Pubblicato da AffarInternazionali il 27/10/2014
Barack Obama pare avere fretta di
lasciarsi alle spalle il voto di mid-term, che, il 4 novembre, potrebbe
aprirgli sotto i piedi la botola dell’inferno: un ultimo biennio alla Casa
Bianca con tutto il Congresso contro, la Camera, che già lo è, e pure il Senato
nelle mani dei repubblicani. Un’ipotesi non remota, per come vanno i sondaggi.
Anzi, molto probabile.
Nelle elezioni di ‘mid-term’, gli americani rinnovano
tutta la Camera -435 seggi- e un terzo del Senato, oltre a eleggere numerosi
governatori e loro vice. C’è poi il consueto corredo di una miriade di voti
locali e di referendum.
A una settimana dal voto, i repubblicani hanno ampliato il loro vantaggio sui democratici da 5 a 11 punti. Lo rivela l’ultimo sondaggio di Wall Street Journal/ NBC News: il 52% degli intervistati vuole un Congresso a maggioranza repubblicana, il 41% lo vuole controllatiodai democratici. Non è una situazione insolita, negli Usa, che Amministrazione e Congresso abbiano colori diversi: la sperimentò pure Bill Clinton; e Obama ha sempre avuto contro la Camera, tranne che nei suoi primi due anni.
Barack
manda Michelle
Il presidente ha già votato, in largo anticipo, il 20 ottobre, in un seggio di Chicago, dove partecipava a una raccolta di fondi per i democratici: si è messo in fila con altri elettori solleciti, ha smanettato al computer, ha ritirato il certificato timbrato. E s’è messo in posa con il personale del seggio, per una foto ricordo.
Il presidente ha già votato, in largo anticipo, il 20 ottobre, in un seggio di Chicago, dove partecipava a una raccolta di fondi per i democratici: si è messo in fila con altri elettori solleciti, ha smanettato al computer, ha ritirato il certificato timbrato. E s’è messo in posa con il personale del seggio, per una foto ricordo.
Obama s’è fatto vedere relativamente
poco, in questa campagna. Di buone scuse, per restare a fare il comandante in
capo alla Casa Bianca, ne ha: l’Ebola, per dirne una, che unisce l’America
nell’ansia, e anche la guerra al terrorismo e al sedicente Stato islamico. Ma, in
realtà, il presidente, molti non lo vogliono accanto sul palco: i candidati
democratici temono il contagio della sua bassa popolarità.
A un comizio in Maryland, per
sostenere il candidato governatore democratico Anthony Brown, una parte del
pubblico se n’è andata prima che Obama finisse di parlare, in segno di
disappunto. Così, il peso della campagna è più sulla moglie, Michelle, che su
di lui: carisma e grinta, Michelle, in un video, sprona gli elettori
democratici ad essere “affamati”, a meritarsi “un congresso che lavori per voi
e per le vostre famiglie”.
Anche Hillary, che gli fu segretario
di Stato nel primo mandato, tiene le distanze e, almeno in politica estera, non
gli risparmia critiche, come un altro ‘clintoniano’, l’ex segretario alla
difesa Leon Panetta, o come l’ex presidente, e pure Nobel per la Pace, Jimmy
Carter. E proprio i Clinton, e persino il vice-presidente Joe Biden, sono
testimonial elettorali più ambiti del presidente.
Disaffezione e freddezza
Gli Stati Uniti si avvicinano al
voto di mid-term in un clima di sfiducia e disaffezione alla politica che
accomuna Congresso e Casa Bianca e che fa tanto Italia. Solo il 9% di quanti
intendono recarsi alle urne –saranno probabilmente il 50% dei potenziali
elettori, non di più- sono "entusiasti" del presidente: siamo ben
lontani dal fervore e quasi dall’entusiasmo che salutò, nel 2008, l’ingresso
alla Casa Bianca del primo presidente nero degli Stati Uniti.
