Scritto per EurActiv.it il 23/10/2014, su dispacci di agenzie
Matteo Renzi diserta il pre-Vertice
socialista a Parigi e il Vertice tripartito con le parti sociali, ma, quando arriva
a Bruxelles per il Consiglio europeo del ‘cambio della guardia’ alla guida delle
Istituzioni comunitarie, manda all'aria agenda e programmi e si prende tutta l’attenzione.
Almeno quella dei media, almeno di quelli italiani. Perché non è detto che capi
di Stato e di governo ne prestino altrettanta, alle sue battute, dove due
miliardi diventano bruscolini e il rispetto delle regole dell’Unione “questione
di virgole”.
Il Consiglio europeo ha in agenda i temi
dell’energia e del clima, su cui una bozza d’accordo c’è già, la prevenzione
della diffusione dell’epidemia di Ebola, le crisi internazionali e, domani, una
discussione sulle ‘finanziarie’ traballanti di alcuni Stati, fra cui l’Italia e
la Francia.
Ma il premier, che è leader del Paese che
ha la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, parla solo della richiesta di
chiarimenti sulla Legge di Stabilità giunta oggi a Roma da Bruxelles e resa
pubblica. "Stiamo discutendo di due miliardi di differenza" su una
manovra da 36 miliardi, dentro un bilancio da 800 miliardi, “per un Paese che
ogni anno dà 20 miliardi all'Europa", anche perché - ma questo Renzi non
lo dice - non è capace di spendere i soldi messi a sua disposizione.
"Il problema dei due miliardi che
potrebbero, in teoria, essere necessari – continua Renzi - corrisponde a un
piccolissimo sforzo", anche se, poi, quando si vanno a cercare i soldi non
è mai facile trovarli. Quello che "forse è in discussione, e sarà
interessante approfondirlo – attacca però il premier - è chi decide cosa, come
e quali sono le valutazioni politiche sulle circostanze eccezionali di cui
parlano i Trattati e i regolamenti" per fare scattare le clausole di
flessibilità.
Forse, Renzi avverte che la Commissione in
fase di transizione da una presidenza all’altra – Juncker darà il cambio a
Barroso il 1° novembre – è vulnerabile, che la Germania non cerca lo scontro,
che la Francia e altri Paesi hanno le difficoltà dell’Italia. Prosegue: "Abbiamo
fatto una grande manovra per ridurre le tasse, che era quello che ci chiedeva
l'Europa. Ora che l’abbiamo fatta, non sarà certo una discussione sulle virgole
a fermare il nostro percorso".
Poi, l’affondo polemico, intriso di quel mix
di qualunquismo ed euroscetticismo che gli dà impatto nazional-popolare e ne
garantisce il successo mediatico: da oggi, "pubblicheremo tutti i dati di
quel che
si spende in questi palazzi”, cioè nelle sedi dell’Ue, “sarà molto
divertente".
Nella lettera trasmessa al governo
italiano, la Commissione constata che la Legge di Stabilità segna "una
deviazione significativa" dal percorso di avvicinamento agli obiettivi di
bilancio nel 2015. Basta la pubblicazione della lettera a scatenare un botta e
risposta tra Renzi e il presidente uscente dell’Esecutivo Manuel Barroso, che
se ne irrita, precisando che è stata "una decisione unilaterale del
governo italiano" cui la Commissione "non era favorevole".
Il premier, piccato, replica: "Sono
stupito della reazione di Barroso. La lettera era stata anticipata dal
Financial Times. E’ il momento della trasparenza totale. E' finito il tempo
delle lettere segrete … Ogni dato sensibile dev'essere pubblicato", anche
"le spese dei palazzi" delle istituzioni europee.
Nella lettera, la Commissione esprime
la necessità di sapere "come l'Italia possa garantire il rispetto dei suoi
obblighi di politica finanziaria" per il 2015, ma assicura la volontà a
"proseguire un dialogo costruttivo … per arrivare ad una valutazione
finale". Il Mef progetta di trasmettere a Bruxelles chiarimenti
"entro domani".
La lettera di Bruxelles non è il
giudizio sulla ‘finanziaria’ atteso a fine mese, ma solo una richiesta di dettagli
sui motivi dello scostamento dagli obiettivi sui conti pubblici fissati per il
2015, dopo il varo della Legge di Stabilità precedente. Il documento trasmesso
alla Commissione una settimana fa prevede una correzione del deficit
strutturale dello 0,1% di Pil, rispetto alo 0,7 previsto, facendo così slittare
di due anni, cioè al 2017, il pareggio di bilancio. La decisione è stata presa
in funzione del ciclo economico negativo che per l'Italia, che non esce dalla
recessione, si protrae.
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