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sabato 17 settembre 2011

Il 'cimitero' degli ex leader (non italici), tra sinecure e oblio

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 17/09/2011

Quelli italiani restano, comunque, in politica, mordendo il freno per il prossimo giro, che, finché c’era la Prima Repubblica, arrivava (quasi) sempre. Loro non mollano. Quando sono proprio decrepiti, come Andreotti e Colombo, si ritrovano senatori a vita, che è pure il limbo dorato –e obbligato- degli ex presidenti della Repubblica. Ma i De Mita e i D’Alema e persino i Dini restano lì; Amato, lui, s’è fatto da parte, ma è più che mai nella ‘riserva’. Solo di Forlani, 86 anni, si sono perse le tracce. Prodi, almeno, quando non è premier in Italia, si trova un lavoro all’estero e lo fa bene: presidente della Commissione europea dal 1999 al 2004 e ora responsabile per l’Onu delle missioni di peacekeeping in Africa.

Ma negli altri Paesi dove vanno a finire i premier che lasciano? La vicenda di ‘cincinnato’ Leterme, il leader belga che pianta baracca e burattini per un posto manco fisso da funzionario internazionale, evoca storie diverse di ordinaria democrazia, tutt’intorno all'Italia.

Negli Usa, si sa, il presidente che ha lasciato la Casa Bianca è fuori gioco: tira su la sua biblioteca e, se non è Bush, che fare discorsi non è mestier suo, va in giro a battersi per le cause buone e perse (Carter ci ha pure vinto un Nobel per la Pace) o a guadagnare un sacco di soldi tenendo conferenze (Clinton); se è Bush, si ritira nella sua fattoria a sradicare alberi o gioca a golf, come piaceva fare fin oltre i novant’anni a Gerald Ford.

Nelle democrazie occidentali, in genere quando hai finito hai finito: se vuoi, torni a fare il mestiere che facevi prima. Certo, non tutti la prendono bene (o la interpretano bene) questa regola. Prendete l’ex cancelliere tedesco Schroeder, che, poco dopo la fine del proprio mandato, accettò la nomina della Gazprom a capo del consorzio Nord Stream AG, che realizza un gasdotto sotto il Mar Baltico tra la costa russa e la costa tedesca: in pratica, un lobbista degli interessi russi nel proprio Paese.

O l’ex premier spagnolo Aznar. Nel giugno 2006, due anni dopo la sconfitta elettorale, divenne presidente del Consiglio di Amministrazione della News Corporation di Rupert Murdoch, che controlla conglomerati di media come la 20th Century Fox, la Fox Broadcasting Company, giornali, riviste, portali internet (c’era pure il settimanale britannico News of the Worls, che sappiamo che fine ha fatto). E il vizietto della ‘lobby’ ben remunerata dopo l’incarico politico l’hanno mostrato alcuni commissari europei, finché c’è stato un giro di vite alle norme per gli ex.

Anche il britannico Tony Blair non è proprio un modello: uscito da Downing Street troppo presto per andare in pensione, è diventato inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente (Onu, Ue, Usa e Russia), ma lo fa svogliatamente: il compito è ostico, ma un po’ di zelo non guasterebbe.

In Francia, i presidenti diventano dei saggi –Giscard d’Estaing- o degli imputati –Chirac-,. Invece, il premier socialista Lionel Jospin, a Matignon dal 1997 al 2002, non s’è più fatto vedere in giro, dopo che, nelle presidenziali 2002, si fece estromettere dal ballottaggio, prendendo meno voti del leader xenofobo Jean-Marie Le Pen. Auto-confinatosi a semplice militante, Jospin pubblica articoli o scrive libri, ma non ha più brigato un posto pubblico.

Le storie più esemplari ci vengono dal Nord, non solo scandinavo: i politici passano; la democrazia, anche per questo, resta. Dries Van Agt, premier olandese dal 1977 all’ ’82, era un professore cattolico che andava al lavoro all’Aja in bicicletta: battuto dai socialisti al voto, andò a fare l’ambasciatore dell’Ue –che allora era solo la Cee- in Giappone e a Washington. Più recentemente, un percorso analogo fece l’irlandese John Bruton, premier, o taoiseach, come dicono loro, dal 1994 al 1997. Poi, lasciata la politica nazionale, fu ambasciatore dell’Ue a Washington.

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