Scritto per EurActiv.it il 26/04/2014
La chiave dei rilancio dell’Unione è il
coraggio, che chi non ce l’ha –si sa- non se lo può dare. E José Manuel
Barroso, presidente della Commissione europea per due mandati, politico
portoghese di lungo corso, fra le sue tante qualità il coraggio proprio non
l’ha: un don Abbondio dell’integrazione.
Allora, Guy Verhofstadt, candidato dei
liberali alla presidenza della Commissione, il più federalista, anzi l’unico
federalista fra i personaggi in lizza, denuncia il ‘metodo Barroso’ e propugna un
ritorno al ‘metodo Delors’, che valse l'Atto unico, il Trattato di Maastricht,
la nascita dell'Unione e le basi dell'euro. E Verhofstadt sfida i suoi
principali antagonisti, che sono il socialista Martin Schulz e il popolare Jean
Claude Juncker, a non seguire l’esempio di Barroso.
Per l'ex premier belga, la Commissione
deve tornare ad essere "l'istituzione principale" dell’Unione europea
e governare di nuovo l'Europa. Presentando il suo programma, Verhofstadt ha
spiegato: "Ho detto a Barroso: è incredibile, hai la possibilità di
prendere l'iniziativa, ma non la usi e chiami prima Parigi e Berlino, o Berlino
e Parigi, e se non ti danno via libera non fai niente".
La campagna lib-dem di Verhofstadt,
capogruppo dell’Alde al Parlamento europeo, ufficialmente lanciata il 25
aprile, a un mese dal voto, è all'insegna di una maggiore integrazione europea
e, al contempo, di snellimento di procedure e strutture, che dovrebbero
convergere su una sola sede dalle attuali tre (Bruxelles, Lussemburgo e
Strasburgo).
Sulla carta, Verhofstadt il leader
federalista ha pochissime possibilità di successo: oggi terzo gruppo
nell’Assemblea comunitaria, i liberali potrebbero retrocedere al quarto posto
dopo il voto di maggio. Ma, in caso di sostanziale equilibrio tra socialisti e
popolari, l’ex premier belga potrebbe avere una chance come scelta di
compromesso. Gli altri candidati alla presidenza della Commissione europea sono
il greco Alexis Tsipras (sinistra radicale) e il ticket verde José Bové (francese)
e Ska Keller (tedesca).
Il programma Verhofstadt parte
dal presupposto che l'enorme debito pubblico europeo, cresciuto di circa il 40%
tra il 2008 ed il 2013, è la causa della crisi dell’Unione, l’unica ‘regione’ al
Mondo che non cresce economicamente. La ricetta del leader liberale vuole stimolare
la crescita senza passare per un aumento del debito.
Quindì, da una parte
rispetto delle regole di controllo dei conti; e dall'altra forte rilancio
economico dell'Europa in sette punti, che l’ANSA così sintetizzava:
accelerazione dell'Unione bancaria per arrestare il "drammatico"
credit crunch (in sei anni, il credito all’impresa s’è ridotto del 10,5%);
unificazione del mercato dei capitali; lancio di 'Future Bond’, emessi per finanziare
gli investimenti nelle grandi infrastrutture per trasporti, energia e mercato
digitale; creazione della comunità dell'energia per ridurre la dipendenza
dall'import e ottimizzare le risorse; realizzazione del mercato unico digitale;
promozione della mobilità con la creazione di un fondo che permetta di cercare
lavoro all'estero; revisione degli obiettivi e della struttura della
Commissione, con meno laccioli burocratici e più politiche comuni.
Nel programma di
Verhofstadt, c’è pure un rilancio politico della Ue, in cinque punti: protezione
della privacy; lotta alle discriminazioni senza compromessi; politica comune
dell'immigrazione legale definendo quote di accessi sul modello di Usa, Canada e
Australia; creazione di una procura europea per i reati transfrontalieri; e,
infine, sviluppo della Comunità di difesa europea.
Polemico con gli
‘euro-Abbondio’ alla Barroso, Verhofstadt lo è di più con gli ‘euro-scettici’
alla Beppe Grillo: Tornare alla lira "come vuole Grillo" sarebbe
–dice- "veramente un disastro per l'Italia e per gli italiani".
L'uscita dall'euro "significa tornare alle svalutazioni competitive, ma
chi ne pagherebbe il costo se non i cittadini che perderebbero potere d'acquisto?".
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