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venerdì 22 febbraio 2013

Italia 2013: un voto europeo, una campagna senza Europa

Scritto per EurActiv il 22/02/2013. Altra versione su l'Indro

Oh Europa, dove tu sei? Non certo nei discorsi dei leader e nei manifesti di partiti o coalizioni, anche se questa campagna elettorale -s’era detto all'inizio- si giocava sull'Europa ed è stata seguita, nell'Unione, con un’attenzione e persino un’apprensione straordinarie. Un po’ perché, come scrive il tedesco Tagesspiegel, "in Europa  non ci sono più elezioni nazionali”, tanta è l’interdipendenza fra i Paesi dell’Ue, soprattutto fra quelli dell’euro; e un po’ perché davvero molti pensano, non solo nelle redazioni dei media, che l’esito del voto italiano possa essere decisivo per il consolidarsi, o meno, della stabilità dell'Eurozona e per un radicamento della fiducia, che è un ingrediente della ripresa indispensabile.

Nei programmi elettorali italiani, l’Europa c’è, spesso con retorica evidenza, nei preamboli; ma poi sparisce dai contenuti concreti, dai capitoli specifici. Lo hanno evidenziato, nelle ultime settimane, ricerche ed analisi d’impronta federalista, denunciando come, sotto la genericità di impegni o richiami, non ci sia adeguata conoscenza dei problemi e del contesto.

Sulle piazze o in tv o sul web, nessuno o quasi invoca l’Unione come alleata, temendone l’impopolarità, in tempi opachi di crisi venata di populismi ed euro-scetticismi. Anzi, molti la demonizzano come causa del disagio e non risposta ad esso, promettendo, anzi minacciando, uscite dall'euro e altri sfracelli, con un’approssimazione che è equamente distribuita in tutte le affermazioni similari.

E quando l’Unione ha provato a entrarci lei nella campagna italiana lo ha fatto in modo maldestro: il Ppe, ad esempio, lavando in pubblico i panni dello ‘scontro fra i leader’ Berlusconi e Monti; oppure, il commissario europeo Olli Rehn distribuendo attestati di stima al Governo Monti senza dubbio sinceri e forse anche meritati, ma apparsi spesso ‘assist’ elettorali ad orologeria, incongrui per un’Istituzione internazionale . Più esperti e meno invasivi leader politici come Angela Merkel e Francois Hollande: capaci di sostenere i loro ‘campioni’ senza però esporsi alle accuse di ingerenza; e concordi, pur da campi politici diversi, nell'individuare trappole da evitare, pericoli da scansare, pifferai da non seguire.

Eppure, la partita italiana è proprio una partita europea, decisiva per l’Italia, ma anche per l’Unione: il pegno è il rispetto degli impegni accettati, la posta in palio è una presenza incisiva che possa contribuire alla svolta dell’Ue per la crescita e l’occupazione. Le alternative sono le false promesse, che abbacinano, ma che si rivelerebbero ingannevoli o che, se mantenute, avrebbero un impatto illusorio e conseguenze disastrose; oppure, il rifiuto degli impegni e la negazione di una storia che è ormai pure un destino, un’Italia europea.

La stampa internazionale ha seguito l’avvicinamento al voto e ne seguirà i risultati con un’attenzione straordinaria, intrisa di uno scetticismo comprensibilmente irritante, ma non certo inconsueto, nei confronti dell’Italia tutta, di partiti e coalizioni, dei loro leader. Le lezioni d’Europa impartite con supponenza dalla stampa britannica –sic!- e quelle di rigore della stampa tedesca paiono fatte apposta per suscitare reazioni opposte in un’opinione pubblica che le ascolta con fastidio.

Ma un elemento di riflessione comune attraversa l’attenzione politica e mediatica, economica e finanziaria, sociale e culturale per le elezioni italiane e un tratto di speranza comune lega l’America e l’Europa nell’attesa dei risultati: che l’Italia esca dalle urne ancora europea, anzi più europea, senza ascoltare le sirene del ritorno al passato e di una antistorica autarchia.

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