Riporto di seguito solo le risposte date a Manuela Pacelli, mentre tutto il servizio è al link ...
1) Al mio primo giorno di lavoro nella redazione de La Provincia Pavese, il 1o giugno 1972, il capo, Pino Lucchelli, ottimo cronista, mi mandò a cercare la foto di un morto: gli serviva per la rubrica 'Ci hanno lasciati', un 'classico' dei giornali di provincia. Lucchelli scelse un morto 'facile', un anziano che se n'era andato in pace con il Mondo e con i suoi, ma per me fu lo stesso uno shock. Tornai con la foto del morto e non uscii più dalla redazione.
2) Quali che
siano state le difficoltà, quali che siano state le delusioni, l'Unione
europea c'è. E dove 60 anni or sono c'erano ancora le macerie di un
continente, oggi c'è un'Unione che funziona, delle Istituzioni che
lavorano, un'integrazione che ancora la pace, un'area di libertà e
democrazia. Quel che è stato fatto conta più di quel che non è stato
fatto (e che, del resto, può ancora esserlo). Adesso, dobbiamo, credo,
approfondire l'integrazione piuttosto che diluirla con ulteriori
impegnativi allargamenti.
3) Il 'no' degli
scozzesi all'Indipendenza ha fatto guadagnare tempo ed energie
all'Unione europea. E dovrebbe avere fiaccato le spinte secessioniste in
Spagna e in Belgio, in Italia e in Francia. L'Unione è un insieme di
Stati, ma anche di Regioni e di localismi: ogni europeo, è anche un
italiano -o altro; e ogni italiano è anche un piemontese -o altro-; e
ogni piemontese è anche un saluzzese -o altro-: sono identità che
possono benissimo coesistere, anche se ciascuno di noi ne sente magari
una più forte delle altre; e anche se l'una o l'altra saltano fuori
prepotenti in determinati frangenti.
4)
L'Unione non è ancora una protagonista politica, e tanto meno militare,
sulla scena politica internazionale: per questo, nella crisi
mediorientale, o nella coalizione anti-Is, non c'è l'Unione, ma
piuttosto singoli Stati, con comportamenti spesso contraddittori tra di
loro. Diverso è il discorso nei confronti della Russia, con cui l'Unione
può fare valere il proprio peso di partner commerciale e di cliente
energetico -naturalmente, vale il viceversa-, e ancora più nei confronti
dell'Ucraina, su cui l'Unione può esercitare una notevole influenza
politica ed economica senza alimentare illusioni di adesione. Nella
crisi ucraina, dunque, l'Unione è una protagonista potenzialmente
determinante ad evitare il conflitto e a spingere le parti verso una
soluzione negoziata.
5) Io credo che l'identità
dell'Europa non possa, oggi, affermarsi nella contrapposizione, o nel
respingimento, ma nell'integrazione, o nell'accoglienza. L'Unione vivrà
una fase d'impasse e si avvierà alla decadenza se si chiuderà su se
stessa, non se accetterà il confronto e l'apporto di altre culture e di
altre tradizioni, in uno spirito di tolleranza che, ovviamente, deve
essere reciproco.
6) Con gli egoismi nazionali,
l'Unione è abituata a confrontasi. Con gli egoismi delle categorie
sociali, gli Stati sono abituati a confrontarsi. E che la crisi acuisca
gli egoismi è, magari, insensato, ma è scontato. L'egoismo relativamente
nuovo in cui l'Unione potrebbe davvero impantanarsi è quello
generazionale: questa crisi, che è di lavoro e di fiducia, mette in
crisi la solidarietà tra giovani e anziani, tra precari e garantiti, tra
lavoratori e pensionati. Se indulgessimo, noi europei e noi italiani, a
questa deriva, potremmo davvero trovarci immersi in un periodo oscuro,
in una sorta di oblio della solidarietà.
7)
Innanzitutto, Mare Nostrum non è un fallimento: il suo obiettivo era
salvare vite in mare -e lo ha fatto e continua a farlo egregiamente-,
non scoraggiare l'immigrazione. Secondariamente, l'Italia non sta in
mezzo tra 'loro', i disperati' della Riva Sud, e l'Europa: l'Italia, per
i 'disperati', e non solo per loro, è l'Europa... Manca una gestione
dell'emergenza comune -e qualcosa si sta facendo in quella direzione-,
ma manca soprattutto una politica della prevenzione, una politica
europea mediterranea di dialogo e cooperazione con la Riva Sud.
8)
Se ci fosse una regia europea dietro la politica italiana, non saremmo
arrivati a questo punto e, probabilmente, non saremmo approdati agli
attuali assetti. E così pure se ci fosse una regia americana. Quindi,
lasciamo stare dietrologie e fantasticherie. Io penso che i leader di un
Paese ne siano il riflesso: noi siamo spesso tentati dalle scorciatoie,
come prometteva d'esserlo Berlusconi, come promette d'esserlo Renzi.
Riformare l'Italia presuppone cambiare gli italiani, fare prevalere la
logica della solidarietà, di generazione, di categoria, di censo, su
quella dell'egoismo; il senso del dovere su quello del diritto -e fare
bene tutti il proprio dovere equivale a rispettare tutti i diritti di
ciascuno-; l'onestà e il rispetto sulla furberia e la prevaricazione.
9)
La Germania è forte, ma oggi non mi fa paura, perché è una società che
mette in pratica e premia l'etica dei comportamenti e che è capace
d'integrazione, quindi di accoglienza e generosità. La nazionale
tedesca, che pochi anni or sono somigliava a quella italiana, oggi
assomiglia a quella francese campione del mondo nel '98: bianchi e neri,
turchi e nord africani, tutti tedeschi, tutti europei; e fieri di
esserlo.
10) La Juventus è forte, ma non
(ancora) abbastanza per vincere in Europa, temo. E non (più) abbastanza
per vincere in Italia, temo ancora di più, perché la Roma era già forte,
s'è molto rafforzata e ha un ottimo allenatore che, come riuscì a fare
Liedholm, sembra capace di ignorare la 'romanità' intorno a lui.
Ovviamente, spero d'essere smentito in Europa e in Italia: comunque e
sempre, 'Forza Juve'
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