Scritto per EurActiv.it lo 07/04/2014
“Sarebbe suicida elettoralmente e politicamente cedere alla tentazione di considerare il populismo anti-europeo il nemico principale, che assedia la fortezza europea democratica, nella quale rinchiuderci con i conservatori”: lo afferma Massimo D’Alema.
Il presidente della Fondazione Italianieuropei (Ie) e della Feps ha concluso, oggi, a Roma, un seminario su ‘euro-partiti’ ed ‘euro-scetticismo’ nella prospettiva delle elezioni europee. Il dibattito, organizzato da Ie, dalla Feps e da altri centri studi del progressismo europeo, ha offerto un’analisi delle diverse forme che assume il populismo anti-europeo.
Nelle sue conclusioni, D’Alema ha invitato a distinguere "tra ostilità e critica, tra destra e sinistra … La destra si caratterizza per una visione sovranista e per l’attenzione a temi come l’emigrazione e tende a frenare processo d’integrazione… La sinistra è più attenta ai contenuti delle politiche europee”.
Per D’Alema, i socialisti europei dovrebbero presentarsi come “la principale forza critica dell’attuale corso europeo, l’unica forza critica in grado di cambiare le cose”, perché “gli altri non ne hanno la forza”.
Il populismo –dice D’Alema- è l’espressione di una crisi democratica che non tocca solo l’integrazione europea, anche se si polarizza intorno al tema europeo, e che contiene in sé “una domanda di partecipazione”: la spinta “ha già dato risultati”, con un abbassamento dell’età media della leadership di almeno 15 anni, “il che non è di per sè sinonimo di miglioramento”.
E proprio per rispondere alla sfida del populismo, osserva D’Alema, i “partiti tradizionali iniettano dosi di populismo nella propria narrativa: noi siamo quasi all’avanguardia, abbiamo fatto una cura da cavalli”. Però, “non si affronta il populismo senza ricostruire un rapporto con la gente, con gli strati più bassi, dove il populismo di destra raccoglie consensi”.
E bisogna riconoscere che l’Unione europea così com’è non funziona: “E’ incapace di dare risposta alla crisi”. Ci deve essere, si deve vedere un nesso tra i possibili risultati elettorali e “un diverso assetto del governo dell’Europa”, anche se mettere la questione istituzionale avanti –avverte D’Alema- “non premia in termini di comunicazione”.
Gli attuali meccanismi decisionali non sono sostenibili e il funzionamento delle istituzioni “incide sulla vita delle persone”: bisogna rafforzare l’asse Parlamento – Commissione e rovesciare il dibattito sulla sovranità. “Il problema non è cederla, ma recuperarla. E l’integrazione è l’unico modo per recuperare la sovranità perduta dagli Stati nazionali”…
Chi pensa di risolvere i problemi da solo s’illude. In Italia, ora il governo “si diverte a dire che taglierà i costi della politica”, ma per recuperare le somme necessaria l’unico modo, dice D’Alema con una battuta, sarebbe “assassinare tutti i politici: ci vuole un Pol Pot”.
Non si tratta di fare “una campagna demagogica contro i vincoli dei trattati”, ma di “avere la forza di cambiarli”. E molto si può già fare a trattati vigenti: raggiungendo gli obiettivi d’aggiustamento fissati, ma impiegandoci quattro anni di più si produrrebbero, secondo uno studio della Feps, nove milioni di occupati in più. Un gioco che vale la candela.
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