Scritto per Il Fatto Quotidiano del 25/07/2013
Se
l’Italia si muove con imbarazzo e la Bonino non batte pugni sul tavolo, il
Kazakhstan, invece che starsene buono, aspettando che la buriana passi, fa la
voce grossa: Alma Shalabayeva, la moglie dell’oppositore dissidente, oltre che
ricercato internazionale, Mukhtar Ablyazov, può tornare, se vuole, in Italia, a
patto però che vi sia imprigionata per quattro anni per uso di documenti falsi;
e quel che il ministro degli esteri italiano dice dell’inutilità
dell’ambasciatore kazako in Italia, che sarebbe ormai bruciato, è solo un
“parere personale”.
A parlare
con tanta chiarezza, proprio mentre la Bonino interveniva davanti alle
commissioni Esteri di Camera e Senato, è
stato ieri Yerbol Orynbayev, vice-premier kazako, che a Bruxelles
guidava la sua delegazione al Consiglio di Cooperazione con l’Ue. Orynbayev non
si cela dietro il paravento delle parole, timide e vuote, del presidente di
turno lituano del Consiglio dei 28: del caso Ablyazov, “abbiamo brevemente
parlato”, dice, reticente, il ministro degli esteri di Vilnius Linas
Linkevicius.
Il
vice-premier, invece, racconta che, a pranzo, con gli interlocutori europei, ha
discusso “i dettagli del caso”. E aggiunge che Astana non avrebbe problemi a rimandare Alma e la
figlia Alua in Italia, purché –prima condizione- “vi siano garanzie di poterla ancora
interrogare in futuro” e la donna s’impegni a presentarsi a testimoniare, se
fosse chiamata a farlo in un processo in Kazakhstan.
E c’è pure
una seconda condizione: ''Se Alma torna, dovrebbe essere imprigionata per
quattro anni", perché ha usato un passaporto falso,
come sarebbe stato accertato dall'Interpol del Centrafrica - secondo quanto
riferito dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza italiano – durante le indagini svolte
dalla questura di Roma. La questione del passaporto della Shalabayeva è
controversa, ma Orynbayev insinua: se questa è la prospettiva, “è dubbio che
voglia tornare”. Del resto, perché mai dovrebbe volere rientrare in un Paese
che l’ha espulsa senza troppi riguardi?
Sempre in
conferenza stampa, a Bruxelles, il vice-premier afferma che le autorità kazake
stanno aspettando una decisione dell'Italia sulla possibile espulsione
dell'ambasciatore kazako a Roma Andrian Yelemessov, prima di prendere
contromisure: "Attendiamo una decisione ufficiale, se mai dovesse esserci,
e quindi reagiremo''. Il che preannuncia una sorta di reazione a catena, come
spesso avviene in questi casi: se l’Italia dichiara ‘persona non grata’
l’ambasciatore kazako, Astana farà probabilmente altrettanto con l’ambasciatore
d’Italia laggiù, Alberto Pieri, che, in questi giorni, mantiene aperti i canali
di contatto con Alma e la figlia.
E quando un giornalista gli fa notare che la Bonino ha
definito l'ambasciatore Yelemessov ormai inutile agli stessi kazaki, perché dopo quanto accaduto "non lo riceverebbe più nessuno, Orynbayev, che non
dev'essere un diplomatico di formazione, risponde che i pareri del ministro italiano
"sono personali", sono solo “un punto di vista”.
La Bonino replica, dopo l’intervento davanti alle commissioni: "Il giudizio sul comportamento dell'ambasciatore kazako, inaccettabile, è già stato dato dal presidente della Repubblica e dal presidente del Consiglio". Ma Yelemessov si schermisce dalle accuse mossegli: in un’intervista, nega di avere fatto pressioni sul ministro dell’interno Angelino Alfano e anche di avergli parlato e dice di essersi limitato a passare carte dell’Interpol alla polizia italiana. Alma e la figlia –ammette, aggravando la posizione del governo Letta- "non c'entrano niente": "Le abbiamo rimpatriate perché l'Italia le ha espulse", ma "possono tornare, basta che avanzino una richiesta". "Qual è la mia colpa –chiede il diplomatico-? Ho puntato una pistola a qualcuno?". Non, di sicuro non ne ha avuto bisogno.
La Bonino replica, dopo l’intervento davanti alle commissioni: "Il giudizio sul comportamento dell'ambasciatore kazako, inaccettabile, è già stato dato dal presidente della Repubblica e dal presidente del Consiglio". Ma Yelemessov si schermisce dalle accuse mossegli: in un’intervista, nega di avere fatto pressioni sul ministro dell’interno Angelino Alfano e anche di avergli parlato e dice di essersi limitato a passare carte dell’Interpol alla polizia italiana. Alma e la figlia –ammette, aggravando la posizione del governo Letta- "non c'entrano niente": "Le abbiamo rimpatriate perché l'Italia le ha espulse", ma "possono tornare, basta che avanzino una richiesta". "Qual è la mia colpa –chiede il diplomatico-? Ho puntato una pistola a qualcuno?". Non, di sicuro non ne ha avuto bisogno.
Al confronto con quello del vice-premier kazako, il
linguaggio del presidente di turno europeo è esangue: "Seguiamo gli
sviluppi della vicenda da vicino e osserviamo la situazione per quanto ci
attiene”, dice il ministro Linkevicius, cui la Bonino s’era rivolta. Questo è
l’appoggio che ci si può attendere dai partner europei: inquinato anch’esso,
come la fermezza italiana, da gas e petrolio kazaki. Che da Bruxelles non
avremmo avuto aiuto l’avevamo già capito: parole di circostanza di Lady Ashton,
che altre non sa dirne, nonostante alcuni eurodeputati l’abbiano sollecitata, e
timidi passi presso le autorità kazake della Commissione europea, senza però
che il presidente dell’Esecutivo Manuel Barroso si spenda in prima persona.
Eppure, si dice amico del despota Nazarbayev (o, forse, proprio per questo).
Nel pasticcio, però, ci siamo cacciati noi stessi. E, ai punti, vincono anche oggi i kazaki. La Bonino tiene la rotta della prudenza, non agisce contro l’ambasciatore, non fa volare in aria gli stracci, come era parsa annunciare lunedì, quando aveva parlato di “punti oscuri” in altre istituzioni, tranne quando afferma che “la Farnesina ha gestito il caso ex post” e rivendica di avere sempre “promosso e sollecitato un chiarimento”. Il ministro è “tormentata”: insiste che la "priorità" è la tutela di Alma e Alua, “quel che ci sta più a cuore". E dice di sentire “come obbligo morale, prima che politico", mantenere "contatti intensi” con le due donne e con le autorità kazake. Certo, se non le cacciavamo, non stavamo qui a piangere sul latte versato.
Nel pasticcio, però, ci siamo cacciati noi stessi. E, ai punti, vincono anche oggi i kazaki. La Bonino tiene la rotta della prudenza, non agisce contro l’ambasciatore, non fa volare in aria gli stracci, come era parsa annunciare lunedì, quando aveva parlato di “punti oscuri” in altre istituzioni, tranne quando afferma che “la Farnesina ha gestito il caso ex post” e rivendica di avere sempre “promosso e sollecitato un chiarimento”. Il ministro è “tormentata”: insiste che la "priorità" è la tutela di Alma e Alua, “quel che ci sta più a cuore". E dice di sentire “come obbligo morale, prima che politico", mantenere "contatti intensi” con le due donne e con le autorità kazake. Certo, se non le cacciavamo, non stavamo qui a piangere sul latte versato.
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