Scritto per Il Fatto Quotidiano del 18/01/2014
Il ‘requiescat in pace’ di Hiroo Onoda è un
elogio della irriducibilità: l’ultimo soldato giapponese ad arrendersi nella
Seconda Guerra Mondiale, tenente di quello che fu l’esercito imperiale del Sol
Levante, è morto a 91 anni, in un ospedale di Tokyo, dov'era stato ricoverato
per problemi cardiaci.
Per quasi trent'anni, insieme a quel che restava
del suo plotone, tre militari, man mano dileguatisi o uccisi, aveva ‘resistito’
nella giungla delle Filippine, totalmente isolato dal mondo reale, ignaro che
il conflitto fosse finito, simbolo suo malgrado del militarismo nipponico
fanatico e ostinato.
La sua guerra vittoriosa contro disagi, insetti,
malaria evoca il bushido, codice d’onore dei samurai, ma ha pure i codici
genetici dei totalitarismi Anni Trenta:
riflette lo spirito di sacrificio giapponese e la fedeltà cieca
all’imperatore. Ma l’ostinazione di Onoda ebbe un prezzo di sangue: fece decine
di vittime, filippini ‘nemici’.
Inviato nel 1944 sull'isola di Lubang, a ovest
dell’arcipelago, vicino a Luzon, un centinaio di km al largo di Manila, il tenente
Onoda, 22 anni, addetto ai servizi, specialista nelle tecniche di guerriglia,
ricevette l'ordine d'infiltrarsi al di là delle linee nemiche, per azioni di
ricognizione e sabotaggio, senza potere contare su aiuti o sostegni dai propri
compagni: doveva cavarsela da solo fin quando non avesse ricevuto nuove
istruzioni; soprattutto, non arrendersi.
Onoda rispettò la consegna per trent'anni. Nel
1945, il Giappone fu sconfitto e, dopo gli attacchi con l’atomica su Hiroshima
e Nagasaki, firmò la resa. Nascosto nel folto d’una foresta tropicale, Onoda
non lo seppe e continuò ad adempiere il proprio dovere al servizio del suo
Paese.
Quando, nel 1950, uno dei suoi uomini lasciò il
drappello, il Mondo scoprì gli ‘irriducibili’: aerei lanciarono volantini per
informare il tenente Onoda che la guerra era finita; lui non ci credette. Li
cercarono fino al 1959, poi tutti si convinsero che erano morti e nessuno ne
parlò più.
Fino al 1972, quando Onoda e il suo ultimo
compagno superstite attaccarono una pattuglia filippina. Onoda riuscì a
fuggire, il soldato restò ucciso.
Viveva di frutta e radici e delle prede che
riusciva a catturare, eludendo le pattuglie locali. Si negò persino a una
spedizione di suoi familiari spedita a convincerlo a deporre le armi. Alla
fine, Tokyo mandò un suo ex superiore, il maggiore Yoshimi Taniguchi, a
revocare l’ordine del ‘44: era il 9 marzo 1974, Onoda aveva 52 anni.
Il tenente fu l’ultimo dei ‘folli
dell’Imperatore’ ad arrendersi, ma, sulle isole del Pacifico, decine avevano
continuato la guerra ad oltranza. Nel 1972, uno era stato preso sull'isola di
Guam.
Rientrato in patria, Onoda faticò a
raccapezzarci in un mondo che era cambiato, mentre lui difendeva il passato
nella giungla: il Giappone era divenuto pacifista e stava affermandosi come
potenza economica, la più aggressiva in quegli anni. Nel '75, l’ormai ex
tenente emigrò in Brasile, dove si sposò –la moglie, Machia, ora gli
sopravvive- e gestì con successo una piantagione.
Nell' ’89, tornò a casa: soldato ostinato e pure
abile manager, sfruttò la sua leggenda di rambo nipponico, pubblicò
un’autobiografia dal titolo ‘Nessuna capitolazione, la mia guerra trentennale’,
fu ospite di programmi televisivi, creò una scuola di sopravvivenza, dove
insegnava come cavarsela da soli nella
natura.
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