In Italia, le uova contro Renzi a Ferrara e le
manifestazioni anti-Bce a Napoli. E, in Europa, il litigio sul rispetto del
Patto di Stabilità tra Parigi e Berlino, con il premier italiano che si mette
in mezzo: “Sto con Hollande” e contro la Merkel, che tratta gli altri come
“scolaretti”. Tocca a Napolitano mettere insieme i cocci dell’amicizia
italo-tedesca: a 23 anni della riunificazione, il presidente richiama la “piena
comunanza” di intenti europei fra i due Paesi, la cui collaborazione –dice- “proseguirà
in vista delle prossime sfide politiche ed economiche”.
Non sono giorni di calma piatta nell’Unione europea, che va verso il Vertice del Lavoro di Milano: un appuntamento senza posta in gioco, dove Renzi, impegnato a rottamare i sindacati dopo i politici del suo partito, vorrebbe sfoggiare con i partner la riforma del lavoro e sarebbe disposto a giocarsi la carta della fiducia per riuscirci. Intanto, a Bruxelles, le commissioni del Parlamento europeo completano l’esame dei commissari europei.
Non tutta l’Unione è ancora nelle peste della crisi. Uno studio svizzero indica che, rispetto al 2007, gli italiani sono più poveri del 7% -e più poveri sono pure britannici, spagnoli, greci-, ma i tedeschi sono più ricchi del 18% e i francesi se la passano come prima. Negli Stati Uniti, invece, i senza lavoro scendono al 5,9%: le cose, là, vanno persino meglio del previsto.
In Italia, il dibattito su stabilità / flessibilità è fermo al 3%, per Renzi “un parametro antiquato, ma da rispettare ”, come dice alla Cnn e a cascata altrove. La Francia, invece, a rispettarlo non ci pensa proprio: anzi, lo sfonda di proposito, quest’anno e pure il prossimo –nel 2014, deficit al 4,4%-. Renzi commenta: “Avrà i suoi motivi e io sto con Hollande”, invitando a non metterlo in difficoltà, “altrimenti vince la Le Pen”.
La Merkel risfodera l’invito “a fare i compiti”: vale per Parigi e pure per Roma, cui Bruxelles chiede che “il Def corrisponda agli impegni”. Mentre il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Djisselbloem, sollecita a “lavorare sodo” per rispettare il Patto. Il ministro francese Michel Sapin risponde: “Saremo seri, ma niente austerità”; e rilancia, “tocca a Ue e Germania darsi da fare per la crescita”.
Persino Cameron, che sente odor di bruciato nell’Ue, invita a una “maggiore flessibilità” –ma lui che c’entra?, con la Gran Bretagna fuori dalla zona euro-. Mentre il neo-commissario all’Economia e alle Finanze Pierre Moscovici gela i ‘flessibilisti’: “Le regole valgono per tutti –dice, e non aveva alternative, davanti alla commissione parlamentare- … Non c’è crescita senza riduzione del debito … Porterò avanti la procedura d’infrazione contro la Francia”.
Un clima da scontro. Ma per il ministro italiano PierCarlo Padoan la crescita è a rischio senza fiducia reciproca: tutti devono andare avanti con le riforme strutturali, perché la crisi non è a fine percorso. La strategia di risanamento dell’Italia –spiega Padoan- è diversa da quella della Francia.
Che dalla crisi non siamo usciti, lo conferma il presidente della Bce Mario Draghi: “La recessione sembra non finire mai”, dice, cercando di scrollarsi di dosso l’accusa che la Banca ne sia un fattore. “Non è colpa nostra”, dice; anzi, “sono in arrivo nuove misure, la Bce ha un potenziale da 1000 miliardi”.
Cifre che rischiano d’alimentare attese messianiche e d’innescare delusioni apocalittiche, proprio come i 300 miliardi d’investimenti del programma Juncker, che sono stati solo prospettati e che già pare debbano arrivare da un giorno all’altro. Anche il ‘rigorista’ Katainen, ‘vice’ di Juncker e ‘capo’ di Moscovici, annuncia al Parlamento entro gennaio “un ambizioso programma per lavoro, crescita e investimenti”, appunto 300 miliardi in tre anni.
