Scritto per EurActiv il 16/07/2013
Se si paragonano le spese e le capacità militari
degli Stati europei e degli Stati Uniti, viene fuori che il costo della
mancanza d’una difesa continentale integrata s’avvicina ai 120 miliardi di euro
l’anno. Uno spreco spaventoso, paragonabile all’intero bilancio annuo
dell’Unione europea, che s’aggira sui 140 miliardi di euro. Uno spreco ancora
più impressionante, considerando che la spesa globale per la difesa dei Paesi
europei ammonta a circa 200 miliardi di euro l’anno: tre euro su cinque, insomma,
sono buttati via in duplicazioni e ridondanze che non migliorano l’efficacia
complessiva.
Dall’integrazione della difesa europea, l’Italia
potrebbe ricavare risparmi per 14/15 miliardi di euro l’anno: roba da coprirci
la cancellazione dell’Imu sulla prima casa, la rinuncia all’aumento dell’Iva e un bel pacchetto di investimenti produttivi,
con impatto positivo sulla crescita e l’occupazione.
Cifre e considerazioni che ricaviamo da un articolo
di Valerio Briani su AffarInternazionali.it, rivista online dell’Istituto
Affari Internazionali, del 23 aprile e da studi dello IAI e di altri think
tanks italiani. Sono dati che, spesso, restano al margine del dibattito sulle
spese della difesa, tutto avvitato, in questi giorni, sull’acquisto, o meno,
degli F35, di cui s’è discusso oggi al Senato, dove la mozione della
maggioranza è stata approvata e quelle delle opposizioni sono state bocciate.
Per spostare il dibattito su un terreno più generale
e per dargli una prospettiva di medio periodo ed europea, due convegni si sono svolti a Roma: a fine
giugno, ‘I costi della non-Europa della difesa’, organizzato da Istituto Affari
Internazionali e Centro Alti Studi per la Difesa a Roma, presso Casd, il cui
presidente Rinaldo Vieri ha affermato che il progetto politico europeo può
avere un futuro solo con una visione unitaria nei campi della sicurezza e
difesa; e oggi, ‘Una difesa sotto attacco: costi e benefici’, organizzato da
IAI e Nato a Palazzo Rondinini.
A discutere, in entrambi i casi, politici e
militari, esperti e docenti, ricercatori e giornalisti. In Italia, come negli
altri Paesi dell’Unione europea, la difesa e la sicurezza hanno subito tagli
profondi, negli anni della crisi e in conseguenza della politica di austerità.
Tra il 2005 e il 2012, il bilancio della difesa dei 27 s’è già ridotto da 200 à
170 miliardi di euro, un calo del 15%. Eppure, i margini per coniugare
risparmio ed efficienza restano notevoli.
L’opinione pubblica e pure quella politica tendono a
considerare la sicurezza europea assicurata dalla Nato e a dare per scontato
che i Paesi europei, pure le ‘potenze nucleari’, come Gran Bretagna e Francia,
non siano in grado di sostenere un conflitto e neppure un’intera missione
militare internazionale. Eppure, un rimedio ci sarebbe: unificare, d’intesa e
non in contrasto con gli Stati Uniti, le strutture di difesa e di sicurezza
europee per ridurre le spese nazionali ed aumentare l’efficacia continentale
del dispositivo militare.
Tentativi per ampliare la collaborazione europea nel
campo della difesa e della sicurezza sono stati già attuati in quattro
direzioni: istituzionale, militare, industriale e scientifico-tecnologica. Ma queste
collaborazioni restano insufficienti e mal sfruttate. Eppure, l’unica via perché
l’Europa resti una potenza internazionale sul piano militare è quella della
condivisione e dell’integrazione. Se ne discuterà a dicembre, a un Consiglio
europeo dedicato proprio alla difesa e alla sicurezza, anche se l’approccio
rischia di essere più da mercato interno che da politica estera e di sicurezza
comuni.
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