Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/12/2013
Nel giorno in cui catechizza i suoi ambasciatori sul nuovo ‘mantra’, la diplomazia della crescita, che riecheggia ‘mantra’ recenti, la berlusconiana “diplomazia dei commessi viaggiatori” e l’universalmente vagheggiato “sistema Paese”, la politica estera italiana riceve la conferma che, nella percezione dei cittadini, il nostro non è “un Paese che conta” né in Europa –ci credono solo tre su dieci- né nel Mondo –due su dieci-. E la percezione appare persino più negativa della realtà.
Pure il vice-ministro degli Esteri Lapo Pistelli ammette che l'Italia in politica estera fatica a trovare "il giusto passo" e oscilla tra momenti "velleitari" e la "sindrome da Calimero". Pistelli, poi, un po’ si pente della schiettezza e riformula il concetto: "Gli italiani tendono a non essere pienamente coscienti delle proprie straordinarie doti. Oscillano tra l’essere i nani degli incubi e i giganti dei sogni".
Il ministro degli esteri Emma Bonino istruisce gli ambasciatori, chiamati a rapporto per la periodica Conferenza, sulle nuove linee guida Farnesina 2015 e su tutte le sfaccettature degli interessi italiani nel Mondo. L’indagine voluta dall’Istituto Affari Internazionali e condotta dall’Università di Siena, mostra che la confusione degli italiani sulla politica estera comincia da ruoli: quattro su 10 pensano al capo del governo come la figura più influente in ambito internazionale, più di uno su quattro al presidente della Repubblica, solo uno su dieci fa riferimento al ministro degli esteri, probabilmente perché, prima della Bonino, alla Farnesina sono passate figure diafane, la cui presenza è stata poco percepita.
Dal sondaggio, emerge un’Italia divisa sull'Europa lungo crinali talora inattesi, politici –gli elettori di centrodestra e i grillini la pensano quasi allo stesso modo su Ue ed euro- e demografici -abbiamo quarantenni meno europeisti dei giovani e degli anziani-. Un’Italia che ha poca fiducia in se stessa, senza averne molta negli altri. Che è recisamente contraria all’uso della forza per risolvere le controversie internazionali - oltre l’80% - e non ne vuole più sapere di missioni militari - il 60%-.
In testa a tutto, gli interessi nazionali, cioè i propri. In primo luogo, “la sicurezza dei confini dell’Italia e il controllo dei flussi d’immigrazione”. E se qualcuno vuole che li si difenda trasformando Lampedusa in una sorta di Ravensbrueck, eccolo servito.
Gli italiani sentono di avere un’identità mista, italiana ed europea. In maggioranza, sono restii ad accettare i vincoli che vengono da Bruxelles e insofferenti verso la Germania; in minoranza, sono tentati dalla fuga dall’euro. Risultati che, a cinque mesi dalle elezioni europee del 25 maggio, anticipano una valanga euroscettica.
Gli Usa non sono più un punto di riferimento obbligato; e la presenza in Italia di basi americane è controversa - c’è equilibrio tra chi le accetta e chi vorrebbe sbarazzarsene-, ma non è un tema caldo. Quanto alle Primavere arabe, i rischi ne sono percepiti tre volte più delle opportunità. E che non si parli d’intervento in Siria. Quello che accade a Sud del Mediterraneo, preoccupa solo per l’impatto che potrebbe avere sui flussi migratori.
Nel giorno in cui catechizza i suoi ambasciatori sul nuovo ‘mantra’, la diplomazia della crescita, che riecheggia ‘mantra’ recenti, la berlusconiana “diplomazia dei commessi viaggiatori” e l’universalmente vagheggiato “sistema Paese”, la politica estera italiana riceve la conferma che, nella percezione dei cittadini, il nostro non è “un Paese che conta” né in Europa –ci credono solo tre su dieci- né nel Mondo –due su dieci-. E la percezione appare persino più negativa della realtà.
Pure il vice-ministro degli Esteri Lapo Pistelli ammette che l'Italia in politica estera fatica a trovare "il giusto passo" e oscilla tra momenti "velleitari" e la "sindrome da Calimero". Pistelli, poi, un po’ si pente della schiettezza e riformula il concetto: "Gli italiani tendono a non essere pienamente coscienti delle proprie straordinarie doti. Oscillano tra l’essere i nani degli incubi e i giganti dei sogni".
Il ministro degli esteri Emma Bonino istruisce gli ambasciatori, chiamati a rapporto per la periodica Conferenza, sulle nuove linee guida Farnesina 2015 e su tutte le sfaccettature degli interessi italiani nel Mondo. L’indagine voluta dall’Istituto Affari Internazionali e condotta dall’Università di Siena, mostra che la confusione degli italiani sulla politica estera comincia da ruoli: quattro su 10 pensano al capo del governo come la figura più influente in ambito internazionale, più di uno su quattro al presidente della Repubblica, solo uno su dieci fa riferimento al ministro degli esteri, probabilmente perché, prima della Bonino, alla Farnesina sono passate figure diafane, la cui presenza è stata poco percepita.
Dal sondaggio, emerge un’Italia divisa sull'Europa lungo crinali talora inattesi, politici –gli elettori di centrodestra e i grillini la pensano quasi allo stesso modo su Ue ed euro- e demografici -abbiamo quarantenni meno europeisti dei giovani e degli anziani-. Un’Italia che ha poca fiducia in se stessa, senza averne molta negli altri. Che è recisamente contraria all’uso della forza per risolvere le controversie internazionali - oltre l’80% - e non ne vuole più sapere di missioni militari - il 60%-.
In testa a tutto, gli interessi nazionali, cioè i propri. In primo luogo, “la sicurezza dei confini dell’Italia e il controllo dei flussi d’immigrazione”. E se qualcuno vuole che li si difenda trasformando Lampedusa in una sorta di Ravensbrueck, eccolo servito.
Gli italiani sentono di avere un’identità mista, italiana ed europea. In maggioranza, sono restii ad accettare i vincoli che vengono da Bruxelles e insofferenti verso la Germania; in minoranza, sono tentati dalla fuga dall’euro. Risultati che, a cinque mesi dalle elezioni europee del 25 maggio, anticipano una valanga euroscettica.
Gli Usa non sono più un punto di riferimento obbligato; e la presenza in Italia di basi americane è controversa - c’è equilibrio tra chi le accetta e chi vorrebbe sbarazzarsene-, ma non è un tema caldo. Quanto alle Primavere arabe, i rischi ne sono percepiti tre volte più delle opportunità. E che non si parli d’intervento in Siria. Quello che accade a Sud del Mediterraneo, preoccupa solo per l’impatto che potrebbe avere sui flussi migratori.
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