Contro Draghi, ci sono diffidenze della Bundesbank e pure della Banque de France per gli interventi non convenzionali di nuovo evocati dopo la riunione di Napoli, mentre i tassi restano al minimo dello 0,05%. Per una volta, Draghi non ha mandato le borse alle stelle, ma a picco, confermando che la ripresa resta modesta, che le riforme vanno accelerate e che gli impegni presi in sede europea vanno rispettati. La Bce è pronta a fare la sua parte, ma i governi devono fare la parte. Che è la più importante.
Non sono giorni di calma piatta nell’Unione europea, che va verso il Vertice del Lavoro di Milano: un appuntamento senza posta in gioco, dove Renzi, impegnato a rottamare i sindacati dopo i politici del suo partito, vorrebbe sfoggiare con i partner la riforma del lavoro e sarebbe disposto a giocarsi la carta della fiducia per riuscirci. Intanto, a Bruxelles, le commissioni del Parlamento europeo completano l’esame dei commissari europei.
Non tutta l’Unione è ancora nelle peste della crisi. Uno studio svizzero indica che, rispetto al 2007, gli italiani sono più poveri del 7% -e più poveri sono pure britannici, spagnoli, greci-, ma i tedeschi sono più ricchi del 18% e i francesi se la passano come prima. Negli Stati Uniti, invece, i senza lavoro scendono al 5,9%: le cose, là, vanno persino meglio del previsto.
In Italia, il dibattito su stabilità / flessibilità è fermo al 3%, per Renzi “un parametro antiquato, ma da rispettare ”, come dice alla Cnn e a cascata altrove. La Francia, invece, a rispettarlo non ci pensa proprio: anzi, lo sfonda di proposito, quest’anno e pure il prossimo –nel 2014, deficit al 4,4%-. Renzi commenta: “Avrà i suoi motivi e io sto con Hollande”, invitando a non metterlo in difficoltà, “altrimenti vince la Le Pen”.
La Merkel risfodera l’invito “a fare i compiti”: vale per Parigi e pure per Roma, cui Bruxelles chiede che “il Def corrisponda agli impegni”. Mentre il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Djisselbloem, sollecita a “lavorare sodo” per rispettare il Patto. Il ministro francese Michel Sapin risponde: “Saremo seri, ma niente austerità”; e rilancia, “tocca a Ue e Germania darsi da fare per la crescita”.
Persino Cameron, che sente odor di bruciato nell’Ue, invita a una “maggiore flessibilità” –ma lui che c’entra?, con la Gran Bretagna fuori dalla zona euro-. Mentre il neo-commissario all’Economia e alle Finanze Pierre Moscovici gela i ‘flessibilisti’: “Le regole valgono per tutti –dice, e non aveva alternative, davanti alla commissione parlamentare- … Non c’è crescita senza riduzione del debito … Porterò avanti la procedura d’infrazione contro la Francia”.
Un clima da scontro. Ma per il ministro italiano PierCarlo Padoan la crescita è a rischio senza fiducia reciproca: tutti devono andare avanti con le riforme strutturali, perché la crisi non è a fine percorso. La strategia di risanamento dell’Italia –spiega Padoan- è diversa da quella della Francia.
Che dalla crisi non siamo usciti, lo conferma il presidente della Bce Mario Draghi: “La recessione sembra non finire mai”, dice, cercando di scrollarsi di dosso l’accusa che la Banca ne sia un fattore. “Non è colpa nostra”, dice; anzi, “sono in arrivo nuove misure, la Bce ha un potenziale da 1000 miliardi”.
Cifre che rischiano d’alimentare attese messianiche e d’innescare delusioni apocalittiche, proprio come i 300 miliardi d’investimenti del programma Juncker, che sono stati solo prospettati e che già pare debbano arrivare da un giorno all’altro. Anche il ‘rigorista’ Katainen, ‘vice’ di Juncker e ‘capo’ di Moscovici, annuncia al Parlamento entro gennaio “un ambizioso programma per lavoro, crescita e investimenti”, appunto 300 miliardi in tre anni.
Contro Draghi, ci sono diffidenze della Bundesbank e pure della Banque de France per gli interventi non convenzionali di nuovo evocati dopo la riunione di Napoli, mentre i tassi restano al minimo dello 0,05%. Per una volta, Draghi non ha mandato le borse alle stelle, ma a picco, confermando che la ripresa resta modesta, che le riforme vanno accelerate e che gli impegni presi in sede europea vanno rispettati. La Bce è pronta a fare la sua parte, ma i governi devono fare la parte. Che è la più importante.
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