Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/06/2016 e aggiornato e rielaborato per AffarInternazionali.it dov'è uscito lo 01/07/2016
L’Italia stecca al primo turno e va al ballottaggio a
oltranza con l’Olanda per un posto di membro non permanente nel Consiglio di
Sicurezza dell’Onu. Un testa a testa che ci vede sempre indietro: 125 a 113 al
primo turno, 99 a 92 al secondo, 96 a 94 al terzo, 96 a 95 al quarto, fino a
pareggiare sul 95 al quinto. Ma di lì in avanti i giochi potevano riaprirsi con
nuove candidature.
((E allora prevale la diplomazia creativa: un accordo
per spartirsi il seggio un anno ciascuno, l’Italia nel 2017, l’Olanda nel 2018,
raggiunto tra il Palazzo di Vetro a New York, dove ci sono i ministri degli
Esteri, e il Justus Lipsius di Bruxelles, dove ci sono i premier al Vertice
europeo. La staffetta non è inedita – venne sperimentata la prima volta negli
Anni Cinquanta da Jugoslavia e Filippine -, ma è rara)).
Per passare, ci vogliono due terzi dei votanti
nell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, circa 128 suffragi. Al primo
turno, la Svezia conquista uno dei due seggi in palio per l’Europa Occidentale,
con 134 voti; e passano pure Etiopia e Bolivia. Al secondo turno, ce la fa il
Kazakhstan, che fa fuori la Thailandia nell'area asiatica.
Per l'Italia, sarebbe il settimo mandato. Ma questa
volta non è una marcia trionfale, come nel ’94. E neppure una passeggiata, come
nel 2006. A New York c'è il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, dopo che,
per sostenere la candidatura, si sono spesi il presidente Mattarella e il
premier Renzi.
Centrare l’obiettivo appariva, sulla carta, appariva
non impossibile perché i nostri rivali, Svezia e Olanda, sono Paesi che un po’
s’elidono a vicenda – entrambi del Nord Europa, entrambi ‘piccoli’ almeno come
popolazione, entrambi attenti ai diritti dell’uomo, l’uno però neutrale e
terzomondista, l’altro atlantico e spesso interventista -. L’Italia poteva
contare sui suoi molteplici radicamenti - europeo, atlantico, mediterraneo,
persino latino-americano – e disponeva sulla carta di qualche voto in più del
quorum (ma qualche amico s’è perso per strada). L’andamento degli spogli non è
stato quello atteso.
Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu è composto da
cinque membri permanenti con diritto di veto (cioè i vincitori della Seconda
Guerra Mondiale e le potenze nucleari legittime: Stati Uniti, Gran Bretagna,
Francia, Russia e Cina) e 10 non permanenti, che ruotano ogni due anni cinque
alla volta, con mandato a partire dal primo gennaio. Che il posto sia ambito e
prestigioso lo conferma, se ce ne fosse bisogno, il fatto che, proprio ieri, la
Germania, che lo ha lasciato nel 2012, si sia ri-candidata per un mandato
biennale, il 2019-’20.
L’ultima volta italiana fu nel 2007-’08 – ambasciatore
Marcello Spatafora: fummo i più votati, pari merito con il Sud Africa-. Ma
nella leggenda della diplomazia è entrato il biennio 1995-’96, quando prendemmo
più voti della Germania: l’ambasciatore era Francesco Paolo Fulci, mitica
feluca, che portò a casa consensi persino dispensando allenatori di calcio
nostrani a improbabili nazionali d’arcipelaghi polinesiani. L'esordio fu nel
1959, quando i membri non permanenti erano ancora sei: l’Italia è da 60 anni al
Palazzo di vetro – vi entrò nel 1955 -.
Questa volta, la campagna elettorale è affidata
all'ambasciatore Sebastiano Cardi e al suo vice, pure ambasciatore di rango,
Inigo Lambertini: una coppia d’assi, messa insieme per centrare l’obiettivo,,
alla fine raggiunto a metà.
La ricerca di consensi suggeriva alla diplomazia
italiana atteggiamenti non urticanti nella fase pre-voto, pure verso Paesi non
particolarmente virtuosi, ad esempio, nel rispetto dei diritti dell’uomo (anche
se poi il premier non si faceva scrupolo di prendere a ceffoni i partner
dell’Ue). E la gestione ferma e giusta d’una tragedia come quella al Cairo di
Giorgio Regeni può essersi riflessa nelle urne.
Ma l’Italia non puntava solo sui salamelecchi delle
visite ufficiali e sulle cortesie diplomatiche: può giocarsi credenziali
importanti, è l’8° contributore Onu - ed il primo occidentale -, quanto a
truppe in missioni di pace, è in prima fila nei salvataggi dei rifugiati in
mare, vuole la moratoria della pena di morte e promuove l’uguaglianza di genere
e i diritti di donne e bambine.
Uno dei punti di forza della candidatura era la
disponibilità italiana alla riforma – attesa da anni - dell'Onu e, in
particolare, del Consiglio di Sicurezza. L'Italia chiede da tempo maggiore
trasparenza e più rotazione (ben 68 Paesi non hanno mai fatto parte del
Consiglio), dando maggiore attenzione ai nuovi equilibri economici e
geopolitici.
Creato nel 1945, il Consiglio di Sicurezza è l’organo
dell’Onu che delibera su atti di aggressione o di minaccia alla sicurezza e
alla pace: ha "la responsabilità principale del mantenimento della pace e
della sicurezza internazionale", decide le sanzioni e autorizza interventi
armati. Le decisioni richiedono una maggioranza di almeno 9 dei 15 membri e
nessuno dei cinque membri permanenti vi si deve opporre.
Il 29 settembre, il premier Renzi aveva illustrato motivi
e punti di forza della candidatura di fronte all'Assemblea generale:
"Costruire la pace di domani", il motto dell'Italia. Tra i settori in
evidenza, la cooperazione, in particolare in Africa; l'impegno contro il
terrorismo ma anche quello a favore della cultura, a partire dalla proposta dei
Caschi blu della cultura; la parità di genere; il clima; oltre alla storica
battaglia per la moratoria della pena di morte.
Come punti di forza l'Italia contava sulla posizione strategica al centro del Mediterraneo e sul ruolo nell’accoglienza dei migranti, sulla presenza nelle missioni di pace internazionali, sull'inclinazione al multilateralismo. Tra i Paesi sostenitori, l'Italia ne annoverava molti dell'America latina, diversi arabi e mediterranei, alcuni asiatici. Non tutti hanno mantenuto le promesse fatte.
Come punti di forza l'Italia contava sulla posizione strategica al centro del Mediterraneo e sul ruolo nell’accoglienza dei migranti, sulla presenza nelle missioni di pace internazionali, sull'inclinazione al multilateralismo. Tra i Paesi sostenitori, l'Italia ne annoverava molti dell'America latina, diversi arabi e mediterranei, alcuni asiatici. Non tutti hanno mantenuto le promesse fatte.
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