Pubblicato da AffarInternazionali il 17/10/2014
Questa volta, Godot arriverà. Ma bisognerà
attendere la primavera, o quasi, perché il personaggio uscito dalla fantasia di
‘Becket’ Juncker compaia sulla scena dell’Unione: in carne ed ossa, anzi files
e documenti, perché questa è la vera natura del piano da 300 miliardi
d’investimenti che tutti aspettano e che nessuno ha finora visto.
Del ‘piano Juncker’, è stato il falco designato
della nuova Commissione, l’ex premier finlandese Jyrki Katainen, a fornire
finora più elementi, rispondendo alle domande del Parlamento europeo:
"Voglio presentare il pacchetto lavoro, crescita, investimenti entro 3
mesi dall'inizio del mandato", il 1° novembre, se non ci saranno ritardi
per la bocciatura dell’ex premier slovena Alenka Bratušek.
‘Piano da 300’ a parte, il nuovo Esecutivo non
sarà certo tutto ‘rose e fiori’, sul crinale tra stabilità e flessibilità.
Katainen in Parlamento è stato chiaro: dare slancio agli investimenti, ma senza
aumentare il debito; e non lasciare che “i problemi di 2 o 3 Paesi”
condizionino l’Eurozona - c’è chi si sente fischiare le orecchie?
In Italia, il premier Renzi dice d’aspettarsi che
i vertici delle Istituzioni comunitarie “interpretino” la nuova fase della
‘sua’ Italia. Ma il primo esame della Legge di Stabilità trasmessa a Bruxelles
la sera del 15 ottobre dal Consiglio dei Ministri toccherà all'attuale
Commissione, la Barroso 2, che ha tempo fino al 29 ottobre per presentare le
proprie osservazioni.
Il ‘piano Juncker’, soldi da spendere bene
Per Katainen, vice-presidente per lavoro,
crescita, investimenti e competitività, il ‘piano Juncker’ è la prima priorità:
vuole "mobilitare tutti gli strumenti a livello europeo e nazionale e
migliorare l’uso dei fondi del bilancio Ue, massimizzare il ruolo della Bei e
delle banche pubbliche nazionali d’investimenti e fare in modo che il
consolidamento sostenga gli investimenti". Fin qui, più parole che cifre.
"A livello nazionale - prosegue Katainen -,
bisogna migliorare la qualità della spesa pubblica". E il ruolo dei
bilanci nazionali negli investimenti sarà subordinato al rispetto del Patto di
Stabilità, aprendo, però, a un “miglior uso della flessibilità”.
Il vice-presidente intende assicurarsi che l'opera
di riforma dei Paesi sia finalizzata a rimuovere gli ostacoli per gli
investimenti e, a tal fine, vuole "rafforzare ancora di più la governance
economica, per aumentare l'impegno e la responsabilità degli stati nell'attuare
le riforme".
Questa la visione dell’ex premier finlandese, cui
Juncker lascia, in questa fase, molto spazio. Ma Katainen dovrà lavorare a
stretto contatto con gli altri commissari che si occupano di economia, specie
il responsabile degli affari economici Pierre Moscovici, un francese, l’uomo
della crescita. Lo schema suscita dubbi, ma il vice-presidente li smorza,
descrivendosi come "team-leader, costruttore di ponti, coordinatore".
Il Parlamento di Strasburgo intende vigilare
perché il ‘piano Juncker’ sia “reale e non una finzione" - soldi, non
parole - e perché "si usi a pieno la flessibilità presente nelle regole, i
Paesi in recessione devono poter beneficiare di un tempo più lungo per
raggiungere gli obiettivi" di consolidamento del bilancio. Gianni
Pittella, capogruppo S&D, invita Katainen a “smetterla di fare il falco”.
La ‘stagione di mezzo’ tra una Commissione e l’altra
Per l’Unione europea, questa è una ‘stagione di
mezzo’: la Commissione Barroso fa i suoi addii, cercando di lasciare buoni
ricordi; e la Commissione Juncker deve ancora entrare in funzione, ma già agita
il bastone e la carota.
Nel vuoto di potere del passaggio delle consegne a
Bruxelles, Renzi tira fuori riforme come fossero ciliegie e la Merkel non ha
paura di vedersi crescere un naso da Pinocchio, dicendosi sicura che l’Italia e
la Francia rispetteranno gli impegni europei.
Il tutto in un clima di reciproci salamelecchi.
Per cui i leader dell’Ue salutano positivamente il ‘Jobs Act’, pur senza
conoscerne il contenuto e la portata, e Barroso si dice sicuro che l’Italia
d’ora in poi spenderà bene i fondi europei, che ha sempre usato poco e male.
Galvanizzato, il premier sposta subito
l’attenzione su un’altra riforma, quella fiscale, senza fare caso a che nessuna
di quelle finora impostate - legge elettorale, Senato, Province, P.A., lavoro -
è stata portata a compimento: “Se faremo le scelte giuste - dice-, tra
vent'anni saremo un Paese leader”. Viene il dubbio che i mille giorni stiano
per diventare, nella narrativa renziana, un Ventennio. ...
Di qui in avanti, estratti dal pezzo di ieri su EurActiv.it
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