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martedì 12 marzo 2013

Punto: Italia-India, marò, furiosi a New Delhi, freddi all'Ue

Scritto per l'Indro il 12/03/2013

Di sicuro, non ci siamo fatti degli amici. La decisione di fare rimanere in patria i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone viene ovviamente accolta male dall'India e viene commentata freddamente dall’Unione europea, che pure era stata vicina all'Italia nella vicenda.
                      
Certo, gli occhi dell’umanità non sono tutti puntati su questa vicenda, proprio nel giorno in cui, qui, si apre il Conclave e, altrove, guerra e violenza lasciano la loro consueta striscia di sangue e dolore. Ma chi ci guarda lo fa, spesso, senza capire e senza mostrarci simpatia.

La notizia, sparata con toni critici dalla stampa indiana, trova spazio in tutto il Mondo: ne parlano Ap e Reuters e pure Bbc, NYT, WP e molti altri.  Il Wall Street Journal of India fa un ampio pezzo: “L'India ribolle di rabbia per la decisione italiana, … sale l'ira”. E gli attacchi mediatici sono pure indirizzati contro le autorità indiane, colpevoli di avere lasciato partire in licenza i marò. Zeenews scrive che il caso è fonte di grande imbarazzo per la coalizione al governo, Ibn-Live si chiede se “l'India lascerà che gli italiani la passino liscia dopo un omicidio?”.  L’edizione europea del WSJ è più oggettiva: “L’Italia ricusa l’India su marines”. 

Per la Farnesina, New Delhi ha violato "gli obblighi di diritto internazionale", perché non accetta che i due militari italiani siano processati in patria. "I due marò devono essere processati in India, secondo le leggi indiane", è invece il ritornello indiano, almeno a livello mediatico. I magistrati della Procura di Roma attendono di procedere nei confronti dei due militari. E l’Unione europea, che era stata al fianco dell’Italia in tutta la vicenda, si limita a prender atto della decisione italiana, senza esprimere condivisione.

A livello di governo, il premier Singh definisce la situazione “inaccettabile” e chiede al ministro degli Esteri di sollevare la questione con Roma. E, infatti, l'ambasciatore d'Italia a New Delhi, Daniele Mancini, viene convocato al ministero per fornire spiegazioni “al massimo livello” – ma senza vedere il ministro Khurshdie-. L'opposizione di centrodestra denuncia l’inganno italiano contro la Corte Suprema: “Pensano che siamo una repubblica delle banane”. E lo stato del Kerala ribadisce la richiesta di processare Latorre e Girone. Protestano anche i pescatori colleghi ed amici delle due vittime; la moglie di uno dei due giovani uccisi denuncia la mancanza di giustizia.

Lo strappo di ieri sui marò è stato l’ennesimo colpo di scena di una vicenda difficile e complicata, che l’Italia aveva finora gestito con equilibrio e correttezza, rivendicando la competenza giuridica per un episodio che aveva coinvolto "organi dello Stato operanti nel contrasto alla pirateria sotto bandiera italiana e in acque internazionali". Fino al 30 maggio, Girone e Latorre erano rimasti sotto custodia; poi avevano ottenuto di uscire su cauzione, godendo man mano di maggiore libertà.

Il 20 dicembre, mentre il tribunale di Kollam continuava a rinviare l'avvio del processo, e mentre s’attendeva il verdetto della Corte Suprema di New Delhi sulla giurisdizione del caso, i due marò ottenevano, su cauzione e con dichiarazione giurata, una prima licenza di due settimane per passare il Natale a casa. Rientravano in India il 4 gennaio. Il 18, la Corte Suprema disponeva la creazione d’un tribunale speciale a New Delhi per vagliare la questione della giurisdizione. Il 22 febbraio, la seconda licenza, che l’Italia trasforma in un ‘libera tutti’.

Altrove, in Afghanistan, cinque membri delle forze Isaf sotto il controllo Nato, di cui non si conosce la nazionalità, sono morti in seguito a un incidente di elicottero la cui causa resta da accertare. Secondo i primi dati ottenuti,  “non c'era attività nemica nella zona al momento dell'incidente”: il disastro, avvenuto nella provincia meridionale di Kandahar, una delle più insicure, potrebbe essere stato causato dal maltempo

Nelle Falklands, gli abitanti dell'arcipelago dell’Atlantico del Sud che l'Argentina rivendica come Malvinas, hanno scelto con un referendum a schiacciante maggioranza (il 98,8%) il mantenimento del controllo britannico sul loro territorio. L'Argentina ha già fatto sapere di ritenere lo scrutinio nullo, come non avvenuto. Nel 1982, la sovranità sulle isole, che l’Argentina occupò, fu la causa d’un conflitto che portò alla caduta della dittatura a Buenos Aires.

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