Il sondaggio che ha tastato il polso
dell’emozione politica dell'elettorato statunitense è stato condotto da Ap-Gfk:
alla domanda più scontata se approvassero o meno l’operato di Obama, il 17% ha
risposto di sì con forza e il 44% di no con pari forza. Ma davanti alla scelta
che sollecitava l’entusiasmo o la delusione dell'elettorato solo il 9% s’è
detto "entusiasta" di Obama, mentre il 34% ce l’ha con il presidente.
E nonostante il lavoro ci sia, con
la disoccupazione su valori fisiologici, e la crescita sia robusta, anche la
fiducia degli americani nelle capacità di Obama di gestire l'economia è ai
minimi dal 2009.
In un sondaggio della Cnbc, solo il
24% degli intervistati si dice "estremamente o abbastanza
soddisfatto" dai risultati ottenuti dalle politiche economiche
dell’Amministrazione. Un crollo rispetto al già modesto 33% del gennaio 2013, all’insediamento
di Obama per il secondo mandato, quando però la situazione economica era
oggettivamente più incerta.
L’economia ‘tira’, ma non scalda
L’economia ‘tira’, ma non scalda
Il 44% degli intervistati dice,
invece, di non avere fiducia nella leadership del presidente in economia. Un
dato che preoccupa la Casa Bianca, già colpita anche da fuoco amico sul fronte
della politica estera, per le incertezze e le mezze misure nella guerra al
terrorismo, ma anche il partito democratico. Il presidente ha fatto un tour
elettorale per rivendicare i successi dell’Amministrazione in campo economico,
dopo che lui prese il potere nel pieno della crisi. Ma pare che gli americani
non gli riconoscano meriti e non riescano ancora a percepire i buoni risultati
raggiunti, anche perché la crescita dei redditi delle famiglie non rispecchia
ancora la ripresa.
Pure quando sono buoni, i sondaggi
non sono necessariamente forieri di buone notizie per Obama e per i
democratici: per la Gallup, il presidente, in crisi di popolarità
nell’elettorato tradizionale, piace ai musulmani d’America –più dei 2/3
l’appoggiano- ed ha seguito pure agli ebrei. Di che, però, alimentare più
diffidenze che simpatie.
Dopo il voto, Ebola e baruffe
Dopo il voto, Ebola e baruffe
Destra o sinistra, una cosa che accomuna
democratici e repubblicani, in questa vigilia, è il record dei candidati di
colore: oltre cento, che gli esperti definiscono l’ “effetto Obama". Oltre
80 neri, democratici o repubblicani, corrono per la Camera; e almeno 25 per un
posto da senatore o da governatore o da vice. Il record precedente risaliva al
2012, in coincidenza con la rielezione di Obama: 72 candidati di colore alla
Camera. Quando, nel 2002, se ne presentarono 17 fu un primato.
Cosa succederà dopo le elezioni, nella politica americana? L’Ebola li mette d’accordo tutti (più o meno). Sul resto, che vincano i democratici o i repubblicani i prossimi due anni avranno segni diversi, nel segno della corsa a Usa2016 per tenersi, o riprendersi, la Casa Bianca: la guerra al terrorismo e le relazioni con l’Europa, la Russia, la Cina; i negoziati per la zona di libero scambio transatlantica; la gestione dell’economia e, soprattutto, delle finanze pubbliche; la riforma dell’immigrazione e l’estensione dei diritti civili –sono appena saliti a 32 gli Stati che riconoscono i matrimoni fra persone dello stesso sesso-.
Cosa succederà dopo le elezioni, nella politica americana? L’Ebola li mette d’accordo tutti (più o meno). Sul resto, che vincano i democratici o i repubblicani i prossimi due anni avranno segni diversi, nel segno della corsa a Usa2016 per tenersi, o riprendersi, la Casa Bianca: la guerra al terrorismo e le relazioni con l’Europa, la Russia, la Cina; i negoziati per la zona di libero scambio transatlantica; la gestione dell’economia e, soprattutto, delle finanze pubbliche; la riforma dell’immigrazione e l’estensione dei diritti civili –sono appena saliti a 32 gli Stati che riconoscono i matrimoni fra persone dello stesso sesso-.
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