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mercoledì 21 settembre 2011

Mr B: rating, da Obama a Zapatero lezioni di credibilità

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 21/09/2011

Dopo che S&P abbassa il rating dell’Italia a causa “della fragilità del governo” e dell’inadeguatezza delle misure per la crescita previste dalla manovra, da Bruxelles si leva un coro a due voci. C’è quella a pieni polmoni, che rileva che il giudizio dell’agenzia di rating che è “troppo severo”, come afferma il vice-presidente italiano della Commissione europea Antonio Tajani, o “severo”, come dice il commissario all’economia Olli Rehn, e che rilancia il ritornello –giustissimo!, per carità- dello strapotere ingiustificato delle agenzie e della necessità di crearne una europea e indipendente.

L’altra voce, solo sussurrata, echeggia un antico concetto: “chi è causa del suo mal pianga se stesso”, perché l’Italia poteva fare meglio, prima di arrivare alla manovra; e, adesso che c’era, poteva farla meglio. A Tremonti e allo stesso Berlusconi quando ha proprio voluto venire a farsi benedire le sue misure dai leader europei, l’avevano detto in tutti i modi: i numeri vanno bene per raggiungere gli obiettivi di riduzione del debito, sempre che i risultati siano quelli sperati, ma ci vogliono più interventi per la crescita. Un discorso che ritorna nei commenti europei alla botta di S&P.

E mica solo in quelli europei. In un mondo che arranca, dove l’Fmi ha di nuovo abbassato ieri le previsioni di crescita e ha ridotto quelle dell’Italia allo 0,6% quest’anno e addirittura allo 0,3% l’anno prossimo, il presidente Napolitano trova la forza di parlare di un Paese vitale, ma sollecita un “impegno comune per la crescita”. E la leader degli industriali Marcegaglia ripropone il suo “o misure serie o governo a casa”: insomma, non c’è bisogno di andare a Bruxelles per sentirselo dire. Tremonti lancia un piano per lo sviluppo decennale che echeggia il titolo e raddoppia i tempi dei famigerati piani quinquennali mai realizzati delle economie sovietiche.

Eppure, in tutti questi mesi, ormai quasi due anni, di faticare europeo contro il debito che soffoca alcune delle economie della zona euro, qualche esempio su ‘come fare’ all’Italia non era mancato. Tutti i Paesi che hanno avuto bisogno di ricorrere, per dare credibilità al risanamento, al sostegno dell’Unione hanno visto un passo indietro delle forze al governo, proprio per ovviare alla carenza
di credibilità politica. Certo, la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo stavano, e almeno la Grecia ancora sta, molto peggio dell’Italia. Ma le loro vicende contano. In Grecia, il premier Papandreu, quando c’è stato bisogno di fare sul serio, ha proceduto a un largo rinnovamento del proprio governo, così da dargli peso nella congiuntura difficile. In Irlanda, il governo ha indetto elezioni anticipate. In Portogallo, le politiche si sono svolte in un clima di condivisione delle misure necessarie.

Le situazioni e le circostanze, Paese per Paese, sono diverse, così come le transizioni: in Grecia, s’era appena passati dal centro alla sinistra; in Portogallo, dal centro-sinistra al centro-destra; in Irlanda, le etichette tradizionali sono inapplicabili. Anche in Spagna, Zapatero chiama al voto dopo avere annunciato il proprio abbandono: ci vuole un leader in cui la gente abbia fiducia.

Sono esempi che fanno storcere il naso, perché riguardano chi sta peggio di noi? Allora, guardiamo agli ‘amici’ di Mr B. No, non da quella parte: non Putin e i suoi fratelli oligarchi dell’ex Urss; giriamoci verso gli Stati Uniti, dove Obama, dopo avere cincischiato sul debito a inizio estate, alza le tasse ai ricchi per risanare i conti e lancia un piano per il lavoro colossale; o verso la Francia, dove Sarkozy si preoccupa della crescita (pensando pure alle presidenziali 2012). Persino la Merkel e Cameron, che i conti li hanno quasi in ordine, hanno chiaro il concetto: primo, crescere; ed essere credibili.

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