Viviamo
nell’epoca dei diritti: sulla carta, l’umanità non ne ha mai avuti tanti, grazie
all’avanzare della tolleranza e della tecnologia. Al punto che abbiamo
cominciato a mettere steccati, per evitare che l’esercizio dei diritti (ad
esempio, d’informazione) altrui diventi una violazione dei diritti (ad esempio,
di privacy) nostri.
Ma, mentre siamo
lì a preoccuparci di proteggerci dall’eccesso di diritti, o a batterci per
quelli degli animali, o a crogiolarsi nell’avanzata dei diritti civili, legati
in particolare in questa fase agli orientamenti sessuali, o alle pratiche
riproduttive, le cronache ci parlano di diritti violati: da HongKong al
Nazareno, passando per la Russia di Putin e l’Ungheria ‘europea’, la Cina e gli
Usa, per finire allo Stato islamico del califfo al-Baghdadi.
Per carità, sono
cose diversissime l’una dall’altra e da non mettere assolutamente sullo stesso
piano. Nel calderone, ci mettiamo la limitazione dei diritti politici e di
espressione nella ex colonia britannica divenuta Cina senza troppo entusiasmo;
e la riduzione delle tutele dei lavoratori che paiono il tratto caratterizzante
del ‘Jobs act’ cui lavorano il premier Renzi, il suo governo, la sua
maggioranza dentro un partito che fu ‘dei lavoratori’; e, ancora, il disegno
dell’autocrate Putin di limitare l’accesso a internet in Russia, come del resto
già avviene in Cina e altrove; o i vincoli alla libertà di stampa nell’Ungheria
che sta dentro l’Ue; e, in un crescendo d’allarme, il lento riconoscimento dei
diritti delle donne in molti Paesi; o le esecuzioni capitali di massa in Cina e
in Iran, ma pure quelle in serie negli Stati Uniti; o le violazioni della
libertà di religione e del diritto alla dignità, oltre che alla vita, degli
emigranti; o, infine, le barbarie contro
i diritti dell’uomo delle milizie jihadiste di un islam integralista e disumano
che sommano e integrano tutte le specie di violazioni.
Cose, lo
ripetiamo, diversissime, che stanno su piani molto diversi e lontani l’uno
dall’altro. Ma –sarà la crisi, o il sentimento d’insicurezza- la violazione, o
almeno la limitazione dei diritti, impegna governi e istituzioni molto di più
della loro tutela, almeno a casa loro, ché quando si tratta di denunciare quel
che succede altrove tutti fanno la voce grossa, se non sono in gioco (troppi)
interessi economici.
Perché
altrimenti succede che il premier italiano, capo del governo del Paese che
esercita la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, vada in Egitto a
stringere la mano sorridendo al neo-satrapo, giunto al potere dopo essersi
sbarazzato del presidente legittimo, e manco gli ricordi le negazioni dei
diritti politici di buona parte dei suoi cittadini e la repressione della
libertà di stampa.
La difesa dei
diritti pare confinata a cittadelle irriducibili, come, in Italia, il partito
radicale, il cui leader storico Marco Pannella fa una battaglia per il diritto
alla dignità in carcere e nella malattia di un boss della mafia come
Provenzano, mantenuto a un regime carcerario di massima sicurezza nonostante
sia ormai allo stremo della vita.
Forse sono solo
mie ubbie. Ma se il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon parla
di “diritti dell’uomo sotto attacco” e di “anno terribile” per il loro –mancato-
rispetto, vuol dire che qualcosa sotto c’è.
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