A un mese o poco
più dal voto europeo, il vento della campagna è cambiato: pareva la volta buona
che si parlasse d’Unione e di politiche europee; invece, il tono ha già virato alle
polemiche interne, cui l’integrazione offre solo pretesti. E ciò nonostante o,
forse, a causa delle previsioni di ascesa, unanimi e costanti, dei partiti euro-scettici:
l’ultimo studio ad analizzarne l’impatto è dell’Ecfr, The eurosceptic surge’.
A parte formule
generiche e di per sé insignificanti –un’Europa diversa, l’altra Europa, la
svolta e via dicendo- e gli appelli radicali ‘contro’ degli euro-scettici di
varia estrazione, il dibattito europeo si riduce al pro o contro l’euro, o al
pro o contro il rispetto degli impegni, mentre anche temi carichi di tragedia
umana, come quello dell’immigrazione, vengono rozzamente utilizzati a fini
polemici (l’Europa ci lascia soli, l’Europa non ci aiuta, etc). Come se
l’Italia fosse l’unico dei 28 investito dal fenomeno –e non è neppure il più
colpito- e come se l’Italia fosse estranea alle amnesie del Consiglio dei
Ministri dell’Ue quando decide sulle politiche dell’immigrazione.
Se i partiti
euro-scettici usano a loro profitto le magagne dell’Unione, i partiti filo
europei si mascherano dietro formule alternative generiche e cercano conforto
in specchietti per allodole elettorali ‘extra-europei’, a partire dagli sbandieratissimi
80 euro al mese in busta paga –che chi li paga non è ancora chiaro-.
Se questa è la
realtà italiana, lo sfondo europeo, analizzato dall’Ecfr, vede gli
euro-scettici ottenere ampio consenso in tre grandi Paesi dell’Unione, la Gran
Bretagna, la Francia e l’Italia; diventare una delle principali forze politiche
in Grecia, Olanda e Repubblica Ceca; avanzare altrove, e specie in Finlandia,
Danimarca, Austria, Ungheria, Lituania, ma anche in Svezia e Germania.
Secondo il
centro studi, i partiti euro-scettici, “ottenendo maggiore forza transnazionale
all'interno di un sempre più potente Parlamento europeo, potrebbero essere in
grado d’invertire il processo d’integrazione europea e mettere a repentaglio lo
stesso progetto europeo”. La loro avanzata potrebbe essere più devastante dell’avanzata
del Tea Party negli Stati Uniti e
potrebbe allargare lo spartiacque fra Nord e Sud, creditori e debitori.
Una prospettiva
forse eccessiva, verso la frammentazione dei movimenti euro-scettici. Però,
l’Ecfr avverte che “l’impatto maggiore di una vittoria euro-scettica si avrebbe
sulle politiche nazionali (per esempio, l’immigrazione) e con la trasformazione
del dibattito politico in una mera, e sterile, battaglia tra i più e i meno
Europa”. L’Italia ne sta già fornendo un esempio.
La ricetta dell’Ecfr
per contrare il fenomeno è tanto semplice quanto generica: gli europeisti, che
non sono comunque un monolito, dovrebbero “fornire ai cittadini scelte concrete”
e sapere “affrontare i problemi reali”, politicizzando il dibattito, cioè
offrendo alternative tra destra e sinistra, su lavoro, crescita, immigrazione,
ascesa della Cina, etc.
Inoltre i partiti europeisti a livello transnazionale, in particolare popolari, socialisti, liberali, dovrebbero togliersi di dosso l’etichetta d’essere una èlite che difende l’Ue a scapito dei cittadini e sottolineare, piuttosto, come i problemi europei, come l’inadeguatezza dell’euro senza un contesto d’Unione economica e politica e il deficit democratico richiedano una risposta costruttiva a livello europeo, invece che la fuga nel nazionalismo e il rifugio della xenofobia.
Inoltre i partiti europeisti a livello transnazionale, in particolare popolari, socialisti, liberali, dovrebbero togliersi di dosso l’etichetta d’essere una èlite che difende l’Ue a scapito dei cittadini e sottolineare, piuttosto, come i problemi europei, come l’inadeguatezza dell’euro senza un contesto d’Unione economica e politica e il deficit democratico richiedano una risposta costruttiva a livello europeo, invece che la fuga nel nazionalismo e il rifugio della xenofobia.
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