La politica estera, non solo quella italiana, segue sovente percorsi tortuosi. Tutto sta, però, a sapere dove si vuole arrivare. Prendete una notizia di ieri, apparentemente anodina: il ministro degli Esteri Emma Bonino va a Budapest, nella capitale dello Stato meno presentabile dell’Ue, il cui governo ha scarso rispetto per i principi democratici fondamentali, e vede il collega ungherese Janos Martonyi, “nella prospettiva – recita un comunicato della Farnesina - di definire le priorità” della presidenza di turno italiana del Consiglio dei Ministri dell’Ue nel secondo semestre 2014.
Uno pensa: “Ma c’era proprio tanta fretta di andare a sentire gli ungheresi, mentre a Roma la casa brucia?”. Poi, andando avanti nel comunicato, si scopre che lì a Budapest c’era pure il ministro degli Esteri indiano Salman Khurshid, ospite della Conferenza degli Ambasciatori ungheresi. E, lì, la Bonino l’ha incontrato: evocando “il rinnovato clima di cooperazione” fra Roma e New Delhi sulla vicenda dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, Emma “ribadisce il forte auspicio di una rapida conclusione delle indagini e del processo”, sottolineando “la volontà di continuare a perseguire l’obiettivo del rientro in Italia in tempi rapidi dei due militari”.
Insomma, dai kazhaki siamo certi che Alma Shalabayeva e sua figlia non le avremo mai indietro. Ma Latorre e Girone ci speriamo e ci proviamo, perché -non sai mai che tornino- la festa per loro attenuerebbe le polemiche per la moglie e la figlia del dissidente espulse.
Alla politica estera italiana, in realtà, non mancano le idee chiare sulle linee guida: una volta, dicevi atlantismo ed europeismo –ma potevi anche invertire l’ordine dei fattori- ed avevi detto (quasi) tutto, perché un po’ di attenzione al Medio Oriente, se non altro per la vicinanza, l’abbiamo sempre avuta. Adesso la Bonino declina così i suoi tre filoni principali: Diplomazia della Crescita, Europa e crisi del Mediterraneo; e, più o meno, ci siamo.
Il problema non sono le pentole: quelle sono a posto. Sono i coperchi che ci vengono male: quando si tratta di calare principi e linee guida nei singoli episodi, inanelliamo incidenti di percorso, particolarismo invece di visione generale, episodicità invece di costanza, quantità invece di qualità, i difetti italici li ritroviamo tutti nella nostra politica estera.
Non c’è neppure bisogno di andare indietro nel tempo, alle scelte sciagurate del sodalizio B & B, Bush e Berlusconi, negli anni più bui della guerra al terrorismo. Gli incidenti di percorso si vanno infittendo: Cesare Battisti, con il governo brasiliano dell' 'amico Lula’ che si fa beffe della richiesta di estradizione di un terrorista pluri-condannato in via definitiva per concorso in omicidio; i marò, ‘me li tengo, te li do’, mi rimangio la parola e me la rimangio di nuovo, sullo sfondo dei rapporti con l’India inquinati da affari non esemplari dell’industria delle armi nostrana; il caso Snowden, con lo spazio aereo italiano chiuso, come quello francese ed altri europei, al presidente boliviano Evo Morales perché gli Usa sospettavano che sul suo velivolo ci fosse la ‘talpa del Datagate’ – e non era vero -; infine, la macchia peggiore, la consegna kazhaka, che trasuda timore di dispiacere a un despota post-sovietico, Nazarbayev, e la disponibilità a barattare diritti dell’uomo con petrolio.
Di pari passo, gli amici impresentabili: il Cavaliere li collezionava con cura, Putin il russo, Lukashenko il bielorusso, lo stesso Nazarbayev. Il contagio arriva al governo delle larghe intese: Letta strizza l’occhio ad Aliyev l’azero, dopo la scelta del gasdotto Tap. E capita pure che, a trattare con gli impresentabili, si mandino faccendieri ancor più impresentabili, come Lavitola, plenipotenziario di Mr B a Panama e altrove.
Infine, c’è il problema del personale politico, che agli Esteri non è sempre stato di prim’ordine. Dall’interim di Berlusconi, di cui resta la foto mentre fa le corna ai colleghi dell’Ue, a Frattini, che cablo Usa impietosamente diffusi da Wikileaks definivano “fattorino”, all’ambasciatore promosso ministro al merito tecnico Giulio Terzi di Sant’Agata che, della grande tradizione diplomatica italiana aveva solo il nome nobile.
Certo, non ci aiuta, a noi che Grande Potenza non siamo mai stati, neppure con la Terza Sponda e dieci milioni di baionette, l’assenza di una politica estera e di sicurezza europea, dentro la quale potremmo talora mimetizzarci. Dal 2008 pure la parvenza di politica estera europea s’è volatizzata: con la crisi, l’Ue pensa solo al proprio ombelico; e nessuno sa essere irrilevante come Lady Ashton.
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