Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano lo 04/12/2013
Qualche volta, diamo proprio il peggio di noi
stessi: sfoggiamo un mix di ‘Come si permette? Lei non sa chi sono io’ e di
spavalderia alla Maramaldo, quello che ‘Vile!, tu uccidi un uomo morto’.
Prendiamo le reazioni alla sortita di Olli Rehn, responsabile europeo degli
Affari economici, che dichiara e reitera il proprio scetticismo
sull’abbattimento del debito italiano nel 2014.
Ora, uno può benissimo contestare che
l’abbattimento del debito, così come il mantenimento del deficit sotto il 3%
del Pil, siano delle priorità. Ma alzi la mano chi non è scettico sull'impatto
della Legge di Stabilità, della spending review, delle dismissioni e di
quant'altro il governo ci propina per fare quadrare i conti: lo sforzo atteso dalle autorità comunitarie
l’anno prossimo è di almeno sette miliardi (di riduzione del debito); Roma per ora è in grado di assicurarne
al più uno e mezzo.
L’appuntamento tra Italia e Ue per fare le
pulci al bilancio è a febbraio 2014: di qui ad allora, possiamo aspettarci
punzecchiature e moniti, che un po’ lasciano il tempo che trovano. Ma la
sortita di Rehn è stata accolta da un fuoco di sbarramento pesante: il
presidente Napolitano, il premier Letta, il ministro dell’Economia Saccomanni,
tutti –chi più chi meno- se la sono presa con il vice-presidente della
Commissione.
Mi viene, e mi resta, il sospetto che se Rehn non
avesse dichiarato, giorni fa, l’intenzione di candidarsi al Parlamento europeo
e alla ‘nomination’ liberal-democratica alla presidenza della Commissione -
mosse che implicano un'auto-sospensione dall’incarico -, le reazioni non
sarebbero state così dure. Né, forse, a onor del vero, le sue parole non
sarebbero state così schiette.
Il premier Letta è quasi vittima di una crisi
di nervi (e, senz'altro, d'una caduta di gusto): afferma che il
vice-presidente della Commissione "non si deve permettere" di esprimere
scetticismo sull'Italia –che è?, lesa maestà?-, ma deve svolgere un ruolo di
"garante dei Trattati"
dell’Unione, dove "la parola
scetticismo non c'è”. Quindi, Rehn non può azzardarsi ad “esprimere un concetto
di scetticismo, ma deve parlare di stabilità e di equilibro finanziario".
Il presidente Napolitano
è più ecumenico:
"A livello delle istituzioni europee si impone una correzione di rotta e
un impegno nuovo per promuovere la crescita e l'occupazione". Il ministro Saccomanni, favorito dalla distanza e
dal fuso –sta a New York-, smorza i toni –forse perché il primo a essere
scettico sui nostri conti è proprio lui-: "Non c'è niente di nuovo in
quello che Rehn ha detto", riconosce.
Finisce, così, che Rehn ci impartisce una
lezione di valori fondanti dell’integrazione europea –di solito, siamo noi a
darne-, facendo l’elogio della libertà d’espressione e, quindi, di scetticismo;
e confermando, a distanza, l’analisi di Saccomanni, nulla di nuovo, solo la
conferma di cose già dette: "Abbiamo imparato dall'esperienza che gli
stati hanno tendenza a sovrastimare le entrate delle privatizzazioni".
E allora, premier Letta, perché prendersela
tanto?, forse per evitare che i mercati diano più retta a Rehn che a lei?, o
perché la preoccupa la prospettiva di un Rehn alla presidenza della
Commissione?, o perché ha la coda di paglia di essere un po’ scettico anche lei
sui nostri conti? Certo che ieri parevate uno sketch di Totò e Peppino.
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