere chi lotta per i diritti e la democrazia”.

Il ministro degli esteri italiano Franco Frattini, dopo i giorni del confronto con Parigi e Londra, spiega che l’Italia cerca una soluzione condivisa, che ha come punto fermo il fatto che Gheddafi lasci la Libia e che potrebbe prevedere –sono ipotesi- l’esilio del dittatore, magari in un Paese dell’Africa, e il passaggio dei poteri alle tribù. Francia e Gran Bretagna propinano la loro linea: Gheddafi deve andarsene subito, gli insorti devono prendere il potere.

Anche se i Paesi arabi non hanno brillato a Londra per la loro presenza e per la loro intraprendenza, la prossima riunione del ‘gruppo di contatto’ –formula diplomatica che evoca le crisi dei Balcani degli Anni Novanta, con lo smembramento della ex Jugoslavia e le guerre di Bosnia e del Kosovo-si svolgerà in Qatar, unico Paese arabo, con gli Emirati, attivo nella coalizione militare. La speranza di tutti è che, di qui ad allora, Gheddafi sia uscito di scena e la ‘nuova Libia’ sia nata. Ma pochi ci credono davvero.

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