In vista
delle elezioni europee del 25 maggio, emerge, in Italia, e in Europa, la
tentazione di scopare la polvere dell’euro-scetticismo sotto il tappeto delle
Istituzioni: fare spallucce di fronte all'avanzata dei dubbi e delle ostilità
verso l’Ue, perché, comunque, i due grandi partiti più o meno europeisti –
popolari e socialisti - avranno, insieme, la maggioranza assoluta del
Parlamento europeo (ed eccoci ri-servite le larghe intese); o, peggio ancora,
perché i regolamenti dell’Assemblea di Strasburgo limiteranno di per sé
l’impatto degli euro-scettici, che, divisi del loro, per ispirazione politica (estrema
destra, destra, xenofobi, separatisti, di sinistra, di protesta), faranno fatica
a coalizzarsi e, quindi, a contare.
Che
questa tentazione esista lo testimonia
l’analisi di Marco Incerti, del Ceps di Bruxelles, centro studi fra i più
autorevoli in Europa, pubblicata sulla newsletter del Dipartimento della
Presidenza del Consiglio per le politiche europee. L’analisi parte dal
presupposto che uno degli elementi d’attesa delle europee è “il successo dei
partiti variamente catalogati come euro-scettici, populisti o estremisti” e
s’interroga su quale “sarà la loro influenza nel futuro Parlamento”
dell’Unione.
Dato per “innegabile” che vari
Paesi europei siano percorsi da tensioni e insoddisfazioni crescenti nei confronti
dell’Ue, vista soprattutto come “portatrice di austerità”, Incerti fa una serie
d’osservazioni “per inquadrare il fenomeno, valutarne la portata, soppesarne il
possibile impatto”. E, qui, distingue fra “l’impatto in termini di messaggio
politico e tornasole del sentire dei cittadini, e quello sulla capacità di
operare del Parlamento europeo”.
Fra i due, osserva correttamente
Incerti, “il messaggio politico il problema da tenere principalmente in
considerazione”, mentre, per quanto riguarda il funzionamento delle istituzioni,
l’impatto potrà essere “di limitata rilevanza”. Ma gli europeisti d’ogni colore
e valenza commetterebbero un errore, se si sentissero rassicurati da questa
prospettiva.
Che la tentazione sia un rischio,
lo avvertono più i politici che gli eurocrati. A un recente convegno della sua
fondazione Italianieuropei, Massimo D’Alema, dato come futuro commissario
europeo, giudicava “suicida chiudersi
nella euro-fortezza”, ma valutava “fondamentale” il patto istituzionale Ppe-Pse
(un patto che non sia “una gabbia” e che lasci spazio al dialogo con altre
forze, come i verdi e la sinistra euro-critica).
Invece, Federica Mogherini,
ministro degli Esteri, in un’intervista al Foglio, non guarda con favore a una
grande coalizione nella prossima Assemblea di Strasburgo: "La possibilità
esiste, ma non sarebbe un elemento positivo. L'Europa ha bisogno di essere
cambiata, deve avere una maggioranza con un tratto politico. Una grande
coalizione complicherebbe tutto, porterebbe alla conservazione dello statu quo
e sarebbe per tutti, e non solo per noi progressisti, un modo, diciamo così,
per evitare di fare cambiare rotta al nostro continente", strappandolo
alla deriva –parole queste di D’Alema- “verso il trasferimento di risorse dai
più poveri ai più ricchi e la vampirizzazione dei Paesi più indebitati”.
Se la tentazione di scopare la
polvere sotto il tappeto prevarrà, politicamente e burocraticamente, lo si vedrà, subito dopo il voto, anche dall'andamento del match per la presidenza
della Commissione di Bruxelles: i grandi partiti europei, popolari, socialisti,
liberali, la sinistra, i verdi, hanno candidato i loro campioni e, in questo
modo, si sono, in qualche misura e con varie eccezioni, compattati.
Ma solo dopo le elezioni si capirà se le candidature sono “un gioco” o una cosa seria. D’Alema vede una situazione “carica d’incertezze”: non è detto che i governi rispettino le indicazioni dei partiti e del voto, specie se i risultati non saranno netti –i sondaggi danno oggi popolari e socialisti molto vicini gli uni agli altri-. “L’equilibrio aprirebbe spazi a soluzioni di compromesso” e la sfida “potrebbe sfociare in conflitto istituzionale”: se è vero che “la democrazia europea nascerà il giorno in cui il Parlamento boccerà il presidente della Commissione proposto dal Consiglio europeo”, quel giorno potrebbe non essere lontano. Purché non si scopi la polvere sotto il tappeto.
Ma solo dopo le elezioni si capirà se le candidature sono “un gioco” o una cosa seria. D’Alema vede una situazione “carica d’incertezze”: non è detto che i governi rispettino le indicazioni dei partiti e del voto, specie se i risultati non saranno netti –i sondaggi danno oggi popolari e socialisti molto vicini gli uni agli altri-. “L’equilibrio aprirebbe spazi a soluzioni di compromesso” e la sfida “potrebbe sfociare in conflitto istituzionale”: se è vero che “la democrazia europea nascerà il giorno in cui il Parlamento boccerà il presidente della Commissione proposto dal Consiglio europeo”, quel giorno potrebbe non essere lontano. Purché non si scopi la polvere sotto il tappeto.
Nessun commento:
Posta un commento