Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 24/10/2014
Chiariamo subito che il Vertice europeo che si conclude
oggi a Bruxelles conta poco, anzi non conta quasi nulla: si salutano gli
‘amici’ che partono, Van Rompuy, Barroso, la baronessa Ashton, di cui molti non
si erano neppur accorti che ci fosse, in questi cinque anni. E si augura buon
lavoro a quelli che arrivano, Tusk, Juncker, Federica Mogherini. In termini
calcistici, un ‘homenaje’, una di quelle partite finte e inutili che si giocano
per rendere onore a un campione che lascia.
Certo, in agenda ci sono temi importanti, l’energia e il
clima, Ebola, le crisi internazionali. Ma molte decisioni sono precotte. E le
strategie anti-crisi, per la crescita e l’occupazione, è tempo quasi perso
discuterle qui: a dicembre, quando –detto fra due trattini- il semestre di
presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue se ne sarà scivolato via,
Juncker porterà il suo piano da 300 miliardi di investimenti più o meno freschi
e ci sarà di che discutere e di che spingere per la crescita.
Anche il dialogo di stagione tra la Commissione europea e
i governi dei Paesi con i bilanci non proprio in ordine, fra cui l’Italia non
manca mai, è routine: richieste di chiarimenti, risposte, una trafila che si
ripete ogni anno. E che stavolta comincia con interlocutori per i governi
‘provvisori’, perché il negoziato andrà avanti con la prossima Commissione.
E, allora, uno si aspetterebbe un Vertice europeo da
tarallucci e vino: è stato bello, alla prossima, che, per Van Rompuy, che si
presenta con i suoi cinque nipotini, e per Barroso magari non ci sarà.
Invece, Matteo Renzi la butta in caciara e ci guadagna
(voti, di sicuro): il premier è bravissimo a cogliere l’assist fornitogli da
Barroso, che prende cappello perché l’Italia rende pubblica la lettera con cui
la Commissione chiede chiarimenti sulla Legge di Stabilità. Il presidente
dell’Esecutivo parla di "decisione unilaterale del governo italiano",
cui la Commissione "non era favorevole".
Il premier coglie l’occasione al volo. I dispacci
d’agenzia riferiscono concordi le sue parole: "Sono stupito della
reazione di Barroso. La lettera era stata anticipata dal Financial Times. E’ il
momento della trasparenza totale. E' finito il tempo delle lettere segrete …
Ogni dato sensibile dev'essere pubblicato", anche "le spese dei
palazzi" delle istituzioni europee.
Renzi ignora agenda e programmi e si prende tutta
l’attenzione. Almeno quella dei media, almeno di quelli italiani. Perché non è
detto che capi di Stato e di governo ne prestino altrettanta, a battute dove
due miliardi diventano bruscolini e il rispetto delle regole dell’Unione
“questione di virgole”.
"Stiamo discutendo di 2 miliardi di
differenza", prosegue il premier, su una manovra da 36 miliardi, dentro un
bilancio da 800 miliardi, “per un Paese che ogni anno dà 20 miliardi
all'Europa", anche perché - ma questo Renzi non lo dice - non è capace di spendere
i soldi messi a sua disposizione.
"I 2 miliardi che potrebbero, in teoria, essere
necessari – continua il premier - corrispondono a un piccolissimo sforzo",
anche se, poi, quando li si vanno a cercare, i soldi non è mai facile trovarli,
a meno di tagliare i servizi o di prenderli dalle tasche dei cittadini –il che
è la stessa cosa-.
Poi, l’affondo polemico, intriso di quel mix di
qualunquismo ed euroscetticismo che gli dà impatto nazional-popolare e ne
garantisce il successo mediatico: da oggi, "pubblicheremo tutti i dati di
quel che si spende in questi palazzi”,
cioè nelle sedi dell’Ue; “sarà molto divertente". Già. E sai come si
divertono i cittadini a sapere come si spendono i soldi nei nostri palazzi.
Renzi avverte che la Commissione in fase di transizione è
vulnerabile, sa che la Germania non cerca qui lo scontro, che la Francia e
altri Paesi hanno le difficoltà dell’Italia –hanno pure ricevuto lettere da
Bruxelles analoghe, ma non ne fanno una bandiera-. E conclude trionfalmente:
"Abbiamo fatto una grande manovra per ridurre le tasse, che era quello che
ci chiedeva l'Europa. Ora che l’abbiamo fatta, non sarà certo una discussione
sulle virgole a
fermare il nostro percorso".
A riportare la questione nel suo ambito è il presidente
Hollande, che uscendo dal Vertice dà lezione sia a Barroso che a Renzi: “Non
pubblichiamo –dice- lettere banali, in cui si chiedono solo spiegazioni. Ne
parliamo di continuo con la Commissione, il dialogo prosegue in un clima
positivo. Risponderemo entro la settimana e, mi spiace, ma ancora non usiamo
twitter”. Roba che, se Renzi lo avesse saputo in tempo reale, gli avrebbe
subito replicato con un tweet.
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