Quale Europa,
per l’Italia?, e quale Italia, in Europa? Su questi temi, c’è un fervore
inconsueto d’incontri e di dibattiti. Movimenti europeisti, centri studi, persino
alcuni politici hanno, o prendono, coscienza del profilarsi all’orizzonte
dell’ingorgo istituzionale Ue 2014, di cui l’Italia sarà protagonista, perché,
nel secondo semestre, avrà la presidenza di turno del Consiglio dei Ministri
dell’Unione.
Il ritmo sarà
serrato: a fine maggio, le elezioni europee; poi, il rinnovo dei vertici delle
Istituzioni dell’Ue e di tutta la Commissione di Bruxelles; e, dopo, la
prospettiva –nebulosa, ora- dell’avvio d’una fase d’approfondimento, e di
revisione, dell’integrazione. La stagione delle nomine potrebbe anche
coincidere con qualche novità procedurale, come la designazione, da parte dei
partiti europei, di candidati alla presidenza dell’Esecutivo; e c’è pure chi
prospetta, ma è ipotesi più sfumata e incerta, una confluenza dei ruoli di
presidente dell’Esecutivo comunitario e del Consiglio europeo.
Senza contare le
suggestioni storiche di cui il 2014 è latore, con una coincidenza quasi
perfetta - nota il ministro degli Affari europei Enzo Moavero - tra “l’inizio
della disgregazione e la fine dell’integrazione”: a cent’anni dall’assassinio
di Sarajevo e dalla deflagrazione della Grande Guerra, si starà per completare
l’inserimento dei Balcani nell’Unione.
Molte le occasioni
per parlarne, nella settimana che si conclude. Solo per citarne alcune: martedì
9, alla Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, la presentazione, un po’ fuori
tempo, dell’annuario IAI e ISPI sulla politica estera dell’Italia; mercoledì 10,
l’incontro del ministro degli Esteri Emma Bonino con il comitato direttivo
dell’Istituto Affari Internazionali; giovedì 11, nella Sala della Protomoteca
in Campidoglio, l’East Forum 2013 dedicato al tema ‘Cittadinanza europea,
legittimità democratica e unione economica: quale agenda per un’Europa più
forte”.
L’East Forum è
stata la scena di un vero dibattito tra un vero euroscettico, col senso del
marketing, Vaclav Klaus, ex presidente della Repubblica Ceca (“la risposta è
meno Europa, non più Europa”), e un vero europeista, Guy Verhofstadt, ex premier
belga, eurodeputato, co-presidente del Gruppo Spinelli. Ma pure Franco
Debenedetti, presidente dell’Istituto Bruno Leoni, non ha sfigurato quanto a
euro-sfiducia, argomentando che “chi parla di Stati Uniti d’Europa parla contro
l’Europa” e che “l’Europa non è la nostra salvezza”.
Uno dei nodi del
dibattito europeo è la cessione di sovranità degli Stati all’Unione perché si
realizzi, ad esempio, una vera governance europea dell’economia e della
finanza, oltre le Unioni monetaria e bancaria, e perché s’avanzi in prospettiva
verso l’Unione politica. Verhofstadt spiega che più potere all’Unione non
significa perdere sovranità, ma, al contario, riappropriarsi di una sovranità
che, nell’attuale contesto internazionale, gli Stati europei hanno già perduto:
nel giro di due/tre decenni, il vero G8, dove oggi siedono impropriamente
quattro Paesi Ue, non ne vedrà presente neppure uno, perché, accanto a Usa,
Cina, India, Giappone, Brasile e Russia, vi saranno Messico e Indonesia.
Nel disegno della
Bonino, l’Europa è, con la Diplomazia per la Crescita e le crisi del Mediterraneo,
uno dei tre filoni principali della politica estera italiana, con la certezza
che, sull’integrazione, “non si torna indietro, ma si va avanti”. Senza
riconoscersi in nessuna delle tre posizioni oggi prevalenti nei 27 –non solo a
livello di governi, ma anche di opinioni pubbliche-: quelli che puntano tutto e
solo sul mercato; quelli che preferiscono stare fermi, aspettando il
superamento della crisi (o, magari, a più breve termine, le elezioni tedesche);
e quelli che vorrebbero smantellare quel che c’è, a cominciare dall’euro.
Al di là del
riconoscimento degli errori e delle latitanze dell’Unione (contro la crisi, o
sui fronti della politica estera), la Bonino è pronta a “dare battaglia” verso
un’Unione politica caratterizzata da un federalismo leggero e un bilancio più
robusto: la formula è servita, bisogna ora darle concretezza e contenuti. E fra
gli europeisti c’è chi prepara la battaglia non solo per un approfondimento
dell’integrazione, ma anche – nota l’ambasciatore Rocco Cangelosi, ex rappresentante
dell’Italia presso l’Ue – per un cambiamento delle regole
Il tutto nel
segno di appelli schizofrenici a una maggiore democraticità delle istituzioni
europee, dove, da una parte, si vuole più partecipazione alle scelte europee,
ma, dall’altra, si teme l’inquinamento populista. Fin quando Giuliano Amato
sbotta in un “basta con il demos”, ché, “se fossimo stati ad aspettare il
popolo, l’unità d’Italia non si sarebbe ancora fatta”. La legittimazione delle
istituzioni europee si fa “dando loro più potere”. Resta il problema del come.
Magari, se ne discuterà nella prossima legislatura del Parlamento europeo, se
la crisi sfumerà e sarà più facile prendere decisioni non solo contingenti, ma
di prospettiva.
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