Scritto per Il Fatto Quotidiano dell'11/02/2014
C’è chi paventa
che il referendum svizzero sia l’avanguardia della valanga euro-scettica che,
con le elezioni di maggio, potrebbe abbattersi sull’Ue. E c’è chi lo spera. I
primi cercano di tirare su dighe e ripari. I secondi preparano l’attacco alla
diligenza dell’integrazione, tirata avanti a passo lento da vecchi ronzini.
Al Parlamento
europeo, popolari e socialisti hanno avuto una bella pensata: contro l’euroscetticismo,
mettere in campo le larghe intese. Una Santa Alleanza tra i due maggiori gruppi
dell’Assemblea di Strasburgo, oggi e –si calcola- pure dopo il voto, per
prendersi tutto, senza stare a spartire con terzi incomodi cariche e
commissioni, attualmente suddivise con i liberali e le altre forze che “giocano
il gioco” europeo.
A
Bruxelles, ci si attende a maggio un testa a testa tra Ppe e Pse per il gruppo
più numeroso, mentre si dà per scontato che i rapporti di forza fra i gruppi a
seguire, liberali, Verdi, sinistra, conservatori, subiranno modifiche. E gli
euro-scettici potrebbero diventare la terza forza, ma potrebbero lo stesso faticare
a trovare una collocazione nell'aula, a causa delle regole per la formazione di
un gruppo: ci vogliono almeno 25 deputati e di almeno sette Paesi diversi.
I funzionari
agitano lo strumento del regolamento e puntano sul fatto che gli euro-scettici,
di destra e di sinistra, non si metteranno mai insieme, anche se le loro
reazioni corali al referendum elvetico fanno piuttosto pensare il contrario: i
‘confederati’ Marine Le Pen, Matteo Salvini e Geert Wilders fanno coro; e
persino il britannico dell’Ukip Nigel Farage, che più che con loro potrebbe
apparentarsi ad Alba Dorata, condivide il loro entusiasmo, “fantastico”.
L’impressione
è che calcoli e considerazioni di eurodeputati ed eurocrati sottostimino
l’impatto degli euro-scettici e sopravvalutino
la portata delle pastoie burocratiche. E le larghe intese, trapiantate dai
Parlamenti nazionali a quello europeo, paiono la ricetta giusta per allontanare
ulteriormente i cittadini dall’Unione, deludendoli –e annoiandoli- con un
‘grande inciucio’.
Il giorno dopo il
referendum che reintroduce in Svizzera
le quote sugli stranieri, Unione e Confederazione appaiono in rotta di
collisione, anche se Berna frena –i tempi sono lunghi- e Bruxelles mitiga
l’irritazione con l’ironia: “Il mercato unico non è un gruviera tutto
buchi", dice Viviane Reding, vice-presidente della Commissione europea e
responsabile della Giustizia.
E’ minacciata la libertà di circolazione
delle persone nell’area di Schengen, di cui la Svizzera fa parte pur
stando fuori dall’Unione: un principio che l’Ue non intende rimettere in
discussione. L’Esecutivo di Bruxelles fa sapere che “esaminerà le implicazioni del referendum in
tutti i suoi aspetti” e osserva che, per il momento, gli accordi esistenti
restano in vigore.
I Grandi dell’Ue vedono “grossi
problemi”, proprio mentre Bruxelles e Berna negoziano su fisco e banche. Ne
discutono i ministri degli Esteri dei 28: Emma Bonino è “preoccupata”. Gli
eurodeputati sono caustici: il presidente dell’Assemblea Martin Schulz accusa
gli svizzeri di volere trarre vantaggio dell’Unione senza pagarle dazio; e
Hannes Swoboda, capogruppo socialista, parla di “un passo indietro”. Ma in
Francia il partito dell’ex presidente Sarkozy cavalca il populismo.
E c’è rischio di
un effetto domino: in Italia, la
Lega , incurante del fatto che i frontalieri colpiti siano
soprattutto i ‘suoi’ comaschi e varesini, agita l’idea d’un referendum. Pur se
la situazione elvetica è diversissima dalla nostra: nel 2013, quasi 2 milioni
di svizzeri erano stranieri, il 23,3% su 8 milioni di abitanti, quasi quattro
volte la percentuale degli stranieri in Italia –meno del 7%-.
Risicato il
risultato (il sì vince con il 50,3%, appena 19 mila voti), spaccata la Confederazione : 9
cantoni a favore, i tedeschi e il Canton Ticino; 8 contro, i francesi. La Svizzera italiana è la
più radicale: 68% di sì. Gli italiani, del resto, sono gli stranieri più numerosi,
290 mila, oltre a 65mila frontalieri.
Il risultato del
referendum contro l’immigrazione di massa promosso dall’Udc, un partito di
destra, conservatore, deve essere applicato entro tre anni: il governo elvetico
deve preparare una legge d’attuazione e sottoporla al Parlamento. Sia i
ministri che i deputati di Berna avevano espresso parere contrario
all’iniziativa popolare. Entro il 2016, vanno cioè rinegoziati i trattati
internazionali –sono sei quelli con l’Ue- che contrastano con il principio ora
affermato secondo cui “la
Svizzera gestisce autonomamente l’immigrazione degli
stranieri”. I cittadini elvetici accettarono il principio della libera
circolazione delle persone con un altro referendum, nel 2000. Ora, invece,
vogliono limitare i permessi di dimora per stranieri attraverso “tetti massimi e
contingenti annuali”, applicati a tutti, inclusi cittadini dell’Ue, frontalieri
e richiedenti asilo.
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